Capitolo 23.

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ETHAN.
«Ehy, Bob», attorciglio il filo del telefono tra le dita e incrocio i piedi sulla scrivania, «Io ho finito tutto quello che avevo da fare per oggi, per dare il buon esempio un capo deve rimanere lo stesso fino a tardi in ufficio a fare finta di lavorare?».
Lo sento tossire e successivamente ridere, «Va a casa, figlio di puttana».
Sorrido e schiocco la lingua sotto il palato, «Passo a trovarti tra... », guardo l'orologio, «Venti minuti»
«Dico alla domestica di preparare la cena»
«La porto io», mi affretto a dire, «Chiedi alla domestica se le piace la pizza»
«Certo che le piace la pizza»
«Perfetto».
Qualcuno bussa alla porta, dunque metto i piedi giù e tengo il telefono all'orecchio per fingere di essere impegnato.
«Avanti».
Entra un uomo che mi sorride, le mani in tasca e uno sguardo da pazzo. Non lo riconosco subito, ma capisco chi è.
«Bob», mi schiarisco la voce, «Facciamo che arrivo tra un'ora. A dopo».
Metto giù il telefono e mi alzo dalla sedia.
«Brandon, caro figlio di troia»
«Non muoverti», dalla tasca estrae una pistola e me la punta contro.
«Questa scena non mi è nuova», ridacchio, lui rimane serio. Noto che la sua mano non trema questa volta.
«Il finale sarà diverso», si avvicina a me, «Devi morire»
«Non provocarmi, Brandon», mi siedo sulla scrivania, «Potrebbe scapparci il morto davvero e ti assicuro che non sarò-». Un botto mi ferma e adesso mi manca il fiato. La mia bocca si spalanca e il mio sguardo si posa sul mio stomaco, così come la mia mano che adesso è piena di sangue. Credo mi abbia sparato. Non pensavo potesse fare così male. Mi manca il fiato e non riesco a parlare, vorrei ammazzarlo e invece in questo momento credo di avere lo sguardo di un cerbiatto che ha perso la mamma. Impaurito, sofferente.
«Non ho mai odiato nessuno quanto te», sento piano la sua voce, «Siamo sempre stati nella stessa merda e guardati adesso, non ti va mai male niente. Un ragazzo ricco e a capo di un'azienda».
Credo stia piangendo, il suo tono di voce sembra più disperato.
«Sei... Matto», riesco a sussurrare. Dire queste due parole credo mi abbia tolto qualche minuto di vita perché sto soffrendo come un cane, «Se... Muoio», respiro a fatica, «Questa faccia ti-», tossisco, sento del sangue nella mia bocca, «Torturerà per tutta la vita».
«Muori figlio di puttana», risponde, poi spara ancora. E credo che stavolta sia tutto finito, perché non sento più niente.

JAMIE.
«Signorina Collins, signorina Collins», sento la voce del mio avvocato che aumenta di tono.
«Detenuta!», anche la guardia urla. Apro gli occhi e li richiudo, credo di essere a terra. La guardia mi schiaffeggia, poi ordina a qualcuno di chiamare un medico. Quando riprendo conoscenza mi trovo in infermeria, una dottoressa mi misura la pressione e la guardia mi controlla con espressione severa.
«L'avvocato», borbotto, «Dov'è l'avvocato? »
«È andato via», risponde la guardia.
Io mi alzo di scatto, ho un capogiro e per poco non mi trovo nuovamente sul pavimento, «Devo andare via», sussurro, «Portatemi l' avvocato. Devo sapere come sta».
La dottoressa mi chiede di stare seduta e di fare dei profondi respiri, credono che io stia delirando, ma si sbagliano.
«Chiamate il mio avvocato!», adesso sto urlando, «Lui sa tutto. Devo sapere».
La guardia cerca di tenermi ferma e mi muovo freneticamente.
«Lasciami stare», strillo,  sento delle lacrime attraversare le mie guancie e vorrei davvero calmarmi e stare ferma, ma proprio non ci riesco.
«Ti sei meritata un richiamo», mi dice.
«Chiamate il mio avvocato!».
La dottoressa inarca un sopracciglio e chiede alla guardia di allontanarsi per qualche istante.
«Fa la brava, Collins», dice, poi alza le mani con le quali mi teneva ferma e indietreggia di qualche passo.
La dottoressa si siede sul lettino e mi accarezza un braccio, «Sei solo sotto shock», sussurra, «Con qualche goccia di tranquillante tornerai apposto»
«Non ho bisogno di gocce», ringhio, «Devo essere fuori di qui, dovete chiamare il mio avvocato». Mi alzo e adesso la guardia è di nuovo su di me, le mordo la mano e tento di arrivare alla porta, ma la dottoressa riesce ad incastrarmi contro il muro e adesso la guardia si affretta a mettermi delle manette.
«Lasciatemi!», grido. Sono fuori di me. Sto tremando e ho paura. Devo vedere Ethan, devo vedere che sta bene, devo vedere il suo sorriso. Un brivido percorre la mia schiena mentre mi fanno una puntura e non sento più le gambe, la mia vista si annebbia e l'unica cosa che riesco a visualizzare nella mia mente è il viso di Ethan. Ti prego, non morire.
«Non... Morire», sento la mia voce e quasi non mi riconosco, poi non vedo più niente e non sento nemmeno il dolore che mi provoca il pensiero di Ethan con un proiettile ficcato nel corpo.
Portatemi da lui, o lasciatemi morire così.

