JAMIE.
Apro gli occhi e non riesco a distinguere bene il luogo in cui mi trovo, vedo tutto annebbiato e c'è uno strano silenzio. Che diavolo è successo? Mi passo una mano tra i capelli e sollevo il busto, mettendomi seduta sul lettino, le gambe a penzoloni. Ho un capogiro, dunque chiudo gli occhi e butto dell'aria fuori dalla bocca. Mi sento così confusa. Alla mia destra c'è una guardia, sta giocando col suo cellulare e ride, credo non si sia accorta di me.
D'un tratto ricordo di essere stata sedata e corrugo la fronte, poi arriva violento il pensiero di Ethan. Sgrano gli occhi e scendo giù dal letto, «Devo sapere di Ethan», dico alla guardia che sussulta, «Dov'è l'avvocato? Chiami il mio avvocato. Hanno sparato ad Ethan, devo sapere come sta. Chia-chiami l'avvocato», singhiozzo.
«Sta calma, detenuta», esce dalla sua bocca come un ringhio, «Non costringermi a metterti ancora una volta K.O.».
Stringo i pugni, perché sono così crudeli?
Non ho mica ammazzato un uomo. Per un istante mi passa per la testa l'idea di uccidere la guardia e cercare di fuggire, la scaccio subito dopo. Questo posto mi sta facendo diventare matta.
«Hanno sparato ad un mio amico», scandiscono bene le parole, «Devo avere notizie. Chiamate il mio avvocato»
«Torna a dormire», è questa la risposta che ottengo, poi torna a giocare con il suo maledetto cellulare. In un momento di rabbia salto addosso alla guardia e scaravento il suo cellulare contro il muro.
Sento il mio corpo sollevarsi dal pavimento e capisco dopo aver sbattuto la schiena contro il pavimento di essere stata scaraventata a terra, la guardia su di me mi mette le manette e mi tira i capelli subito dopo. Adesso la mia guancia è contro le mattonelle ed il fiato pesante di questa donna di cento chili che purtroppo mi fa da guardia mi sbatte in faccia e mi punge il naso.
«Volevo risparmiarti il dolore, stronzetta», ringhia, «Abbiamo già chiamato il tuo avvocato. Volevo dirtelo dopo, con calma».
Il suo ginocchio premuto contro la mia schiena mi impedisce di respirare e non riesco nemmeno a pronunciare una parola.
«Il tuo amico è morto», dice, «Lo hanno ammazzato».
Non respiro. Non riesco nemmeno a piangere, credo che anche il mio cuore si sia fermato per qualche istante. Morto? La mia bocca si spalanca in automatico, così come i miei occhi che fissano un punto a caso nel vuoto.
Non ottenendo una risposta, continua,
«Gli hanno fatto saltare in aria la testa. Hai capito? È morto. Lo hanno massacrato senza nessuna pietà. Il tuo amico è uno scolapasta morto. Non hanno capito nemmeno quanti proiettili aveva ficcati nel cuore». Chiudo gli occhi e adesso sento una lacrima attraversare il mio viso, mi rifiuto di immaginare Ethan come è stato appena descritto, ma in automatico il mio cervello produce l'immagine di Ethan riverso a terra, gli occhi spalancati, un buco in fronte e quel suo cuore grande pieno di altri piccoli buchi. Singhiozzo così forte che la guardia si alza di scatto e mi tira su, convinta che il suo peso mi stesse uccidendo. Tremo in modo esagerato, e caccio fuori un urlo straziante, dunque cado a terra ancora una volta e non ho intenzione di muovermi da qui. La guardia mi ordina di alzarmi subito, quello che sente è solo un nuovo urlo. Un uomo ben vestito viene a controllare cosa sta succedendo, mi fissa con un'espressione colma di pietà.
«Che è successo?», mormora.
«È morto un suo caro amico», risponde lei con tranquillità. Come se niente fosse successo, come se la sofferenza di un'altra persona non contasse niente, come se una ragazza stesa a terra a morire di dolore non fosse niente di cui preoccuparsi.
«Gli hanno sparato», la sento continuare, come se io non fossi qui ad ascoltare, «Hanno sparato sul suo corpo fino a quando non è morto, per quanto ne so».
Urlo ancora, poi vomito sulle scarpe dell'uomo che è venuto a controllare. Lui mi tira su, mi prende in braccio e mi sistema sul lettino. Infonda i suoi occhi nei miei e mi accarezza i capelli, «Coraggio», sussurra.
Coraggio. A cosa mi serve il coraggio? A continuare a vivere senza di lui? No. Non mi serve a niente. Io non voglio vivere, non voglio vivere più. Vomito ancora una volta e lui si affretta a pulirmi il viso. É così gentile che per un istante mi dimentico della cattiveria delle altre guardie.
«Chiama il suo avvocato», dice alla donna, «Richiediamo un permesso per farla assistere al funerale almeno».
Lei strabuzza gli occhi e deglutisce, «No-non glielo daranno mai. Il tribunale, la causa e...»
«Chiama il suo avvocato ho detto». Allora la guardia annuisce e si dilegua dietro la porta.
L'uomo torna ad accarezzarmi i capelli, lo guardo negli occhi senza dire una parola.
«Ti farò assistere al funerale, okay?», sussurra. Dalla mia bocca escono solo singhiozzi. Il funerale. Io voglio vedere lui, voglio vederlo vivo, voglio vederlo mentre si avvicina a me con quel suo sorriso sfacciato.
Nella stanza cala il silenzio, si sente solo il mio respiro affannato.
«Come ti chiami? Devo sapere il tuo nome», mi dice lui. Non rispondo. Che importanza ha come mi chiamo, se tanto non voglio essere più chiamata da nessuno. Nessuno pronuncia il mio nome se non può farlo più lui. Voglio morire. Ammazzatemi, vi prego. Ogni volta che chiudo gli occhi si imprime prepotente nella mia mente il viso di Ethan. Pallido, la bocca spalancata, gli occhi vuoti ed impauriti. Avrà sofferto prima di morire? O è morto prima ancora di capire qualcosa? Non voglio ricordarlo così. Ethan non è un cadavere sul pavimento, Ethan non è un povero ragazzo torturato fino alla morte, Ethan è da sempre stato vita. Ethan è allegro, spensierato, ironico. Il miglior ragazzo sulla faccia della terra. È così buono, così dolce che non può essere morto con così tanta crudeltà. Rivedo il suo sorriso, il modo in cui dava di matto se qualcuno mi fissava più del dovuto, il modo in cui mi guardava, incantato a volte. Sento ancora una volta un mio singhiozzo e non so per quanto tempo ancora continuo. L'uomo rimane accanto a me per tutto il tempo, ha gli occhi lucidi. Forse c'è ancora un briciolo di umanità dentro questo posto orribile.
La guardia di prima torna, dice di avere chiamato il mio avvocato e che le pratiche per un permesso erano già in corso.
«Il signor William aveva già richiesto un permesso, signore».
L'uomo si stiracchia e annuisce, «Bob William?», chiede.
«Sì, signore»
«Hai un potente angelo custode», mi dice,
«Cosa manca per lasciarla andare?»
«Il suo caso non è ancora chiuso, possiamo darle un permesso per ora, ma a breve avverrà il processo. Per il permesso serve solo la sua firma al momento, capo».
Lui mi sorride, «Alzati», mi dice, «Puoi andare». Non capisco nulla di quello che accade attorno a me, la guardia mi spintona per il corridoio e mi dice di sedermi ad aspettare qualcuno che sta arrivando a prendermi. Guardo un punto nel pavimento per tutto il tempo, sto uscendo da qui per andare ad assistere al funerale di Ethan. Il suo funerale. È un autista quello che viene a prendermi con una elegante macchina nera, dice che ho un cattivo odore e mi sorride, «Forse è meglio che tu ti dia una rinfrescata, prima». Per quale cazzo di motivo stai sorridendo, figlio di puttana.
