38) Ti amo Ginny, mia fragile e dolce stellina

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Due giorni dopo al funerale...

Fu uno dei viaggi più strazianti della mia vita, non l'avrei mai più riavuta indietro.
Guardavo fuori dal finestrino, il cielo era grigio e ricoperto di nebbia, una nebbia sporca e pesante.
Nessuno stava parlando.
In mano tenevo stretto un mazzo di rose nere, ero finalmente riuscito a trovarle, mia mamma aveva dovuto perlustrare centinaia di negozi di fiori sparsi per la città, ma ne valeva la pena.
Certo, avevo avvisato i genitori del mio acquisto per lei, ne erano grati (la mamma era felice, al babbo non poteva fregare proprio niente).

Le amiche della Ginevra invece le avevano scelto gli abiti per la sepoltura, un vestito nero con le maniche di pizzo che sul fondo si allargavano, sotto aveva delle calze bucate, al collo le avevano fatto portare ciondoli non troppo ingombranti, poi le avevano anche fatto sistemare il trucco, aggiungendo del rossetto violaceo e ritoccando l'ombretto.
Non le avevano voluto scegliere dei vestiti troppo stravaganti, a lei non sarebbe mai piaciuto essere sepolta con cose costosissime.

Iniziai a piangere.

Non ero mai uscito di casa dopo essere tornato dall'ospedale, ero rimasto chiuso nella mia stanza con il pupazzo a coniglietta stretto fra le braccia.
Aveva il suo profumo.
In ogni angolo guardassi della stanza vedevo qualcosa che si ricollegava a lei: le nostre foto appese al muro, la cornice che mi aveva regalato a Natale, il librino delle cose "spicy", i gioielli...
Al braccio portavo sempre il suo braccialettino di perle, da quando se n'era andata faceva un effetto diverso quel colore.
I suoi occhi, non li avrei più visti aperti.
L'ultima volta era stata la sera prima in videochiamata, sembrava felice.
Mi ero dato da solo una falsa speranza, credevo davvero che era migliorata.
No, era solo una bravissima attrice.
Non aveva difetti, sapeva fare tutto, era piena di talenti segreti.
Davanti a me avevo una persona destinata ad essere conosciuta per la sua passione della scrittura, invece il suo destino era che non arrivasse nemmeno ai diciotto anni.
Quanto poteva essere ingiusto.

Il mio stomaco brontolava ma io non avevo fame, i miei occhi si chiudevano da soli eppure non avevo sonno.

Improvvisamente il mio cuore prese a battere nuovamente in modo così violento da darmi noia alle costole, proprio come quando avevo visto il suo corpo nell'acqua.

Quell'immagine terrificante mi perseguitava, ogni volta che battevo ciglio mi spuntava davanti quella dannata vasca da cui era colata fuori l'acqua ghiaccia macchiata dal suo sangue, il suo volto tirato all'indietro, i suoi capelli scompigliati attaccati alla schiena dato che erano mezzi, il mio naso mi faceva risentire quell'odore di bruciato e di umidità.

Le dita tornarono a formicolarmi, iniziai a respirare a fatica, sembrava quasi che avessi l'asma.
Non riuscivo più a controllarmi.
Ero entrato nel panico più totale di nuovo.
Quelle immagini sarebbero rimaste chiare a me fino a che non l'avrei seguita anche io in cielo.

Le mie gambe avevano iniziato ad agitarsi, stavo facendo tremare i sedili della macchina.

Tom mi appoggiò delicatamente una mano sul braccio e poi mi strinse.
<<Respira con me, dentro, fuori>> Disse calmo.
Io Tentai di seguirlo.
No, troppi ricordi.
Era la stessa cosa che facevo Con la Ginevra quando scoppiava a piangere.
Scossi la testa arricciando le labbra.
<<No Tom, io non sono niente senza di lei>> Balbettai impanicato posando le rose sulle mie gambe per poi appoggiarmi le mani al petto.

Lui annuì.
<<Cosa avrebbe voluto lei da te? Il meglio. Non avrebbe mai voluto che te ti arrendessi così, lei voleva che tu inseguissi i tuoi sogni, non buttare tutto all'aria>> Tom tirò qualcosa fuori dalla sua tasca.
<<Tieni, un cioccolatino, so che non ti piace ma ti aiuta ad avere un po' più d'energia>> Lo scartò e me lo infilò in bocca.
Lo buttai giù come se fosse stato veleno.

human connect to human // Bill Kaulitz Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora