Il funerale di Andrew Sheen si sta celebrando due giorni dopo la sua morte. Sono stati due giorni strazianti ed incredibilmente lunghi, ma so che questo è solo l'inizio dell'esasperante dolore che già si è annidato nel mio stomaco, lacerandomi e squarciandomi il petto.
Ciò che è successo dopo che Alexa ed io abbiamo realizzato che l'auto accartocciata sulla strada era di Andrew, è molto confuso. Mi ricordo soltanto che le mie grida di dolore sono state così forti da svegliare la signora Sheen dal suo sonno profondo, e che poi le sue urla si sono mischiate alle mie raggiungendo la potenza tale da rischiare di far tremare la casa.
Mi hanno permesso di vedere il suo corpo, forse ridotto peggio della macchina ed è stato terribile. Credo sia stata l'esperienza più brutta della mia vita. E adesso che sono in piedi ad osservare la bara che viene calata nella fossa, con il cuore a pezzi ed i polmoni che implorano pietà bruciando ad ogni respiro preso, non posso far altro che provare a ricordare com'era Andrew prima di morire. Il suo sorriso, la sua dolcezza, i suoi occhi. Mi sforzo di ricordare la nostra notte insieme, e le lacrime scendono copiose rigandomi le guance.
Istintivamente mi porto le mani al ventre. Non ho nemmeno potuto dirglielo.
Alexa e Cindy sono le più vicine alla lapide. Sono strette l'una all'altra ed ogni tanto la signora Sheen emette dei lamenti pieni di sofferenza e disperazione che mi creano un buco nel petto, lo allargano sempre più.
Ricaccio indietro le lacrime che ancora premono in fondo agli occhi. Sbatto le palpebre, mi asciugo le guance e guardo in alto. Il cielo è nuvoloso, ma posso giurare di sentire un lieve calore sul viso.
Di nuovo il volto tumefatto di Andrew riaffiora alla mia mente con forza, smanioso di essere al centro dei miei pensieri, dei miei incubi notturni.
E, per la prima volta, desidero con tutta me stessa di non aver mai deciso di buttare la mia lametta, che, mia compagna nel dolore, in un momento come questo mi sarebbe tornata utile, mi sarebbe stata fedele e non mi avrebbe abbandonata.
Perché il dolore che provo ora è così grande che non riesco a contenerlo, anche se questa volta non si tratta solo della sofferenza che mi esplode in testa, ma anche di quella che mi lacera la pelle, il petto. E non posso far altro che soffrire, perché non posso nè eludere nè ingannare il dolore.
Ma il dolore è una parte di noi. Questo è quello che ho capito in tutta la mia vita: il dolore è ciò che ci rende umani. Altrimenti saremmo tutti automi privi di emozioni, anche se in questo istante, vorrei solo esserne uno e non avere più alcuna capacità di provare sensazioni di ogni genere.
Una figura vestita in abiti scuri si avvcina a Cindy in compagnia di un agente della polizia. È Damien, che stringe la mano della donna ed osserva i familiari e gli amici di Andrew buttare fiori sulla sua bara che sta per essere sepolta definitivamente. Penso al suo corpo dentro di essa e lo ricordo come l'ultima volta che l'ho visto. Era così freddo e pallido che sarebbe potuto sembrare di porcellana, se non fosse stato per i graffi e le ferite presenti sul suo viso. Quando mi hanno condotta da lui, all'obitorio, ed hanno sollevato il lenzuolo bianco dalla sua testa, il mondo mi è crollato addosso per una seconda volta. Sono scoppiata in un pianto irrefrenabile e non ho potuto far altro che toccare la sua pelle, per poi rendermi conto di quanto fosse fredda al tatto.
"È lui?"-ha chiesto la donna di colore che mi ha portata lì. Era un'agente della polizia.
Vorrei tanto che non lo fosse, ho pensato, ma non sono riuscita a trovare le parole incastrate in fondo alla gola insieme al sapore salato delle lacrime. Ho solo continuato ad emettere singhiozzi.
"Come è successo?"-sono riuscita poi a balbettare. La donna ha sospirato.
"Un terribile incidente. Un camion ha colpito la sua macchina ad una velocità elevata. L'impatto è stato molto forte. È morto sul colpo."