Scrollo le spalle, mi porta nella stanza di un albergo dove ci sono delle buste con dei vestiti nuovi sul letto. Rimango sotto la doccia a piangere fino a quando l'autista non mi incita a sbrigarmi perché dobbiamo ancora affrontare un lungo viaggio. Indosso un abito nero e scoppio a piangere vedendo il mio riflesso. Le mie lacrime non si fermano nemmeno durante il viaggio, l'autista mi lancia qualche occhiata confusa di tanto in tanto. Forse è all'oscuro di tutto, forse non conosceva Ethan, l'amore della mia vita.
Lo amavano tutti, volevano tutti averlo con sé ed è morto ammazzato. Guardo fuori dal finestrino e sospiro quando arriviamo a destinazione. Sono passate delle ore e mi stupisco nel vedere che siamo in ospedale. Non lo hanno ancora spostato da qui? Aspettano che io lo riconosca? Rabbrividisco. Non posso sopportare di vederlo davvero morto, non posso sopportare il pensiero di dire ad un medico "sì, è lui".
«Andiamo, mi segua, signorina Collins».
Sospiro ed entro nell'edificio, seguo l'autista lentamente, faccio dei piccoli passi perché non sono pronta. Non posso vederlo.
«È qui dentro», si schiarisce la voce e fa un cenno della testa in direzione di una porta.
«Non posso entrare», dico, la mia voce esce fuori rauca «Non ce la faccio»
«Coraggio», borbotta.
Con mano tremante apro la porta e chiudo gli occhi mentre entro. Sento puzza di disinfettante e non si muove una mosca, il silenzio è assordante. Coraggio.
Apro prima un occhio, poi un altro. Ethan è sul letto, gli occhi chiusi. Non ha nessun buco in fronte, o almeno da qui pare. Mi tremano le gambe, dunque mi avvicino al letto lentamente, non riesco a smettere di piangere. Tiro su col naso e trovo il coraggio di guardarlo in faccia. Niente occhi spalancati, niente bocca aperta. Solo un angelo. Ecco cosa sembra, un angelo addormentato. È così bello, è sempre stato bello. Ogni ragazza faceva a gara per ottenere anche solo uno sguardo da lui e ora i suoi occhi sono chiusi, non guarderanno più nessuno. Non mi guarderà più. Un singhiozzo esce dalla mia bocca e gli afferro la mano. Stringo gli occhi e continuo a singhiozzare. Si può morire di dolore?
«Dimmi che non sei un miraggio».
Il mio cuore fa una capriola e con uno scatto balzo all'indietro, sbattendo contro il muro, «Oh mio Dio!», urlo.
Ethan corruga la fronte e mi rivolge un sorriso, «Ehi, sembra che tu abbia appena visto un fantasma. Ti ho spaventata, pulce?».HI GUYSSSSSS.
Okay, va bene, merito di essere linciata. Ero indecisa, fare morire Ethan o farlo vivere? Allora ho pensato, perché non entrambe le cose? 😂 Ovviamente nel prossimo capitolo capirete meglio, Ethan non è resuscitato e non è nemmeno un fantasma, sia chiaro. Forse Jamie è impazzita e sente le voci😈 o forse no, sto scherzando. Spero vi sia piaciuto, un Beso.
Lasciate una stellina. 😈
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L'amore ci farà a pezzi.
RomanceCOMPLETA. «Aspettavi qualcuno?» «No, tu?» «É casa tua, idiota», si avvicina alla porta e guarda attraverso l'occhiello. Quando torna a guardare nella mia direzione ha un'espressione di terrore dipinta sul volto. «Chi c'è?», domando. «La polizia»...