Capitolo 21

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ETHAN.

«Qualcosa non va?», Gwen inarca un sopracciglio, ha le guance che vanno a fuoco. Afferro i suoi fianchi e le chiedo di spostarsi, quindi fingo un sorriso: «Dovresti andartene adesso»
«Cosa?»
«Sei fantastica e tutto il resto, ma devo urgentemente andare via», mi sto dando dello stronzo anch'io in questo momento, ma poco importa. Lei non dice nulla, solo scoppia in un'enorme risata che io non comprendo. 

«Non vado proprio da nessuna parte», dice, «E nemmeno tu». 

«Senti, teso-», non riesco a finire di parlare che si fionda sulle mie labbra ancora una volta. La spingo via e trovo la situazione alquanto comica: «Stai buona», borbotto, ma sembra non capire e prova a stringersi più a me. Ruoto gli occhi al cielo e le afferro la mano, quindi con non poca fatica riesco a farla uscire dalla mia macchina. «Sarà per la prossima volta», le dico, poi vado via. Vado da Sammie, casa sua è un buco che puzza di erba, quando apre la porta riesco a notare una nuvola di fumo alle sue spalle. Sorride maliziosa e si porta una sigaretta in bocca, «Ethan, qual buon vento»

«Tagliala», sbotto, «Devo sapere cosa è successo, dove l'hanno portata e quando cazzo esce di prigione quel figlio di puttana perché ha i giorni contati»

Ride, «Stai parlando di mio fratello?», scrolla le spalle, «So solo che sono alla Jolet»

«La Jolet?», credo di avere urlato, «Ma è...»

«A 300 chilometri da qui?», si morde il labbro, «Qualche ora in auto non ci farà male, tesoro»

«No», mi passo una mano tra i capelli, «Grazie, buonanotte», indietreggio, lo sguardo un po' perso nel vuoto. Cosa devo fare?

«Ehi!», strilla lei alle mie spalle, «Io vengo con te!»

«Scordalo»

«Non puoi non accettare», arriccia le labbra, «Ti ho avvisato io, mi devi un favore». Vedendo che non rispondo, sorride, «Quando si parte?». 

JAMIE.

Capisci il valore di qualcosa solo nel momento in cui la perdi. Io ho perso molto, ho capito molto. Ho capito che amo alzarmi la mattina e ballare per casa, amo il rumore della mia storica macchinetta del caffè, amo lamentarmi del mio caffè. Per non parlare della mia casa, il mio lavoro, la pizza del lunedì sera. E potrei continuare davvero all'infinito. Ho perso tutto. Ho perso tutti. Il mio pensiero adesso va ad Ethan, mentre sono ferma qui a fare la fila per farmi una doccia di massimo tre minuti. Sto guardando i miei piedi da un bel po' e continuo a fare questo mentre mi domando che cosa starà facendo, se sta bene, se hanno fatto il suo nome...

«Detenuta», alzo lo sguardo e capisco che una guardia mi sta dicendo di entrare nella doccia, che è il mio turno, non me ne ero nemmeno accorta. Mi lavo in fretta e con la testa bassa torno nella mia cella. Fren, la mia compagna di stanza, è sul suo letto. Sta leggendo un libro quando entro, mi ignora completamente e ne sono felice. Ha ucciso un uomo. Sembra una ragazza piccola e indifesa e invece ha ucciso un uomo. 

«Smettila di fissarmi», mi fa sobbalzare e distolgo in fretta lo sguardo. Mi sdraio sul letto e trovo sollievo solo chiudendo gli occhi. Mi immagino fuori di qui, in spiaggia, insieme ad Ethan. Mi manca così tanto. Mi si forma un nodo alla gola e asciugo in fretta una lacrima. Sono qui dentro da un mese e di lui non c'è traccia. Non mi ha scritto, non è venuto a farmi visita, non è nemmeno tra i detenuti. Dovrei odiarlo per avermi abbandonata, ma l'unica cosa a cui riesco a pensare è che mi manca come l'aria. 

«Smettila di frignare, mi dai la nausea», Fren chiude il suo libro e mi guarda, i suoi occhi azzurri mettono i brividi. Si siede sul letto e lega i suoi capelli biondi in una coda, quindi cammina lentamente verso di me, si abbassa all'altezza del mio viso e sorride, «Andrà sempre peggio», dice, «Non ti abituerai. Ogni mattina ti sveglierai pensando di essere a casa tua e sarai felice per una frazione di secondo, ma quando capirai di essere rinchiusa qui sarà peggio del giorno prima, e di quello prima ancora. Questo male di vivere che ti porti addosso non ti lascerà da sola nemmeno per un secondo».

«Lo so», ribatto, lei ride, «Lo sai?», fa un passo indietro, «Se davvero lo sapessi, avresti smesso di frignare già da un bel po', avresti capito che è inutile piangere come una bambinetta».

Rimango in silenzio per un po', non so se ignorarla o rispondere con uguale cattiveria. Poi decido, «Piangi nel sonno, bambinetta, ma penso che questo già lo sai, visto che la mattina il tuo cuscino è sempre umido, o sbaglio?»

«Vaffanculo», dice, adesso non parla più. Con la coda dell'occhio di tanto in tanto mi accorgo che mi fissa e mi viene la pelle d'oca. Non mi ucciderà. Spero. 

Una guardia apre la nostra cella e mi dice di tirarmi su in fretta, «Ti trasferiamo, Collins. Vai al Clinton, contenta?». 

ETHAN.

«Mi aspettavo del sesso in macchina, mi hai delusa», Sammie esce dall'auto e si sgranchisce le gambe, io faccio lo stesso. Ho guidato per quasi 5 ore e mi sento mezzo rincoglionito. Osservo l'entrata dell'istituto penitenziario e mi vengono i brividi. Jamie è lì dentro. Cosa devo dirle? Ero così preso dall'idea di volerla dimenticare che non mi sono nemmeno accorto che è in carcere da più di un mese. Sono un coglione. Sammie mi sorpassa e avanza verso il carcere, scaccio via i pensieri e la seguo. Dico il nome di Jamie alla guardia che mi chiede di aspettare, Sammie fa lo stesso. Dopo un'ora di attesa la mia pazienza va a poco a poco scemando, Sammie riesce a vedere suo fratello ed io non ho ancora nessuna notizia della mia Jamie. Mi tremano le mani. Devo chiederle scusa, devo implorarla di perdonarmi e rassicurarla del fatto che la tirerò fuori di qui.

«Signor Hamilton?».

Sobbalzo non appena la guardia di prima si avvicina a me, quindi con uno scatto veloce mi alzo in fretta. Sono pronto. Devo vederla.

«Sì, posso incontrarla?»

«No»

«Come?», mi passo nervosamente una mano tra i capelli, «Perché no?»

«Non può vederla», dice semplicemente, «Non è qui».

Non è qui? «Che significa "non è qui"?», adesso la mia pazienza è andata a farsi fottere. Ho guidato per 5 ore per sentirmi dire che Jamie non è qui?

«E' stata trasferita», sfoglia dei fogli che ha tra le mani e poi torna a guardare me, «E' all'istituto penitenziario Clinton, non è più una nostra detenuta». Detto questo, gira i tacchi e se ne va. Ed io rimango lì a fissare un punto nel vuoto per non so quanto tempo. Devo vederla. E mi sento così solo adesso che vorrei solo vedere il suo sorriso, le sue labbra, i suoi occhi che ho evitato per così tanto tempo. Lo giuro, Jamie. Lo giuro su questo cazzo di amore che provo per te, ti tirerò fuori da questa merda.

L'amore ci farà a pezzi.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora