CAPITOLO 7

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VEGA

Non ci fu nessun funerale.

Nessuna commemorazione.

A nessuno importò niente della loro morte.

Mi permisero solo di seppellirle vicine, in una fossa che scavai da sola, con una pala. Dopo la prova, non avevo avuto notizie di Roxi e Talia. Rientrai nelle nostre camere solo con tre ragazze del mio gruppo con cui non avevo scambiato nemmeno una parola dal primo giorno. Continuò a piovere tutto il pomeriggio e tutta la notte, come se anche il cielo piangesse la perdita di Michelle e Lea. Nonostante questo, cominciai a scavare e lo feci per ore, fino a quando i loro corpi non furono sotto terra, completamente coperti e con dei rametti a formare delle croci sopra. 

Sulla terra scrissi: Qui giace l'amore puro, consapevole che la pioggia avrebbe lavato via tutto. Avevo i capelli fradici, la pelle ghiacciata e i vestiti appiccicati addosso, ma non avevo freddo.

Non versai nemmeno una lacrima.

Mi sentivo così vuota.

Il viso spaventato di Michelle e la mano di Lea che mi porgeva la pistola erano sempre davanti agli occhi ed ero sicura che mi avrebbero perseguitato per molto tempo. Entrai in "casa" e sbattei la porta, incazzata perché le altre tre ragazze che avevano vinto come me, si erano rifiutate di venire a fare loro un omaggio. Quella mattina non avrei mai immaginato che la giornata potesse concludersi in quel modo. 

Ora ero davvero sola. Mi feci una doccia calda e sentii il calore entrare nelle ossa, chiusi gli occhi e mi imposi di provare qualcosa, ma anche la rabbia sembrava volere una pausa. Ogni parte di me era esausta e voleva solo tornare a casa, prendere Ottavia e fuggire via. Ottavia ... Chissà come stava la mia famiglia, cosa aveva deciso di fare il Direttore con loro. Ero preoccupata solo per la mia sorellina, ma loro potevano pure fottersi. Tutto questo esisteva anche per colpa loro. Non li avrei mai perdonati.



Passarono due giorni dalla prima prova e il silenzio che circondava il parcheggio, la foresta e le case non era mai stato così inquietante e ... assordante. Fummo chiamate per la seconda prova e riunite nella sala ancora una volta, ma ne eravamo decisamente di meno rispetto ai giorni precedenti. Che stavano facendo tutte? Dove le avevano portate? Smisi di farmi domande quando Madame mi si avvicinò furiosa, come sempre, e mi prese dall'orecchio. Trasalii per il dolore e la sorpresa e le afferrai il polso mentre mi trascinava. "Sono stanca di te. Spero che quegli animali ti ammazzino, hai portato fin troppe rogne quest'anno" ringhiò.

"Non ho fatto nulla" le risposi tra i denti, cercando di non farmi prendere dalla rabbia. Attraversammo dei corridoi e mi fece entrare in uno studio, mentre lei uscì sbattendo la porta. Il pavimento elegante bianco e lucido era ricoperto da un tappeto nero soffice, in corrispondenza di un tavolino e delle poltrone di pelle nere. In un angolo c'era un mobiletto nero di legno verniciato, con sopra diverse bottiglie di vetro piene di liquidi scuri e trasparenti e dei bicchieri. Al centro c'era una grande scrivania con un computer, dei fogli e una poltrona nera. 

Dietro la scrivania, in piedi e di spalle, c'era il Direttore, che osservava un quadro posto sulla parete. Riconobbi Dante e Virgilio, poi una lonza e un lupo e capii: ritraeva alcuni simboli dei sette peccati capitali. Il Direttore lo osservava assorto, con le mani incrociate dietro la schiena. Aspettai in silenzio che parlasse e mi guardai intorno. Quello studio era immacolato e non trovai nulla che potesse aiutarmi a capire anche solo quale fosse la prossima prova. Del resto, dovevo ancora capire cosa ci facessi io lì.

"Mi ha sempre affascinato la Divina Commedia" cominciò lui, dandomi ancora le spalle. Dopo qualche secondo sospirò e si girò, scrutandomi. "A te no?" mi chiese impassibile. 

LE SETTE DAMEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora