Capitolo 9.

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ETHAN.
«Ethan, aspetta». Eh?
Corrugo la fronte e apro gli occhi. Accanto a me, Jamie si muove nel sonno. Mantengo la mia testa con la mano e mi avvicino un po' a lei, stringendo gli occhi per quelle fottute fitte di dolore alla gamba.
«No, ti prego», bisbiglia. Le sfioro il viso e mi accorgo che è bollente e completamente sudata.
«Jamie», la chiamo. Lei continua a lamentarsi. Scendo con fatica dal letto e zoppico fino all'interruttore, accendo la luce e mi avvicino a lei. Indossa ancora quell'abito, non ci siamo nemmeno accorti di esserci addormentati. Deglutisco e le sfilo le scarpe, poi abbasso la slip del vestito e la spoglio, lasciandola solo in intimo. Adesso sentirà meno caldo. Almeno lei.
«Jamie», la chiamo ancora, muovendole un po' il braccio. Niente, non risponde. Decido di lasciarla dormire, dunque torno a letto. Con lei lì mezza nuda fatico a riprendere sonno, rimarrei a guardarla ore ed ore. Quando la mattina mi sveglio lei non è al mio fianco. È domenica, quindi non dovrebbe essere a lavoro. Mi sollevo con la forza delle braccia e mi metto seduto. Poteva almeno salutarmi prima di andare. Sbuffo e mi avvio a rallentatore verso la cucina. Ciò che vedo mi fa sorridere. Jamie sta cucinando qualcosa, è girata di spalle e la osservo mentre si solleva sulla punta dei piedi per prendere dei biscotti da uno scaffale. Indossa una mia maglietta che le copre a malapena il sedere. Distolgo lo sguardo dal suo didietro e mi siedo su uno sgabello. Finalmente si accorge di me e sorride, una guancia sporca di farina.
«Buongiorno», le sorrido.
«Buongiorno», risponde allegramente, «Ho preparato i pancake»
«Si vede», ridacchio. Le faccio cenno di avvicinarsi e le pulisco la guancia con un dito. «Grazie», bisbiglia.
«Allora? Mangiamo?». Annuisce e si affretta ad apparecchiare la tavola, viene però interrotta dal suono del suo cellulare. Lo afferra e mi lancia un'occhiata, poi risponde.
«Ehi», dice. La fisso mentre cammina avanti e indietro.
«Sì... Certo», ride, «Mh, non sono impegnata. Va bene. A stasera». Appoggia il cellulare sul bancone della cucina e si volta a guardarmi.
Deglutisco, ho la gola secca.
«Chi era?», le chiedo.
«Quanti pancake?»
«Chi era?», ripeto.
Sbuffa, «Chris». Mi mette davanti un piatto con i pancake e del succo di frutta, dunque si siede davanti a me.
«Uscite insieme stasera?»
«Sì, ma dai, mangiamo». Afferra la forchetta e si sforza di farmi un sorriso.
«Non ho più fame», spingo il piatto e mi alzo, «Vado a farmi una doccia».

JAMIE.
Fisso la sedia vuota di Ethan e sospiro. Che gli prende? Ha sempre fatto delle scenate, ma ultimamente sono sempre più frequenti e più turbolente. Non so che fare, che pensare. Sento il rumore dell'acqua e mi alzo. Metto in ordine, poi mi avvicino alla porta del bagno. Devo parlargli. Busso una volta, un'altra ancora. Lui non mi risponde, ovviamente. Odio quando si arrabbia e non mi rivolge nemmeno la parola. Allora decido di entrare. Stringo i pugni e deglutisco, scosto la tenda della doccia e chiudo l'acqua, cogliendolo di sorpresa. Mi concentro sul suo viso.
«Che cazzo ci fai qui?», cerca di coprirsi con la tenda. Ha gli occhi spalancati e sbatte continuamente le palpebre.
«Dobbiamo parlare», mi trema la voce.
«Non possiamo parlare dopo?»
«Dobbiamo parlare», ripeto.
«Non ho voglia di parlarti. Esci»
«No»
«Esci», ripete.
«No»
«Allora entra», dice afferrandomi il braccio e trascinandomi dentro la doccia. Sento le guance andare a fuoco. È completamente nudo e mi guarda con aria di sfida, un sorriso malefico stampato sulle labbra.
«Il tuo Chris non si arrabbia se viene a saperlo?»
«Ethan»
«Chissà come reagirebbe se sapesse che sei sotto la doccia con un ragazzo», continua, «È geloso?»
«Smettila. Fammi uscire», mi muovo di un passo, ma mi blocca contro le piastrelle.
«No. Parliamo», i suoi occhi sembrano lanciare fiamme.
«Fammi uscire»
«Di cosa volevi parlare?»
«Di questo!», urlo, allargando le mani, «Di queste tue scenate!»
«Scenate?», ride per finta, «Scenate? Ti sbagli»
«E come le definisci tu?»
«Esci», sbotta, lasciandomi libera.
«No»
«Allora esco io», fa per uscire, ma lo blocco stringendo il suo braccio. Guarda prima la mia mano, poi me.
«Che cosa vuoi ancora?», sussurra, «Che cosa vuoi da me?».
Il suo tono di voce mi fa tremare il cuore e mi fa salire le lacrime agli occhi. Lo lascio andare.
«Niente», riesco a dire con voce tremante, «Non voglio niente».

