27 † Indole bambina †

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La notte ogni paura si risveglia,

di notte nascono le speranze, con la notte e nella notte io credo.

Ho paura di chiudere gli occhi, perdere i sensi

e che tutto scorra via da me.

Ho paura di dimenticare ancora.

Ho paura di scordarmi il tuo sorriso, i tuoi occhi.

Ho paura di dimenticare che ti amo.

Ho paura che il mio cuore non riesca a reggerlo.

Ho paura di sentirmi vuota

e dimenticare cosa vuol dire vivere davvero.

Voglio rimanere sveglia ancora un po' per ricordarlo.

Qui, nel buio, con te e il silenzio che ci avvolge.

Voglio che le tue carezze brucino sulla mia pelle

da lasciare cicatrici indelebili.

Ti voglio con me, sempre.

Quando arrivò ad Haverock pioveva. Le gocce d'acqua cadevano copiose e fitte sul suolo terroso.

«Bentornata!» la salutò Oliver, al riparo sotto una quercia secolare.

Ellen lo raggiunse. Si guardò intorno rubando forza alla natura: gli alberi rifiniti di muschio, il cielo invaso da nubi grigie e striature nere. Quella giornata rispecchiava il suo umore, il tormento che provava davanti alla paura di pronunciare quelle parole.

«Hai trovato ciò che stavi cercando?» le chiese.

«...Non posso!» disse senza aggiungere altro.

«Prima che tu te ne vada, ho bisogno di dirtelo» urlò Oliver per sovrastare il temporale sopra di loro poi la guardò intensamente negli occhi. Non servivano parole, il suo sguardo parlava da solo, ma le pronunciò comunque: «ho creduto in noi con tutto me stesso e non ho mai smesso di amarti». Infine si voltò mentre Ellen rimase a guardarlo andar via sotto quella tempesta che lei stessa aveva generato, fino a quando scomparve definitivamente nelle tenebre.

Il respiro di Ellen si univa al soffio del vento, diventando unico spasmo del cuore, le lacrime cadevano insieme alla pioggia impetuosa sul suo viso perlato in un chimismo osmotico naturale rendendolo rifrangente perfino alla folgore. I suoi vestiti, come una seconda pelle, erano filtrati nel suo corpo: serpenti pronti a stritolarla prima di uccidere e, come se emergesse dalle acque di un incubo, gridò alla notte.

Ellen tornò all'Ateneo e venne accolta da un vivace fuoco che scoppiettava nel salone principale ma si fermò quando sentì due persone parlare.

«Cosa faremo con l'amuleto?»

«Attiveremo il portale prima che sia troppo tardi.»

Erano i suoni che amava, le voci di Daniel e Harvey. Rimase nascosta, saziando la mancanza. Osservò Daniel seduto in poltrona: i suoi occhi erano cerchiati di nero, i lividi viola sulle nocche delle mani, i capelli arruffati che continuava a tormentarsi con le dita. Atteggiamento che Ellen conosceva bene.

«... Mi manca così tanto» gli confidò Daniel.

Ellen, adesso completamente raggiante, corse ad abbraccialo «anche tu mi sei mancato!»

«Oh sorellina!» esclamò Harvey stringendo entrambi.

«Sono così felice di essere a casa!»

La mattina successiva si riunirono tutti e cinque. Con l'amuleto in loro possesso non gli restava altro che aspettare quindici giorni, attesa della luna piena per eseguire il rito nel grande Auditorium.

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