A quel punto ho gridato. Ho gridato così forte che ho sperato di morire per mancanza d'aria nei polmoni, o solo perché stavo soffrendo troppo. E tuttora sto soffrendo. Ho superato la soglia di sopportazione. Ma, ogni volta che prendo in considerazione l'idea di morire, penso alla vita che si sta formando nel mio grembo: nostro figlio. Mio e di Andrew. E, puntualmente, mi prometto di crescerlo anche per lui. E renderò il nostro bambino fiero di suo padre. Orgoglioso di avere un padre come Andrew Sheen. Il ragazzo più forte che io abbia mai conosciuto.
"Lenah"-una voce interrompe i miei pensieri. Stacco lo sguardo da terra ed incontro un paio di occhi chiari.
"Damien"-sussurro, asciugandomi le lacrime. "Mi hanno dato un permesso speciale. Desideravo uscire di prigione, ma non per il funerale di mio figlio."
La rabbia si sovrappone al dolore sordo che provo.
"Come puoi dire una cosa del genere?"-urlo, inveisco contro di lui senza un buon motivo apparente.
"Tu, proprio tu, che hai torturato Andrew per tutta la sua vita, tu, che hai deturpato la sua pelle, tu, che l'hai abbandonato a sé stesso in un manicomio! Tu l'hai ucciso dentro!"
"Curioso che queste parole escano dalla bocca di un'autolesionista."
La sua frase mi colpisce come uno schiaffo.
"Ed è curioso anche il fatto che anch'io sia stato abbandonato a me stesso in una cella."
"Te lo sei meritato"-sputo, piena di rancore.
"E in quanto a ciò che ho fatto a mio figlio,"-dice, "sai perfettamente che l'ho fatto per lui. In modo tale che non si comportasse come una povera ragazzina piagnucolosa."
"Sei un sadico! Andrew è morto!"
"Lo so!"-grida di rimando, "ma non è di certo mia la colpa di questo."
Rimango in silenzio.
"Stammi bene. Ed ogni tanto, fatti viva. Sai, per Tom"-sospira, poi se ne va, ed io torno a fissare gli uomini che stanno coprendo di terra la bara di Andrew.
Da piccola ho assistito al funerale di mia madre. Non ricordo molto, solo che pioveva a dirotto e la bara scura che veniva calata nella fossa.
Ho dei ricordi molto sfocati della mia infanzia, ed ora tutto ciò che desidero è che il mio cervello blocchi i ricordi come è accaduto per la morte di Margaret e di mia madre. Serro le labbra e le mordo fino a sentire il sapore del sangue. È un buon modo per procurare un piccolo dolore che provi a contrastare quello più grande.
È un'alternativa alla lametta.
Colta da un'improvvisa sensazione, alzo lo sguardo. Il formicolio alla nuca cessa non appena poso lo sguardo sul ragazzo in piedi, immobile.
Mando giù il groppo che mi si forma in gola ed inizio ad avanzare verso di lui, sempre più velocemente.
Adam mi osserva.
"Mi dispiace"-mormora, "per tutto."
E allora, decido di mettere da parte i rancori, e mi getto fra le sue braccia calde, confortevoli. Solo adesso mi rendo davvero conto di quanto mi sia mancato tutto questo, e sono felice che qualcuno sia qui, in grado di confortarmi, per quanto gli sia possibile.
"Mi dispiace che sia morto"-dice fra i miei capelli, ed il cuore mi si scioglie nell'emozione di sentirgli pronunciare parole del genere. Nonostante l'odio che avesse provato per Andrew, so che è sincero.
Ci sono moltissime cose da chiarire, sopratutto fra noi due, ma in questo momento non me ne importa nulla: l'unica cosa che voglio in questo momento è restare così, fra le sue braccia, dimenticando tutto tranne la morte di Andrew, tutto quanto, tranne lui. E bene o male, l'enorme dolore che poco fa mi toglieva il respiro si sta pian piano attenuando, anche se so che non se ne andrà mai.
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Pain is human
RomanceLenah Ariston si sta riprendendo dalla sua esperienza in manicomio; sta cercando di rifarsi una vita, ha conosciuto nuove persone. Una di queste è un ragazzo, Andrew Sheen, conosciuto in manicomio e che poi la ospita in casa sua, una volta usciti e...