Capitolo 34

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Il processo di Ash è stato fissato per questo pomeriggio. Sono talmente in apprensione che questa notte non ho dormito. Prima di infilarmi il maglione sopra la canottiera sottile, rimango a fissare i tagli che ho sulla pelle. Sospiro amaramente, poi indosso l'indumento. Adam mi vede uscire dalla stanza, prende le chiavi della macchina e fa fare loro due giri completi intorno al dito.
"Andiamo?"
Annuisco.
"A che ora è il processo?"-mi chiede una volta in macchina.
"Alle tre"-dico.
"Speriamo di non rimanere imbottigliati nel traffico, altrimenti arriveremo tardi."
Circa due ore dopo, siamo nel mezzo di una guerra con i clacson.
"La fortuna non è dalla nostra parte"-mormora Adam, poggiando la fronte sul volante e spegnendo il motore in mezzo strada.
"Che fai?"-urlo.
"Da qui non ci muoviamo, date le circostanze, almeno così cerco di risparmiare la benzina."
Scuoto la testa. Non posso crederci!
"E adesso? Arriverò in ritardo!"
Adam sospira piano. "Credo di sì"-concede infine.
Mi accascio contro il finestrino.
"Perfetto"-mugugno sconsolata.
Quando la fila inizia a scorrere, mancano pochi minuti all'inizio del processo e, quando finalmente arriviamo davanti al tribunale, sono le tre passate da un pezzo.
Scendo dalla macchina ed inizio a correre, ma inutilmente: è già terminato tutto.
Riconosco il padre di Ash in piedi in un angolo, sta stringendo la mano ad un altro uomo in giacca e cravatta dai capelli brizzolati.
"Signor Wesley!"-lo chiamo.
Non vedo Ash. Senza aspettare una sua risposta, mi precipito verso una porta di legno, socchiusa.
"Ash!"-urlo, entrando di corsa.
Un uomo grassoccio si alza dalla sedia sulla quale era seduto ed esclama indignato: "Signorina! Ma le pare il modo di entrare? Questa è una stanza privata, non può entrare qui!"
Deve essere il giudice, lo riconosco dagli abiti.
"Signor giudice, come può aver condannato Ashley Wesley?"-inizio a urlare, dando ascolto solo ai miei pensieri. "Al mondo ci sono molte persone che hanno commesso crimini terribili e che sono a piede libero! Ash non ha fatto nulla, si è trattato di legittima difesa!"
"Signorina, la prego di seguirmi"-interviene un poliziotto indicando l'uscita.
"Guardi c'è uno sbaglio..."-tenta di dire il giudice.
"Ci sono criminali che girano indisturbati, come Tom Ariston!"
Il gelo cala nella stanza.
"Lenah?"
Mi volto.
"Ash! Scusami se non ho potuto assistere al tuo processo, io...non capisco come abbiano potuto fare una cosa del genere..."
"Ma di che parli?"-sorride, "mi hanno assolta! Sono innocente."
Dopo aver realizzato le sue parole, la abbraccio di slancio. E solo adesso mi rendo conto della figura che ho appena fatto.
"Mi scusi..."-mormoro abbozzando un sorriso a giudice, che mi guarda scioccato.
"Signorina, cos'ha detto riguardo a Tom Ariston?"
"Che invece di trovarsi dietro le sbarre è a piede libero."
"Sa dove si trova?"
Esito, poi divento seria.
"Sì. Vi dirò tutto."

