Capitolo 20 - La via del clan (Parte 1 di 2)

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La pietra che Svoss gli aveva affidato affinché la plasmasse era più mingherlina rispetto alle altre. Era della sua taglia, insomma. Era venuta male: aveva una forma diversa da quella di Svoss, più longilinea e sottile.

«Skàla!» esclamò Svoss, che gli faceva da tutore e da mentore.

«Skàla. Questa è una spada golgothiana?»

Svoss estrasse da un cesto di paglia intrecciata delle ossa di buhmé e le gettò a terra.

Il golgothiano ne prese una e posò davanti a loro un pezzo di legno da cui spuntava una pietra affilata, la punta verso l'alto.

Svoss strinse l'osso saldamente tra le mani e lo passò con attenzione sulla pietra che spuntava dalla tavola per scavare un solco all'estremità.

Il corpo bianco di quel pezzo di scheletro grattava per l'attrito e una polvere bianca si spandeva dappertutto, sulle mani, sui piedi, sulla faccia e sulla terra.

Gavister ne seguì l'esempio prendendo un altro osso e un altro pezzo di legno in cui era stata conficcata una punta di roccia affilata.

«No!» esclamò Svoss, prima di dargli in mano un osso più piccolo.

«Perché?» chiese il cucciolo d'uomo, accompagnandosi con un gesto esplicativo.

«Skàla e mano stesso grande» rispose Svoss.

«La lama e il manico devono avere la stessa grandezza» tradusse Gavister.

Continuò pazientemente a seguire l'esempio del golgothiano e, tempo un paio d'ore, scavò un solco tale da farci entrare la pietra levigata.

Svoss afferrò dei lacci di cuoio e una ciotola con della polvere bianca. Un pizzico d'acqua e la polvere divenne una poltiglia che Svoss spalmò per riempire gli spazi vuoti tra la skàla e il manico d'osso.

La poltiglia doveva seccarsi per tenere e diventare un collante duraturo; per evitare che i due pezzi si staccassero in battaglia, veniva avvolto un laccio di cuoio spesso e resistente attorno alla giuntura, poi veniva ricoperto il tutto un'altra volta con la stessa poltiglia.

«Skàla al sole ora!» stabilì Svoss.

Il golgothiano si alzò in piedi e conficcò l'arma nella terra arsa e Gavister lo imitò.

Anche gli altri fecero la stessa cosa e quel lembo di terra divenne pieno di armi con i manici rivolti verso il sole di mezzogiorno, dove furono abbandonate fino al crepuscolo.

Svoss lo prese per la collottola quando giunse il momento e lo portò a prendere la skàla.

L'impasto si era seccato e il manico, la lama e il laccio di cuoio erano diventati un pezzo unico.

Svoss prese la sua e provò qualche mossa, mentre Gavister guardava l'arma che aveva fatto con le proprie mani.

Era un'arma primitiva e nulla aveva a che vedere con la spada di Ungar, l'arma in dotazione all'esercito imperiale.

«Acqua, ora!» decretò Svoss.

Lo guidò fino al fiume, dove altri golgothiani stavano legando le proprie lame a dei rami secchi conficcati nella terra della riva del fiume.

Le lame venivano immerse nei flutti impetuosi del Mirith, mentre i manici restavano sulla terraferma.

«Tre giorni» disse Svoss.

«Tre giorni nel fiume? Perché?»

Svoss provò a rispondere, ma la sua scarsa conoscenza della lingua degli uomini gli impedì di essere esauriente.

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