Capitolo 17.

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JAMIE.
Ethan guarda prima me, poi mia madre. Non sa cosa fare e gli si legge nello sguardo.
Mi tremano le gambe e continuo a sussurrargli di non lasciarla entrare, ma sembra pensarci su e questo mi fa innervosire parecchio. Non guardo mia madre, ma sento i suoi occhi addosso.
«Jamie?», sussurra infatti, «Sapevo di trovarti qui». Stringo i pugni e mi guardo le scarpe. Che vuole da me? Non ha ancora capito che la odio? Ethan si muove nervosamente sul posto, sembra voler collassare da un momento all'altro, ma quello che crolla sul pavimento non é lui. Mia madre cade al suolo, provocando un tonfo sordo. Istintivamente faccio un passo avanti, poi torno indietro. Non merita il mio aiuto.
Ethan si fionda su di lei e la prende in braccio senza troppi sforzi, entra in casa e mi lancia un'occhiata, come se stesse aspettando il mio permesso. Vedendo che il mio sguardo non cambia, si avvicina al divano e la posiziona lì, «Non potevo lasciarla sul tappeto», sussurra. Si sente già in colpa.
Io non rispondo e lo osservo mentre la schiaffeggia piano per farla risvegliare.
«Vuoi farlo tu?», sorride e si volta a guardarmi.
Inarco un sopracciglio e vado in cucina, lasciandolo solo con mia madre svenuta. Sarà ubriaca, come sempre. Prendo la mia giacca e la borsa e torno in salotto. Mia madre sembra essersi risvegliata ed Ethan mi si para davanti, «Dove stai andando?»
«A casa mia», ringhio. Sono arrabbiata con lui, non doveva farla entrare. Una voce interiore mi dice che non poteva lasciarla a terra fuori, ma la ignoro.
Fa un cenno col capo verso mia madre e irrigidisce la mascella, «Non vorrai lasciarmi solo con lei», sibila.
Annuisco e cerco di andarmene, ma mi afferra il polso e non lo lascia nemmeno quando gli schiaccio il piede con tutta la forza che ho. Mi arrendo e sospiro, «Che vuoi?», mi rivolgo direttamente a mia madre. Lei sussulta e infonda i suoi occhi nei miei, «Volevo solo vederti», dice, «Non so dove abiti e quindi ho pensato di venire qui»
«Mi hai vista, ora puoi andare», le indico la porta e le sfugge una lacrima.
«Jamie...», è Ethan a parlare, non lo guardo.
«Pensi di venire a cercarmi e sistemare tutto?», urlo, Ethan sospira e anche lui attende la risposta di mia madre che non tarda ad arrivare, «Non sono stata io quella che è scappata».
Questo è troppo.
«Sono scappata perché lo hai voluto tu!», urlo ancora, «Hai fatto scappare papà, hai fatto scappare me e adesso anche Alex ti sta lontano! Fatti due domande».
Non risponde, annuisce e basta. Nella stanza cala il silenzio e sento gli occhi di Ethan addosso. Mi giro a guardarlo e deglutisce, poi incrocia le braccia al petto e fa una smorfia. Sembra un bambino imbronciato, con quei capelli neri sparati in aria e quei pozzi scuri che si ritrova come occhi. Continuo a guardare lui e per un attimo mi dimentico di mia madre, mi soffermo su ogni dettaglio del suo corpo. La mascella contratta, quel pearcing all'angolo delle labbra così rosse, le vene delle braccia, le sue gambe lunghe... Torno al suo viso e mi sento avvampare, si è accorto che lo stavo fissando e mi guarda con un sorrisetto divertito.
Mi schiarisco la voce, «Se non hai nient'altro da aggiungere, vorrei che tu andassi via».
Mia madre si alza e mi guarda dal basso verso l'alto, lo sguardo ferito e disgustato al tempo stesso: «Non accetti nemmeno il mio tentativo di fare pace»
«Non voglio fare pace», ribatto.
Guarda Ethan adesso, come se cercasse il suo aiuto, ma lui solleva le braccia e scuote la testa e questo la fa arrabbiare parecchio perché inarca un sopracciglio e sorride malefica, «Anche tu hai rinnegato la tua famiglia, piccolo Hamilton?»
«Tu non sei la sua famiglia», ringhio in sua difesa. Ethan è cresciuto insieme a me, ma mia madre non si è mai presa cura di lui. Non si è mai presa cura nemmeno di me, in fondo. Ho le lacrime agli occhi quando lei continua a parlare, «Non parlo di me, Jamie. Guardati intorno, non c'è nemmeno una foto di sua madre in questa stanza, nè di quel pover uomo».
Adesso è troppo. Non doveva menzionare il padre di Ethan. Apro la porta, «Fuori di qui».
Non si muove, quindi ripeto a voce più alta di andarsene. Scuote la testa e sospira, «È stato bello rivederti», sussurra e per un attimo riesco quasi a crederci. È una pazza. Un attimo prima sputa odio e un secondo dopo vuole la pace. Appena esce sbatto la porta e chiudo gli occhi, una lacrima attraversa la mia guancia e sospiro. Mia madre è matta. È svenuta per finta poco fa, ne sono sicura. È così contorta e sono sicura che questa visita aveva un secondo fine.
Quando torno a guardarmi intorno vedo che Ethan è ancora fermo, lo sguardo perso nel vuoto.
«Ethan...», mi trema la voce.
«È tutto apposto», dice, poi si chiude in camera sua sbattendo la porta così forte da far tremare i muri. E anche me.

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