59 - @Lennyspillet09

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Lista 59

Lennyspillet09

Un raggio di sole serpeggiò furtivo dal lucernario della soffitta, creando un cono di luce che rivelò, tra la moltitudine di roba vecchia e accatastata disordinatamente, un baule polveroso e scolorito, che ai suoi tempi doveva aver fatto la sua fi...

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Un raggio di sole serpeggiò furtivo dal lucernario della soffitta, creando un cono di luce che rivelò, tra la moltitudine di roba vecchia e accatastata disordinatamente, un baule polveroso e scolorito, che ai suoi tempi doveva aver fatto la sua figura.

L'odore di naftalina che caratterizzava quel luogo mi inondò le narici non appena vi misi piede, per colpa della poca luce che rischiarava la stanza polverosa le ombre mi parvero deformi e inquietanti non facevano altro che aumentare l'angoscia e la soggezione che quel luogo instaurava in me ogni vota che vi entravo.

Quando ero bambino quella stanza mi faceva non poca paura; con le sue ombre deformate, l'odore acre di naftalina e il ronzio della caldaia scaturivano in me i più profondi timori e le più sviluppate paure.

Negli anni, poi, avevo iniziato a sentirmi attratto dalla soffitta, quasi come se vi appartenessi, e avevo iniziato ad apprezzarne la bellezza, i decenni di storia che nascondeva avevano iniziato ad appassionarmi.

Nelle ombre della soffitta continuavo però a vedere delle figure ed avevo la sensazione che queste mi seguissero con lo sguardo ogni volta che varcavo la soglia di quel luogo, quasi come se mi stessero aspettando. Erano il mio tormento, e contemporaneamente erano anche il mio conforto.

Non capivo perché quel luogo mi attraesse tanto, forse era il fatto di avere accesso a un qualcosa di tanto misterioso a far scaturire in me quel desiderio di saperne sempre di più, quella voglia di ignoto; quel bisogno di solitudine che quel luogo, con le sue ombre e i suoi rumori, colmava perfettamente.

Ogni tanto mi ritrovavo a frugare tra gli oggetti della soffitta, le mie pallide mani vagavano in ogni scatolone, ogni armadio, ogni angolo, senza però vedere il loro desiderio di scoprire ed esplorare ignoto pienamente soddisfatto.

Così, mi ritrovavo ogni volta ad essere insoddisfatto, a volere di più; e la superbia e l'arroganza non portano mai sulla buona strada, e io lo sapevo bene. Eccome se lo sapevo, lo sapevo benissimo, molte esperienze me lo avevano dimostrato.

Come quel giorno quando mi ero inginocchiato davanti al baule polveroso e scolorito che ormai da qualche tempo mi attraeva, quasi come se mi chiamasse per nome, e mi ero ritrovato nuovamente a perdermi in decenni di vita che quel luogo aveva visto scorrere incessantemente come la sabbia in una clessidra.

Quando sollevai il coperchio della cassa uno sbuffo di polvere si sollevò creando forme astratte nell'aria calda che riempiva ogni angolo di quel luogo, come se la polvere attecchisse a figure invisibili ai miei occhi; come fantasmi.

L'interno del baule era in legno, ormai scheggiato e sbiancato dal passare degli anni. Pareva morto, svuotato dalla vita che lo aveva animato anni e anni prima.

All'interno della cassa non c'era molto; dei fogli bianchi, una penna e una boccetta di inchiostro rosso... No, non era inchiostro.

Una sensazione di panico mi invase da capo a piedi.

Chiusi il baule con un tonfo sordo, inorridito da ciò che avevo appena visto.

Quello decisamente non era inchiostro; quello era sangue.

Un sibilo mi giunse alle orecchie, come se la soffitta disprezzasse la mia reazione e fosse infastidita dal forte rumore che avevo creato chiudendo il coperchio del baule tanto frettolosamente.

Mi feci coraggio e aprii nuovamente il cassone, presi un foglio, poi un secondo ed infine un terzo. Erano lisci al tocco, sottili e morbidi come petali di rosa, ma bianchi e freddi come il marmo.

La penna che si trovava con questi all'interno del cassone era una penna stilografica dal manico in freddo metallo colorato di marrone e dalla punta metallica affilata, come la lama di un coltello.

Con un respiro tremante presi la stilografica in mano e me la rigirai tra le dita, era pesante da maneggiare e la trovai incredibilmente fredda sotto il tocco delle mie dita.

Titubante presi la boccetta contenente il liquido scarlatto, era una boccetta di vetro trasparente quadrata e chiusa con un tappo di sughero sigillato tramite della cera alla boccetta.

Con mani tremanti svitai il tappo del contenitore e l'odore pungente e ferruginoso del sangue mi fece contorcere il volto in una smorfia di puro disgusto.

Intinsi la penna nel rosso contenuto della boccetta e lasciai cadere una goccia di sangue su uno dei fogli, il liquido rifletté per qualche secondo la luce del sole, poi venne assorbito dal foglio lasciando una macchia visibile perfettamente su entrambi i lati della carta.

Intinsi la penna nel sangue ancora ed ancora, scrivendo parole che mai verranno scoperte da altri, sui fogli presenti nel baule.

Scrissi parole per rimpiangere il mio nome, disprezzando ciò che la vita mi aveva riservato e esprimendo il dolore che non faceva altro che annullare ogni singolo istante della mia futile esistenza.

Compiere quell'azione mi portava a volerla ripetere ancora ed ancora, come se fosse la soluzione; la mia soluzione.

Le ombre della soffitta si fecero pian piano più reali rivolgendomi parole sottoforma di sibili e scricchiolii; non erano veri mostri, compresi, erano il riflesso del mio animo, e quella soffitta sola e dimenticata ero io.

Improvvisamente il sangue che la penna utilizzava per scrivere non era più quello della boccetta del baule; era caldo, come se appartenesse ad un corpo ancora in vita.

Mi guardai le mani e le vidi coperte di sangue, il mio sangue. I fogli stavano tornando bianchi e la boccetta si stava riempiendo nuovamente, colmandosi con il sangue di un'altra vittima che quel luogo, con i suoi misteri così perversamente intriganti, era riuscito a mietere.

Il battito del mio cuore accelerò e si fece più irregolare, ero totalmente inorridito per ciò che era appena accaduto, il mio cervello si ritrovava incapace di metabolizzare le innumerevoli informazioni che gli arrivavano.

Il mio respiro si fece affannato mentre cercavo di allontanarmi a tentoni dal baule pulendomi, senza successo, le mani nei pantaloni.

Caddi in ginocchio e dalle mie labbra non uscì altro che un lieve gemito mentre un rivolo di sangue scarlatto, bollente e appiccicoso mi scorreva dalla bocca socchiusa passando giù per il mento e finendo col gocciolarmi sulla camicia bianca che ormai era tinta di porpora.

Sentii ogni minimo brandello di energia abbandonare il mio corpo che giacque inerme sul pavimento polveroso di quella stanza che avevo amato tanto quanto ora la odiavo.

Forse appartenevo a quel luogo, a quelle ombre. Forse le figure nascoste nell'oscurità mi avevano davvero atteso per tutto quel tempo.

"Tobias..." sussurrò una voce, era il mio nome.

Mi guardai intorno ancora una volta; i mostri della soffitta non c'erano più, erano morti.

E compresi che lo ero anch'io.


   

Sfida di Scrittura Creativa 2.0 (APERTA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora