È quasi mezzogiorno, ma Adam ancora non accenna a svegliarsi.
Stizzita, rinuncio a chiamare il suo nome per l'ennesima volta e vado in cucina dove inizio ad impostare un pranzo da una persona.
Mentre mi diletto ai fornelli, sento un tonfo ed un lamento abbastanza forte. Alzo gli occhi al cielo e lo ignoro. Si sarà ubriacato talmente tanto che adesso è anche caduto dal letto.
Finalmente, eccolo comparire sulla soglia della cucina. Faccio finta di niente.
"Lenah..."-farfuglia.
Mi volto verso di lui, appoggiato malamente allo stipite, come a sorreggersi. Mi guarda con occhi lucidi e capisco che non si è ancora del tutto ripreso dalla sbornia.
"Adam, ti sei degnato di alzarti, allora."
Mi fissa a lungo, poi si guarda i vestiti. La camicia bianca ancora gli pende dalla spalla.
Si passa una mano sul viso, poi fra i capelli, mormora un'imprecazione.
"Forse è meglio che mi cambi"-dice, trascinandosi poi in camera da letto.
"Sarebbe meglio"-concordo, con voce autoritaria. In questo momento mi sento come se fossi la madre e lui il bambino capriccioso di quattro anni.
È per questo, a maggior ragione, che sto odiando tutta questa situazione.
Dopo un po', torna con indosso un paio di mutande e una canottiera nera.
"Non dovevi vestirti?"-dico, scettica.
"Sì, ma..."-sbadiglia "così sono più comodo, al momento."
Sollevo un sopracciglio. "Adam"-lo chiamo "sei in te? Ti sei ripreso?"
Annuisce. "Un po', grazie..."
" 'Un po', grazie' ?"-esplodo "mi stai prendendo in giro, Adam? Hai ascoltato ieri le mie parole, spero, o no? No, vero? Beh, ti ho urlato contro la tua irresponsabilità nell'agire e la tua immaturità, esattamente come sto facendo ora!"
Sgrana gli occhi, pare essersi completamente svegliato dal suo stato di trance.
"Merda!"-impreca ad alta voce, dandosi un colpo in fronte.
"Mi dispiace, Lenah. Lo so, sono stato un cretino a non averti avvisato..."
"Hai dovuto fare anche il turno di notte? Adam, a me va bene che tu lavori così tanto, ma me lo devi far sapere. Sono stata in apprensione tutto il tempo!"
"E poi, dannazione, eri ubriaco fradicio!"-continuo "i bicchieri li devi portare ai clienti, non berli tu!"
Si avvicina, alzando le mani.
"Lo so, lo so"-ripete "mi dispiace. Ho finito il turno e stavo per tornare a casa, ma i miei colleghi hanno organizzato una sorta di festa per festeggiare me, il nuovo arrivato. Mi hanno letteralmente trascinato nel locale e...credo di aver esagerato con i bicchieri."
Sollevo le sopracciglia, allibita.
"Cosa?"-sussurro "tu sei stato ad una festa, a divertirti e ad ubriacarti in compagnia, mentre io ero qui, disperata a temere il peggio?"
Sto cercando di mantenere la calma, di non urlare ulteriormente.
Sul viso di Adam passano una serie di emozioni, tra cui rimorso, forse.
"Potevi rispondere al telefono, almeno."
China il viso, serra i pugni.
"Non ho spiegazioni per questo, solo che mi dispiace"-mormora, tirandomi a sé in un abbraccio.
Sospiro sulla sua spalla.
"Non farlo mai più, okay?"-bisbiglio.
"Mai più"-conferma.
Mi libero dalle sue braccia.
"Avrai anche perso il turno, stamattina"-dico.
"No, ce l'ho stasera."
"Stasera?"-mi rabbuio.
"Non preoccuparti."
"Ah, Adam?"-dico, ricordandomi improvvisamente di una cosa.
"Ieri notte sei entrato dalla porta d'ingresso, io ti aspettavo in salone, credevo entrassi dal garage. Hai parcheggiato fuori la macchina?"
I suoi occhi si incupiscono, poi si dilatano. "Cazzo, la macchina"-dice.
"Sarò stato troppo ubriaco per guidare, o addirittura per ricordarmi dove l'avessi parcheggiata..."-mormora fra sé e sé.
Poi pare illuminarsi, anche se la luce nel suo sguardo si affievolisce subito, alzandolo su di me.
"La macchina è al locale della festa."
"E come sei tornato qui, a piedi?"
Esita, poi scuote la testa. "Mi hanno dato un passaggio."
Annuisco. "Va bene. Allora andiamo a prenderla?"
"Chi?"-scatta lui.
Resto interdetta. "La macchina, Adam."
"Ah, sì, scusa. Il mal di testa terribile di ieri non è ancora del tutto passato."
Mi avvio verso la porta, ricevendo una sua occhiata perplessa.
"Ci andiamo a piedi? Saranno almeno quattro isolati"-mi avverte.
Alzo le spalle. "Sarà una bella passeggiata, allora. E poi, ti ricordo che ho raggiunto casa tua a piedi da quella di Andrew."
Adam emette un verso stizzito.
"Va bene, allora andiamo"-conclude superandomi ed aprendo la porta.
Durante il tragitto nessuno dei due proferisce parola. Adam cammina di fronte a me, sembra essere improvvisamente sicuro di sé.
Fisso la sua schiena ampia, finché non si blocca bruscamente.
Lo raggiungo per vedere il motivo della sua esitazione.
"Eccola là"-dice lui, indicando l'Audi nera parcheggiata dall'altro lato della strada, di fronte l'ingresso di un locale, le cui pareti sono di un rosa vivace. Sollevo un sopracciglio, mentre leggo la scritta al centro dell'insegna al neon, a forma di palma.
"Lost in Paradise? È questo il locale dove hai festeggiato ieri sera?"-chiedo, lasciando trasparire dalla mia voce tutta la perplessità che provo in questo momento.
"Sì...beh, torniamo a casa"-taglia corto lui, salendo in macchina.
Resto immobile accanto alla vettura, fissando l'ingresso dell'edificio rosa.
Non ispira buoni pensieri, per niente. Sembra più che altro il genere di locale dove si balla per tutta la notte. Sembra il tipo di locale adatto per fare un addio al celibato.
Mi mordo il labbro, guardando la vetrina sulla parete di destra. Vorrei avvicinarmi per sbirciare all'interno, ma non lo faccio. Ci sono anche delle locandine appese sulle pareti dell'edificio, ma non riesco a vedere bene da questa distanza.
Adam abbassa il finestrino dal lato del passeggero. "Lenah?"-chiede, dal tono sembra impaziente. Mi volto a guardarlo, esito, poi lancio un'ultima occhiata al locale 'Lost in Paradise.'
Ignoro qualsiasi tipo di pensiero che questa ha scatenato in me, blocco qualsiasi genere di immagine che si affaccia alla mia mente.
Finalmente, mi decido a voltare le spalle all'edificio e ad entrare in macchina. L'abitacolo pare essersi fatto più stretto, o più grande, non ne ho idea. Guardo Adam, che posa le mani sul volante, e mi accorgo che gli tremano.
"Tutto bene?"-chiedo, ma lui si limita ad annuire brevemente, stringendo la presa sul volante per nascondere il tremore delle sue mani.
Durante il tragitto di ritorno, a rompere il silenzio c'è solo il ronzio del motore e il suono dei messaggi del cellulare di Adam.
Quando arriviamo, parcheggia senza dire una parola di fronte alla porta di casa.
Mi volto verso di lui.
"Non apri il garage?"-chiedo, sempre più perplessa dal suo strano atteggiamento.
"No"-scuote la testa, tenendo lo sguardo basso e le mani stringono così forte il volante che le nocche gli sono diventate bianche.
"Ti faccio scendere"-continua "devo andare a lavorare. I messaggi che hai sentito...erano del capo. Vuole che vada da adesso. È contento di me, lavoro bene."
"Avevi detto che avresti fatto il turno..."
"Sì, lo so. Non posso dire di no, comunque. Sono appena arrivato, non vorrei rischiare un licenziamento"-mi interrompe.
Poi si passa una mano sul viso, fra i capelli. Finalmente mi guarda negli occhi, ancora assonnati.
"Sei stanco, Adam"-gli dico, addolcendo il tono della voce.
"Sì, è il mal di testa."
"Se ti fa così male, allora puoi benissimo chiamare il capo e dire che non vai."
Aggrotta le sopracciglia, poi scuote la testa, guardando fuori dal finestrino.
"No. Devo andare. Più lavoro, più guadagno. Possiamo mantenerci in un modo migliore, ricordi? Lo faccio per te e per me."
Parla con così tanta determinazione che mi sembra impossibile farlo desistere. "Va bene"-sospiro "certo che sei proprio testardo"-aggiungo poi con un sorriso, scendendo dalla macchina.
Mentre infilo la chiave nella serratura della porta di casa, sento l'auto di Adam fare retromarcia e ripartire sgommando.
Nella solitudine della cucina, mi faccio trasportare dai miei mille pensieri. Adam è seriamente determinato nel fare il suo lavoro. Sembra che ne vada fiero ed io non sono altro che contenta. Soddisfatta, più che altro. Felice di come stanno andando le cose. Adam si sta impegnando così tanto per entrambi, perché anche lui desidera formare qualcosa di più solido. E finalmente, il sogno di avere una famiglia con lui non sembra più così irrealizzabile.
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Pain is human
RomanceLenah Ariston si sta riprendendo dalla sua esperienza in manicomio; sta cercando di rifarsi una vita, ha conosciuto nuove persone. Una di queste è un ragazzo, Andrew Sheen, conosciuto in manicomio e che poi la ospita in casa sua, una volta usciti e...