* * *

"Che diavolo hai fatto?"-esclama Adam quando viene a conoscenza di ciò che è successo.
"Ho fatto quello che mi sentivo di fare. Ed è stata la cosa giusta. Tom merita la galera."
"È tuo padre."
"Ma è un criminale! Ed io non mi sento legata a lui da alcun tipo di legame affettivo particolare."
"Spero solo che tutto questo non porti ad un sacco di casini"-sospira.
"Se ne occuperà la polizia da adesso in poi"-dichiaro, nella speranza di essere abbastanza convincente. Ma la realtà è che sto cercando di convincere me stessa.
Quando arriviamo a casa, Adam si rinchiude nel suo studio per un po', poi esce di casa. Mi lascio cadere sul divano, accendo la televisione.
Non c'è nessun programma che cattura la mia attenzione, perciò alla fine alla spengo di nuovo, proprio nel momento in cui squilla il telefono.
Riconosco il numero.
"Andrew?"
"Lenah, non ci crederai mai!"
"Cosa?"
"Una pattuglia di polizia è appena arrivata a casa mia. Stanno portando via tuo padre e...il mio."
"Lo so, sono stata io. Ho raccontato tutto alla polizia."
"Come? Senti, adesso passo a prenderti, okay?"
"Adam non c'è."
Non so perché io abbia pronunciato questa frase, ma me ne sono pentita all'istante, come se abbia commesso un crimine. Mi sento come se abbia fatto una cosa tremendamente sbagliata. Sto davvero vedendo Andrew clandestinamente?
In fondo, non facciamo nulla di male.
Ci vediamo in segreto, ma non sto mancando di rispetto ad Adam. Lo sto facendo di nascosto solo perché altrimenti lui ne sarebbe tremendamente geloso. E voglio evitare che si ubriachi o dia di matto ancora.
Ma come posso spiegare l'improvvisa agitazione che mi pervade lo stomaco non appena sento il suono del campanello, quando corro ad aprire, sapendo di trovarmi di fronte Andrew?
E quando mi sorride? Perché sembra che il cuore mi sia sprofondato nel petto?
"Ciao"-dice soltanto. E basta solo questa semplice parola per mandarmi totalmente in confusione.
"C-ciao"-balletto improvvisamente.
Vorrei nascondere la testa sottoterra.
Aggrotta le sopracciglia, si apre in un sorriso.
"Va tutto bene?"
Annuisco, non potendo dire una parola.
Di colpo tutte le mie sensazioni mi investono come un treno in corsa.
Ciò che ho provato la scorsa sera, quando Adam mi ha baciata, nel bagno. E mi rendo conto un'altra volta di non aver provato nulla.
Non ho sentito le farfalle nello stomaco. Non mi sono sentita sollevare da terra. Non sono stata strappata alla realtà per rifugiarmi in un universo solo mio, l'universo che condividevo con Adam.
Non è successo niente di tutto questo.
E allora, adesso che sto provando tutte queste sensazioni allo stesso tempo, cosa significa?
Alzo lo sguardo su Andrew. Mi rendo conto di aver iniziato a fissargli il viso, ma non posso farne a meno.
"Lenah." La sua voce.
Alzo una mano e con la punta del dito gli sfioro lo zigomo. Lo sento ispirare di scatto e sobbalzare. Alla sua reazione torno bruscamente in me.
Sbatto le palpebre fissandolo.
"M-mi dispiace"-riesco a dire.
"No, non devi..."-sembra scosso.
Giustamente. Che cosa pensavi di fare?
Scuoto la testa. "No, ti prego. Non dire nulla. Dovevamo...andare a casa tua, no?"-cambio argomento. Sembra riscuotersi.
"Sì. Andiamo, la polizia li porterà via a momenti."

Quando arriviamo a casa di Andrew, la proprietà è circondata da volanti della polizia. Scendiamo dall'auto ed entriamo dal cancello principale.
Due uomini ammanettati vengono sospinti fuori dall'abitazione e verso le volanti da due poliziotti.
"Lasciatemi andare, io sono innocente! Non mi toccate!"-sbraita Damien.
I suoi occhi taglienti incrociano i miei per un momento, poi vengono sostituiti da quelli di mio padre.
"Sei stata tu"-mormora "sei stata tu, non è così? Solo tu conoscevi ogni cosa e solo tu avevi il coraggio e la determinazione necessari."
Lo guardo rigida.
"Devi avere quello che meriti."
"Sei mia figlia. E come tale, io ti voglio bene. Ricordalo."
"Ormai è tardi per questo, non credi?"
"Non è mai troppo tardi per dire ad una persona quanti tieni a lei."
Dopo che Damien e Tom vengono portati via, scorgo la madre di Andrew singhiozzare sulla porta.
Lui mi lancia un'occhiata, ed io lo incito ad andare da lei per consolarla.
Resto da loro per un altro po', poi Andrew mi riporta a casa, giusto in tempo per il rientro di Adam.

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