ETHAN.
Ultimo anno di liceo, primo giorno. È stato proprio quello il giorno in cui ho davvero capito di voler passare tutta una vita insieme a Jamie Collins, l'avrei costretta in caso di opposizione. O con me, o con me. Semplice. Lineare.
Jamie era bellissima. Non un brufolo, non un capello fuori posto. Odiavo questa sua strana perfezione ed odiavo sapere che i ragazzi la desideravano. Ero già così morbosamente geloso di quella ragazzina che anche mia madre, un giorno, mi aveva detto di darmi una calmata. Non è la tua fidanzata, diceva, smetti di essere così possessivo con lei e lasciala vivere.
Lasciala vivere. Lei doveva vivere, ma non con il primo coglione che le faceva la corte. Che poi, diciamolo, chiunque osava anche solo fissarla era un coglione in cerca di botte. Doveva vivere con uno che la meritava, che le voleva bene. Uno come me, insomma. Io, logico. Dovevo essere io.
Tornando al primo giorno dell'ultimo anno, al rientro delle vacanze estive, Jon Adams, il ricco e popolare Jon Adams, aveva chiesto alla mia Jamie di fare coppia fissa. Si conoscevano da un po', sapevo che a Jamie lui non dispiaceva, ma fare coppia fissa... Chi mi conosce almeno un pizzico può dire che quel giorno fu per me orribile. Jamie e Jon. JJ. Che schifo. Ancora mi incazzo se ci penso. È stata mia cugina Brenda a dirmelo. Ero seduto a mensa, mangiavo il mio pranzo in santa pace e di tanto in tanto osservavo il mio nuovo bolide dalla finestra. Era un SUV di terza mano in realtà, ma lo amavo pazzamente.
Poi è arrivata lei, si è seduta e sorridendo mi ha detto, «Hai sentito? Jamie e Jon si sono messi insieme. Come è fortunata!»
«Jamie chi?», le avevo risposto io. Non poteva essere la mia Jamie, ovviamente.
«Ma come Jamie chi? Jamie Collins! La tua amica!».
Non ci fu più nulla da chiedere perché subito dopo i due entrarono in mensa mano nella mano, Jamie non mi ha degnato di uno sguardo. Io invece avevo occhi solo per lei. La sua mano in quella di un ragazzo, che scena sconcertante. Ero talmente arrabbiato da non riuscire a dire una parola. Solo dopo qualche minuto decisi di avvicinarmi a loro per congratularmi e fare gli auguri alla nuova coppia. Arrivai al loro tavolo, mi sedetti sotto lo sguardo attento di entrambi e finsi un sorriso, «Lasciale la mano o esci da qui dentro con un occhio solo». Ecco, ricordo di avere detto questo. Auguri, siete una  bella coppia, avrei potuto dire, ma figlio di puttana molla quella mano era il mio unico pensiero invece.
«Ethan... », Jamie lo aveva solo sussurrato. Ovviamente io la ignoravo.
Vedendo che Jon non si era mosso di un millimetro, continuai, «Allora? Ci tieni o no al tuo occhio? Sai che non ho paura di-»
«Ethan», Jamie cercava ancora di farmi stare zitto.
«Ethan un cazzo», avevo risposto poi io, le ultime sante parole prima di una sospensione di 15 giorni. Causa? Comportamento aggressivo nei confronti di un alunno rimasto ferito. Il povero Jon ha vissuto come un pirata per circa un mese. Lui e la sua benda nell'occhio. Quella è stata la prima volta in cui non sono riuscito a controllare le mie azioni, spinto da questo strano sentimento che adesso riconosco come insana gelosia. Perché è insano volere prendere a pugni chiunque osasse solo sfiorarla. È insano pensare di volere morire piuttosto di vederla mano nella mano con uno che non sono io. Ed è insano il modo in cui io la amo da così tanto tempo. Questo amore che mi sta facendo a pezzi, che mi ha già fatto a pezzi. Quel giorno ho capito che mai più Jamie Collins doveva avere accanto qualcuno a parte me. Lei non mi parló per un mese, ma quel Jon aveva imparato la lezione e anch'io: Jamie non si tocca, non la tocca nessuno. La amavo così tanto... La amo così tanto che anche ora, mentre credo di stare morendo dissanguato sul tappeto del mio ufficio, il mio pensiero va a lei, a quando ho capito di volere essere io l'uomo della sua vita.
Una forte fitta di dolore adesso interrompe i miei ricordi ed i miei pensieri e per un attimo torno a quella che è la realtà. Attorno a me tutto si muove, delle persone mi circondano e parlano tra di loro. Io non capisco, non riesco a parlare.
«Ferite da arma da fuoco... »
«Dobbiamo intervenire subito... »
«È in fibrillazione... »
«Lo stiamo perdendo».

HI GUYSSSS.
Eccomi tornata subito con un nuovo capitolo, così mi perdonate gli immensi ritardi degli ultimi due anni 😅😅 Eccoci qua, manca poco alla fine ed è tutto un po' tragico. Sarà il ciclo che mi fa scrivere cose tristi. Boh, spero vi sia piaciuto 😄 fatemi sapere, un bacio 😙

L'amore ci farà a pezzi.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora