18 † Una polvere nera †

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Era il crepuscolo. In lontananza si intravedevano nuvole chiare e spesse intente a voler coprire il cielo cinereo. Ellen si guardò intorno: ora, trovò con facilità la sua bicicletta nel punto dove l'aveva abbandonata. Era stata via per tanto tempo ma tutto sembrava esser rimasto immutato, congelato. Stava iniziando a nevicare, esattamente come era successo quella volta.

Pedalò velocemente sulla ciclopista del Viale Apua che si tingeva di bianco diretta a casa: una piccola casetta con spiccanti tegole rosse, un'umile dimora dove aveva vissuto per tutta la sua vita. Ellen adorava stare seduta in veranda a leggere, circondata da una silenziosa natura che le regalava momenti intensi. Inverno, primavera, estate, autunno, ogni stagione piena di ricordi.

Il vialetto lastricato divideva il giardino in due grandi parti dove l'erba verde rabbrividiva sotto la fredda rugiada. Vide il pick-up di suo padre e un grande sollievo investì la sua anima. Stava per incontrare l'uomo che l'aveva cresciuta, anche se adesso sapeva: non era stato lui a donarle la vita.

Prese un bel respiro ed aprì la porta realizzata in legno di castagno che cigolò per il suo tempo. Edgar era in cucina intento a preparare la cena.

Ellen respirò a fondo il familiare profumo di casa misto a zucchini ripieni. Era il piatto preferito di Oliver, ciò annunciava il suo arrivo per cena. Un brivido si fece strada per tutta la sua schiena pensando alle parole che si era ripetuta nella mente per dirgli addio.

«Ehi piccola, com'è andata la giornata?» le chiese in tono tranquillo suo padre. Lei corse ad abbracciarlo, sorprendendolo. «Ellen, va tutto bene?» domandò adesso preoccupato.

«Sono solo felice di vederti» si limitò a dire, confusa dalla ordinaria placida serenità di suo padre.

Andò in camera cercando di riordinare i pensieri. Il calendario appeso al muro vicino al letto segnava il 3 agosto, ipotizzò che suo padre non fosse più entrato in camera sua ma tutto era così perfettamente in ordine e pulito.

«Che giorno è?» gli domandò.

«Il 3 agosto» le rispose automaticamente lui.

Allora accese il pc, arrivarono un paio di notifiche sulla sua pagina Instagram e un messaggio fece lampeggiare il suo telefono sulla scrivania.

Era di Oliver: sto arrivando.

Pochi istanti dopo bussò alla porta. «Ciao Ed!» Quel timbro di voce l'avrebbe riconosciuto sempre, era inconfondibile e le arrivò dritto allo stomaco mentre l'ansia di rivederlo si faceva strada dentro di lei.

Ellen li raggiunse in cucina, dove li trovò intenti a parlare di una partita di basket appena conclusa. Oliver era di schiena, seduto al bancone, con indosso la sua logora tuta preferita e le scarpe d'allenamento. I capelli castani gli ricadevano sugli occhi, l'ultima volta che l'aveva visto Ellen gli aveva proposto di tagliarseli ma lui si era intestardito in volerli far crescere ancora. Se li pettinò all'indietro con una mano dalla quale brillò argenteo l'anello che gli aveva regalato lei per San Valentino.

«... È in camera» stava dicendo suo padre ed Ellen si nascose prima che Oliver si voltasse per raggiungerla. Il suo cuore andava a mille mentre sentiva il rumore dei passi avvicinarsi.

«Ciao Elly» la salutò andandole incontro per abbracciarla, Ellen rimase immobile, stranita da quel contatto. Oliver, che non si era accorto di niente, le raccontò la sua giornata. «Oggi l'allenamento mi ha distrutto ma sto facendo progressi, anche il coach si è complimentato. Invece la tua giornata com'è stata?»

L'ultima volta Oliver le aveva rivelato della proposta ricevuta per entrare nella sua squadra di basket preferita, un'occasione molto importante e di cui erano entrambi felici. Le aveva raccontato tutti i minimi dettagli, anche quelli più superflui, euforico di condividere la sua piccola vittoria, il suo sogno che si stava realizzando.

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