Capitolo 20 - La via del clan (Parte 2 di 2)

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La mattina seguente si trovò al seguito di una pletora di giovani del clan di Hugai. Il capoclan e alcuni guerrieri, tra cui Svoss, li guidavano e arrivarono presto al Mirith.

Il primo passo consisteva nel recuperare le proprie lame dalla corrente cristallina e vigorosa del fiume.

Immergere le lame nel fiume non serviva solo a levigarle, anzi il loro recupero era considerato un segno: se la lama veniva portata via dalla corrente significava che il giovane non era pronto per intraprendere la via del clan e che avrebbe dovuto riprovare alla luna successiva con una nuova lama.

Hugai disse qualcosa nella propria lingua e i giovani andarono alla ricerca della loro lama.

Gavister li imitò e riconobbe con facilità la sua skàla, esile e leggera proprio come il proprietario. Prima di estrarla dall'acqua e slegarla dal pezzo di legno fissato nella terra sabbiosa della riva, buttò gli occhi sugli altri.

I giovani tirarono fuori le armi dal fiume e le slegarono e così fece Gavister.

Il cucciolo d'uomo toccò la pietra liscia e levigata. Nessuna scheggia ne comprometteva l'eleganza; solo che non aveva filo. Hugai disse altro e un piccolo gruppo di giovani delusi tornarono alla piana, mentre gli altri furono invitati a seguirlo.

Risalirono il Mirith. L'impeto della corrente scavava il letto trasportandone il sedimento e la potenza dei flutti si infrangeva sulle rocce a fare da sottofondo al loro brusio e ai loro passi. La ripercorsero a ritroso fino alle rapide che correvano a valle partendo dal fondo di una cascata.

«Questo è il primo passo sulla via del clan» annunciò Hugai, le cui parole furono accolte da un grido d'acclamazione. «L'equilibrio è la prima dote di un guerriero e dovrà essere il vostro primo passo.»

Gavister non capì una parola e si ritrovò in piedi ad ascoltare suoni che non gli appartenevano.

Maledizione! Che sta dicendo? Come faccio a sapere cosa devo fare se non capisco quel che dice? Ah, Oga'Teh, qualche parola avresti potuto insegnarmela!

Hugai prese un sentiero laterale e li portò all'altro capo della cascata.

In mezzo al letto del fiume si ergevano delle colonne di roccia che svettavano verso il cielo e che terminavano a punta. Erano l'unico punto fermo in quel moto fragoroso che spingeva l'acqua e tutto ciò che essa trasportava nell'abisso una ventina di metri più avanti.

«Fate come noi!» disse Hugai.

Dopo aver preso la rincorsa saltò, si aggrappò a una delle colonne e la scalò; lo stesso fecero i suoi guerrieri.

Sulla cima delle colonne c'era spazio a stento per un solo piede e i guerrieri restavano dritti immobili, in perfetto equilibrio, l'altro piede sollevato e le braccia allargate verso l'esterno.

«Questo è vero equilibrio!» urlò Hugai.

I giovani gli andarono dietro e si cimentarono nell'impresa, alcuni saltando sulle colonne di roccia e altri nuotando fino a raggiungerne una libera.

Gavister rimase sulla riva, esterrefatto.

Cosa? Dobbiamo scalare quelle rocce? È un suicidio! Se la corrente mi porta via, sono morto, spiaccicato sul fondo della cascata.

Gavister sentì le risate dei giovani golgothiani ai suoi danni e ciò lo fece imbestialire. Posò la spada di Ungar sulla riva, perché non voleva perderla nel caso fosse finito nel Mirith, e tenne la skàla. Prese un respiro profondo e corse per poi gettarsi nel fiume.

Sapeva nuotare: aveva imparato a furia di passare i momenti liberi al lago fuori Mifa assieme ad Alira e Talos.

Arrivò alle radici della prima colonna che riuscì a raggiungere combattendo contro il vigore del fiume e, aggrappato con le unghie e con i denti, boccheggiò nel tentativo di recuperare fiato.

Lo spettro di AmaraxDove le storie prendono vita. Scoprilo ora