Capitolo 23 - L'ambasciatrice di Zetra

4 1 1
                                    

Nel mezzo di un paesaggio collinare, il fragore di una corrente trasportava via tutto con sé, le preoccupazioni come i pensieri più felici, sovrastando le chiacchiere dei cittadini di Lumivia.

Il fiume Jago correva dai monti al mare tra mille salti e tortuosità ed era una fonte tanto importante che, nel punto in cui zigzagava per dribblare le colline, gli uomini decisero di costruirci attorno una città, la più grande e magnifica dell'est del continente di Agura.

Il fiume Jago entrava in tutta la sua larghezza e vigorosità all'interno del perimetro di Lumivia tramite una breccia nelle mura, tappata da un cancello a saracinesca in ferro battuto, attraverso le cui inferiate l'acqua poteva passare.

Essa scorreva ben canalizzata e protetta dagli argini che facevano da scudo alla città in caso di piena, per poi uscire da un secondo cancello del tutto identico al primo.

Lumivia si estendeva su più colline e su una di esse sorgeva il Castello d'Ambra, dimora dell'imperatore Meltero.

Quella meraviglia divenne tale negli anni grazie al lavoro di numerosi architetti alle dipendenze di governanti che, avvicendandosi nel tempo, avevano mostrato il desiderio di darle un tocco personale.

A essere determinante per l'ampliamento del castello fu l'ego dell'imperatore Meltero, il quale decise di consacrare la propria casa come testimonianza della propria grandezza.

Il Castello d'Ambra si elevava su quattro piani con decine di stanze, sei torri, circondato da giardini e vigne con tanto di fontane in marmo, simbolo dell'arte più elaborata.

Meltero volle legare il proprio nome a quello di artisti che riteneva sarebbero divenuti immortali grazie alla loro arte e, per questa ragione, dava loro alloggio trattandoli con ogni riguardo. In cambio chiedeva soltanto di scegliere le opere di proprio gradimento. Alcune le teneva per sé, mentre altre le regalava a personalità illustri: maghi, nobili o sovrani di altri domini. Quelle che non gradiva rimanevano nelle disponibilità del creatore; così le poteva vendere e tenere il ricavato.

Meltero non avrebbe mai distrutto un'opera d'arte, anche se lo disgustava; perché l'arte non apparteneva a chi la creava, a chi la comprava o a chi la riceveva in regalo, ma a tutti. Per questa sua linea di pensiero, si guadagnò il titolo di più grande mecenate vivente.

La scalinata legava la reggia al resto della città ed era percorsa da artisti, maghi, vassalli dell'impero e, talvolta, da ambasciatori di altri regni.

Questa volta sarebbe stato diverso.

Un corteo di strane figure procedeva scalino dopo scalino. I vestiti eccentrici in cui erano avvolte le facevano sembrare bizzarre. Ognuna portava una toga coperta da una serie di drappi variopinti che cadevano dalle spalle, che giravano attorno alla vita o che scendevano lungo i fianchi. Anche le loro acconciature davano nell'occhio, i capelli sistemati in code e treccine.

A guidare il corteo c'era una donna slanciata, gli occhi azzurri, sottili e profondi, e i capelli blu, lunghi e lisci. Si addentrò nel castello di Lumivia, tra i pavimenti e le colonne di marmo rosso e le decorazioni d'ambra.

La delegazione venne accolta da Otebras, il mago della corte imperiale.

La figura del mago di corte era tenuta in alta considerazione dall'imperatore e Otebras sapeva far valere le proprie opinioni. Era un uomo intransigente e intelligente, un mago tremendamente in gamba; per qualcuno, era addirittura a un livello superiore rispetto a molti maghi dell'Adunanza.

Portava una tonaca lunga fin sopra i polpacci di colore rosso fuoco, che si allacciava sul davanti, dai bordi bianchi e i bottoni dorati; al di sotto di essa un paio di pantaloni neri e stivali dello stesso colore.

Lo spettro di AmaraxDove le storie prendono vita. Scoprilo ora