ETHAN.
Digito al computer l'ultima parte di un testo che Bob mi ha chiesto di copiare e sospiro non appena finisco. Il mio capo entra nello studio e si siede dietro la sua scrivania. Devo parlargli. Lo raggiungo e mi siedo davanti a lui.
«Cosa ti è successo alla gamba?», inarca un sopracciglio e tossisce.
Schiocco la lingua sotto il palato e inumidisco le mie labbra prima di parlare, «Giusto di questo dovevo parlarti»
«Della gamba?»
«No, Bob. Della cena di sabato».
Corruga la fronte, «Qualcosa è andato storto?»
«Mi hanno aggredito», dico, «Ma volevano aggredire te. Qualcuno vuole ucciderti, Bob».
La notizia non sembra sconvolgerlo più di tanto.
«Ethan», abbassa il tono di voce, «Come sei riuscito a liberarti di loro?»
«Ho detto che voglio ucciderti anch'io».
Sorride, «Devi stare attento. Io...», sbuffa, «Non volevo metterti nei guai».
È normale per me stare nei guai, vorrei dirgli.
«Non sei preoccupato?», chiedo.
«No. Non per me, almeno. Non m'importa di morire e non è la prima volta che tentano di farmi fuori»
«Non vorrai morire ammazzato, spero».
Scoppia a ridere, «Sei un bravo ragazzo», dice poi.
«Vedi di non farti piantare una pallottola nel petto», borbotto.
Annuisce. Rimaniamo lì a parlare anche dopo l'orario di lavoro. Quel vecchio mi fa morire dal ridere e non mi fa pensare a niente. Per un attimo mi sento con la testa leggera, senza pensieri.
«E che mi dici della tua ragazza?», chiede poi. Tasto dolente. Non doveva chiederlo.
«Non è la mia ragazza, Bob», mi alzo, pronto per fuggire da quella conversazione.
«Beh, la tua amica. Va tutto bene tra di voi?»
«Non sono affari tuoi». Mi viene in mente che non le parlo da tre giorni.
«Presumo di no, dunque. Perché?»
«Piantala»
Ride, «Scommetto che le urli sempre addosso, per questo non va bene. Alle ragazze piace essere trattate dolcemente di tanto in tanto»
«Smettila», ripeto ridendo.
«Trattala bene, Ethan, o te ne pentirai».
Sto per rispondergli, ma il suono del mio cellulare mi interrompe. Mi trema la mano quando il nome di Jamie lampeggia sullo schermo. Devo rispondere?
«Cosa stai aspettando?», borbotta il vecchio.
Ruoto gli occhi al cielo e mi avvicino alla porta.
«Jamie», rispondo.
Un singhiozzo mi fa venire la pelle d'oca e parla con voce tremante: sta piangendo.
«Io sto male», dice, «Questa situazione mi-mi»
«Jamie, che succede?»
«Niente», singhiozza, «Solo stavo guardando delle vecchie foto e... E c'eri tu e mi abbracciavi e... E ora», prende fiato, «Nemmeno parliamo e mi manchi».
Stringo gli occhi e sospiro, «Sto arrivando», dico, «Non piangere più, ti prego. Arrivo subito». Mi giro verso Bob e mi sorride. Ha ascoltato tutto. Afferro la giacca e mi volto per un secondo. Un fottuto secondo. E qualcuno spara.

Salve :)
Come state passando le vacanze? Io oggi ho passato tre ore di fila in acqua senza mettere piede fuori e adesso mi sento leggermente rincoglionita (perdonate la finezza). Duuuunque, sto ancora sgamando il wifi ma a breve dovrei tornare ad avere internet. Cosa pensate del capitolo? I prossimi capitoli saranno più movimentati e ci sarà qualche passo avanti tra Ethan e Jamie, ma non solo... (eh eh eh). Comunque, spero vi piaccia, fatemi sapere. Un bacio.

L'amore ci farà a pezzi.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora