Capitolo 38

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Più tardi, sono distesa sul letto nella mia stanza a guardare il soffitto.
Dopo la reazone spropositata di Cindy, Andrew è salito in camera da lei per accertarsi della sua salute dopo avermi augurato la buonanotte.
Cambio posizione nel letto per cercare di prendere sonno, ma la verità è che non ci riesco. Passano cinque minuti, forse dieci. Sbuffo frustrata e torno a fissare il soffitto.
Mi alzo di scatto dal letto e vado verso la porta.
Prima che possa rendermi conto di ciò che sto facendo, mi ritrovo di fronte la porta della camera di Andrew.
Prendo un profondo sospiro, busso piano alla porta.
La apro leggermente, quel poco che basta per sbirciare un po' al suo interno.
Intravedo il letto, sul quale è sdraiato un corpo avvolto dalle coperte.
"Andrew?"-sussurro.
"Lenah?"-gracchia rigirandosi.
"Sono io."
"Entra, vieni"-dice mettendosi a sedere sul materasso e liberandosi dal groviglio di lenzuola.
"Dormivi? Io...posso andare."
"No, no. Ero sveglio, pensavo."
Sgattaiolo nella sua stanza chiedendomi la porta alle spalle cercando di fare meno rumore possibile. Sicuramente sua madre adesso starà dormendo e non voglio disturbarla; non dopo la crisi di nervi che ha avuto a cena.
"Sono venuta per sapere come sta tua madre."
Mi avvicino un po'.
Alza le spalle. "Starà meglio. Non è la prima volta che ha una crisi di nervi."
Sospira. "Mi dispiace per prima, a cena. È stata troppo...impulsiva e mi dispiace per come si è comportata con te."
"Non importa"-dico facendo un gesto della mano come a sottolineare le mie parole.
Mi avvicino di più.
"Sono venuta anche per un'altra cosa"-bisbiglio, "volevo ringraziarti ancora una volta per tutto quello che hai fatto per me. Per quello che stai facendo. E..."-esito. "Volevo anche dirti che probabilmente avevi ragione, hai sempre avuto ragione."
Nella penombra scorgo il suo sorriso affiorargli sulle labbra.
"Ragione? Su cosa?"-chiede sospeso.
"Su tutto. Su Adam"-dico d'un fiato.
Il sorriso rilassato diventa leggermente tirato.
"Smith? Che cosa c'entra adesso?"
"Credo che...avevi ragione su di lui. Le cose che mi hai detto, forse sono vere e forse io non so nemmeno cosa sia l'amore."
Prendo fiato.
"Ma credo anche di sapere che ultimamente i sentimenti che provavo un tempo per lui sono cambiati, in qualche modo. Mi sono resa conto che più passavo il tempo con te, più mi accorgevo di provare qualcosa in più di un semplice sentimento d'amicizia."
"Lenah..."-mormora diventando serio.
"Io provo qualcosa per te. Qualcosa che mi fa battere forte il cuore e tremare le gambe al tempo stesso. Qualcosa che mi fa balbettare ogni volta che provo a parlare in tua presenza. Io...ti amo, Andrew"-sbotto.
E improvvisamente avverto una sensazione di leggerezza nel petto.
Ma non ho il tempo di pensare altro poiché Andrew scende dal letto con un balzo e mi raggiunge.
"Dimmi che non è uno scherzo"-sussurra prendendomi il viso fra le mani e poggiando la fronte alla mia, "dimmi che non è un sogno, ma che tu sei qui, reale, viva e che hai appena pronunciato queste parole, vere come non mai."
"Ti amo"-sussurro, ma le mie parole vengono smorzate dalle sue labbra sulle mie, spazzate via dalla furia dei suoi baci.
Mi sospinge verso il letto, mi fa sdraiare ed inizia a baciarmi il collo con veemenza. La gola, la fronte, le spalle. Si toglie la maglia, poi fa lo stesso con me ed inizia a baciarmi la pelle, i tagli.
Vorrei fare qualcosa anch'io, ma tutto ciò che riesco a fare adesso è gemere ad ogni pressione che la sua bocca esercita su di me.
"Andrew"-ansimo, "voglio fare l'amore con te."
Si ferma, fissa gli occhi nei miei. I suoi sono così chiari, così acquosi, così intensi. Deglutisce.
"Anch'io"-annuisce con un sorriso che mi fa sciogliere le gambe.
Così, entro poco tutti i nostri vestiti vanno a finire a terra, sparsi sul pavimento della sua stanza.
Si posiziona sopra di me.
"Lenah"-sussurra, "prima voglio che tu sappia una cosa: non sono vergine. Ma ti assicuro, ti prometto, che questa sarà come se fosse la mia prima volta."
Porto la mia mano sulla sua nuca e la accarezzo piano, invitandolo ad andare avanti.
"Ti amo"-dice, e posa le sue labbra sulle mie, entrando in me.
Allargo le gambe ancora di più e allaccio alla sua vita, poi lo stringo a me, passando le mani sulla sua schiena.
I suoi muscoli si tendono sotto la pelle quando le mie dita sfiorano le sue cicatrici.
Passo la mano aperta sulla scritta che ha incisa nella pelle, sento sotto i polpastrelli ogni singola lettera.
'Uno Sheen è forte.'
Oh, Andrew, tu sei un ragazzo forte, se solo te ne rendessi conto.
Geme improvvisamente sulla mia pelle ed io inarco la schiena e chiudo gli occhi.
Esce da me e si posiziona al mio fianco, circondandomi la vita con un braccio.
Rimaniamo in silenzio per un po', lui con gli occhi chiusi ed un sorriso beato sulle labbra, io con lo sguardo incollato al soffitto ad ascoltare il battito frenetico del mio cuore ed i nostri respiri affannati che si mescolano fra loro.
E poi, prima che me ne possa rendere conto, le palpebre si abbassano ed io scivolo in un sonno tranquillo.

Mi sveglio con una strana sensazione in tutto il corpo, che però viene spazzata via non appena incontro con lo sguardo quello sorridente di Andrew, che nel frattempo ha indossato un paio di pantaloni grigi della tuta.
"Buon giorno, tesoro"-sussurra ammiccante.
Si sporge per darmi un piccolo bacio.
"Che ore sono?"-chiedo stiracchiandomi.
"Credo proprio sia ora di alzarsi"-ride.
Va verso il comò di fronte al letto, apre un cassetto e tira fuori un paio di calzini chiari. Se li infila, poi continuando a darmi le spalle, prende una camicia e se la infila, impedendo così la visuale delle sue cicatrici.
Si volta, mantenendo il sorriso di poco prima.
"Ci vediamo giù. Vestiti con comodo."
Richiude la porta, lasciandomi sola nella sua stanza. Mi concedo ancora un po' di tempo restando nel letto ad osservare ed imprimere nella mente ogni singolo particolare della camera di Andrew. Come il portafoto posto sul comò, ad esempio. Curiosa, mi avvicino ad esso e lo prendo in mano per osservare meglio la foto, che raffigura Andrew con una ragazza. Mi acciglio e deglutisco a fatica quando realizzo che la ragazza in questione è Melody: la sua chioma rossa ed il suo sorriso tanto smagliante quanto fastidioso sono inconfondibili.
Riposo il portafoto sul mobile, poi mi rivesto velocemente. Non ho voglia di fare colazione, il mio stomaco si è improvvisamente chiuso. Perciò entro nel bagno per lavarmi e darmi una sistemata.
"Speravo di trovarti ancora nel mio letto, al mio ritorno."
Sobbalzo spaventata, voltandomi di scatto verso Andrew che nel frattempo ha aperto la porta per metà ed è sgattaiolato nella stanza senza che me ne accorgessi.
"Qualcosa non va?"-domanda. Il suo sorriso si smorza, probabilmente si è reso conto della mia faccia da funerale.
"Ho notato la foto sul comò"-dico soltanto, e lui assume un'espressione eloquente. "Credevo che tra voi non ci fosse più nulla. Chi è realmente Melody per te?"
"Lei era la mia ragazza, un tempo. Credevo di amarla veramente e pensavo fosse lo stesso per lei.
Ma mi sbagliavo. Melody è tutto il contrario che mi aspettavo che fosse.
Quella foto l'ha scattata mia madre e la tengo ancora sul quel mobile in modo tale da ricordarmi cos'ha fatto e da ricordarmi di non fare un'altra volta lo stesso errore."
"Cosa ti ha fatto Melody?"
"Lei mi ha incastrato, mi ha fatto passare per un malato di schizofrenia e, dato che la sua famiglia è parecchio influente, mi hanno sbattuto in manicomio senza accertamenti. Non ho idea di cosa avesse in testa, ma poi mio padre ha annunciato che lui e mia madre sarebbero partiti per una lunga vacanza, e che un po' di tempo in quel lucido posto non mi avrebbe fatto male. Per maturare, capisci?"
Si passa una mano tremante quanto la sua voce sugli occhi.
Sospiro.
"Mi dispiace per tutto quello che hai passato"-sussurro sincera ed inorridita al tempo stesso. Come può una persona arrivare a certi livelli di crudeltà, soprattutto un padre?
Scuoto la testa. Il mio ne è la prova.
Tolgo la mano che ho posato sulla spalla di Andrew.
"Ti lascio finire di prepararti"-sussurra.
Annuisco, poi chiudo la porta dietro di lui.

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