Gavister venne svegliato dal bacio del sole. Il tentativo di fuga era fallito, proprio quando era a un soffio dal realizzarlo.
Dove sono? Oh, sono nello stesso posto. Ancora legato. Quell'uomo aveva ragione: o siamo già morti o siamo schiavi. Quale delle due è meglio?
Una lacrima gli bagnò la bocca.
Hugai era sveglio e torreggiava su di lui, un piccolo gatto rannicchiato a terra. Lo punzecchiò con il piede per farlo alzare.
«Tirati su, piccolo esemplare di uomo!»
Gavister, però, rimase immobile e apatico.
«Forza, in piedi! O ti faccio trascinare dal mio buhmé.»
Hugai montò sulla sua bestia e fissò il lembo di corda alla sella; dopodiché partirono.
L'orda di golgothiani si rimise in marcia con Hugai in testa al gruppo. Gavister venne trascinato per un paio di metri, poi si alzò e barcollò dietro al suo aguzzino.
Il sole iniziò a bruciare verso metà mattina e la finì nel tardo pomeriggio, mosso a compassione dalla brezza della sera.
Gavister si trascinò ciondolando per tutto il giorno. Fu solo per miracolo che non crollò lungo la strada; la gola arsa, lavato dal sudore e tormentato dalle vesciche ai piedi. Ancora un altro minuto di marcia forzata e le sue scarpe avrebbero grondato sangue.
L'erba alta trasformava il viaggio in un'ardua traversata.
La destinazione pareva non dover arrivare mai. Sembrava stessero marciando verso i confini del mondo e durò per giorni e giorni. Anche gli altri prigionieri barcollavano trascinati allo stesso modo, come morti viventi che avanzavano lentamente, privi di forze e volontà di opporsi, verso le loro tombe.
Durante la traversata qualcuno era caduto a faccia in giù e lì era rimasto, a farsi trascinare raschiando il terreno. Quando il golgothiano si accorgeva del peso morto, tagliava la corda e abbandonava il cadavere nell'erba.
Ogni tanto Hugai dava qualche strattone alla corda e Gavister si sbilanciava in avanti. Ogniqualvolta il ragazzo stava per cedere e ruzzolare a terra, Hugai lo ridestava strattonandolo. Troppo provato per reagire, troppo assettato per parlare, troppo stanco per pensare, si limitò a pregare che quella tortura finisse presto.
«Avanti, piccolo gatto. Ci siamo quasi!»
Hugai proseguiva alla testa dell'orda diretto in cima alla collina e Gavister prese un profondo respiro; la testa china, la bocca aperta e ansimante, i piedi trascinati e le spalle pesanti. Facendosi largo tra la distesa d'erba, si sentiva come se stesse nuotando controcorrente, colpito dalle onde mosse dal vento e sovrastato dagli steli.
La testa dell'orda raggiunse la cima della collina, mentre Gavister mostrava un atteggiamento da fame d'aria: la testa chinata in avanti, la bocca aperta, il respiro accelerato, le gambe divaricate e i gomiti rivolti all'esterno. La tentazione di lasciarsi andare e sedersi era forte: non desiderava altro, ma era consapevole che, una volta a terra, non si sarebbe rimesso in piedi. La tensione che aveva in corpo era la sola cosa a cui appigliarsi per proseguire. Permettere che lasciasse il posto al rilassamento avrebbe significato la fine.
«Casa, finalmente!» annunciò Johta. «È stata una buona caccia. Torniamo con provviste e divertimento.»
«Parlare qui è inutile, fratelli!» intervenne Hugai. «Torniamo alla madre!»
L'orda discese la collina.
Gavister sollevò la testa e vide l'orda, quella vera. Un mare di golgothiani si distendeva davanti a lui.
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Lo spettro di Amarax
FantasyQuando incontrano uno spettro, una creatura frutto di un incantesimo e proveniente dalla città dei maghi, la vita di tre ragazzi cambia radicalmente. Alira seguirà lo spettro per realizzare il proprio sogno di diventare una maga provetta, Talos si a...