CAPITOLO 3

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DANIEL

Corsi per le strade di New Orleans nella mia macchina costosa e scalai marcia rallentando, mentre nell'altra mano stringevo una sigaretta. Sentii il rombo della mia macchina e inspirai per quanto fottutamente bello era sentirlo. 

Perché il mio impero era nato dal nulla ed io ero riuscito in pochi anni a farmi spazio tra gli squali di questo mondo. Ne ero diventato il fottuto re. Parcheggiai nel garage blindato di una delle mie banche e presi l'ascensore, dirigendomi ai piani inferiori. Quel posto era un fortezza e chiunque avesse provato ad entrare, non ne sarebbe uscito libero. O vivo. 

Dipendeva da quanto mi faceva incazzare. Mi guardai allo specchio e mi sistemai la giacca, lisciandola.

Stai attenta Vega, a giocare con il fuoco prima o poi ti bruci.

Sono io il fuoco.

Quella ragazza mi era entrata in testa già dalla prima sera in cui la vidi al locale di Rufus, bella da togliere il fiato e costantemente imbronciata. Ogni volta che posavo gli occhi sul suo viso, la vedevo con il labbro inferiore sporto leggermente e avrei voluto morderglielo e succhiarlo. 

Poi l'ho fatto davvero. Non sapevo perché l'avesse fatto, ma mentre si dirigeva verso di me avevo visto nei suoi occhi determinazione. 

Aveva un obiettivo. Uno scopo. 

E non mi piaceva chi mi usava per dei tornaconti personali, non senza ricevere qualcosa in cambio. In realtà qualcosa avevo ricevuto da lei, ma non mi bastava, volevo capire cosa nascondesse. E l'avrei scoperto. 

Fare ciò che aveva fatto davanti a tutti, era ben cosciente dei rischi che avrebbe corso. Infatti non vidi confusione o paura nei suoi occhi quando la trascinarono via. Solo soddisfazione. 

E io le avevo ordinato di fermarsi e non l'aveva fatto. Ragazza insolente. L'avrei trovata e poi punita. 

Mi passai la mano tra i capelli, portandoli all'indietro, nervoso, e uscii dall'ascensore quando le porte si spalancarono. Entrai nella sala computer e come sempre, trovai la mia squadra a lavorare. 

"Jake, voglio un cazzo di nome" affermai nervoso al mio migliore amico. Ingegnere informatico, lavorava per me da quando aveva cominciato a muovere le dita su una tastiera per la prima volta. 

"Ehi amico, ci sta lavorando Jane, dalle tempo. Ci hai detto solo come si chiama" si tolse gli occhiali e si sgranchì le gambe. Sbuffai, impaziente e bussai alla porta di Jane, sua sorella gemella, investigatrice privata. A permesso accordato, entrai e la trovai seduta sulla sua sedia girevole, intenta ad accarezzare i capelli ad una ragazza accovacciata al suo fianco mentre le dava un lungo bacio con tanto di lingua, davanti a me. Le sussurrò qualcosa nell'orecchio e sorrise maliziosa, dandole uno schiaffo sul culo quando la ragazza si alzò e andò via, guardandomi imbarazzata con la coda dell'occhio. 

"Jane potresti smetterla di scoparti tutte le mie dipendenti?".

"Perché? È così divertente!" rise lei.

"Non per me, se poi le molli tutte e si licenziano! Ti pago per lavorare e fare ciò che ti dico, non per sedurre le mie dipendenti!" mi tolsi la giacca e la poggiai sulla sua scrivania, mentre lei rideva di me. 

"Ci proverò ma non posso prometterti nulla" rise ancora e indossò i suoi occhiali da vista, facendosi improvvisamente seria. Jane era una ragazza eccentrica e particolare, con i suoi capelli viola e i suoi piercing inquietanti, che ripugnava la monogamia e pensava solo a godersi la vita e le donne, ma nel suo lavoro era veramente professionale e fottutamente brava. Per questo lavorava per me.

LE SETTE DAMEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora