Capitolo 23

959 62 0
                                    

Il rumore della serratura che scatta e della porta che sbatte mi fa aprire gli occhi, destandomi dal mio stato di dormiveglia. Adam entra nella stanza, senza accendere la luce.
"Ehi"-sussurro mettendomi a sedere sul letto.
"Ehi"-fa lui di rimando, avvicinandosi a me per darmi un bacio.
"Ancora sveglia?"
"Non dormo molto bene se so che tu non sei ancora tornato."
Sorride, poi si inizia a spogliare.
"Com'è andata al lavoro?"-gli chiedo, poggiando le mani sul materasso e inclinando la testa di lato lievemente.
"Bene, fortunatamente"-si sfila i pantaloni e rimane in boxer.
Poi va in bagno. Poco dopo, ritorna e si infila nel letto.
"Una volta dovresti portarmi nel locale dove lavori"-mormoro nella penombra della stanza.
"Non è nulla di speciale"-dice.
"Sicuramente. Ma sai, non mi dispiacerebbe sapere dove lavora il mio ragazzo, perché si dà il caso che io non sappia nemmeno questo."
Lo sento sospirare.
"È un pub"-dice dopo un po' "non è molto distante da quello che hai visto oggi."
"Un pub"-ripeto "e come si chiama?"
"Scusa, Lenah. Ho lavorato molto oggi, ho un mal di testa che non si decide a passare, sono stanco. Vorrei dormire, se non ti dispiace. Parleremo domani."
Sospiro pesantemente, evitando di ribattere con un "è solo un nome".
"D'accordo"-mormoro invece.
Dopodiché, chiudo gli occhi, sperando di prendere subito sonno.

Il giorno dopo, Adam sparisce in garage per tutto il tempo.
Aspetto l'ora di pranzo, nel momento in cui siamo finalmente insieme.
"Fai di tutto per evitarmi, adesso?"-butto là, utilizzando un tono scherzoso, almeno in parte.
"È perché non vuoi rispondere alle mie domande?"
Lui mi guarda, alzando un sopracciglio.
"Controllavo il motore della macchina"-ribatte tranquillamente, sembra sincero "deve avere avuto un qualche tipo di collasso, non ne ho idea."
Passano pochi istanti di silenzio, poi mi abbandono ad un lungo sospiro.
"Adam"-dico "pensavo che...magari, possiamo fare qualcosa noi due. Non so, andare da qualche parte, scegli tu. È da tanto che non stiamo insieme."
Lui annuisce. "Lo so"-mormora "ma mi dispiace, devo andare a lavorare."
Sbuffo, dispiaciuta.
"Ti fanno lavorare solo la sera, adesso?"-faccio, diffidente.
Scrolla le spalle. "Non dipende da me, Lenah."
Annuisco. "Certo."
Lascio la stanza per poi tornare poco dopo.
"Quando avrai del tempo, avrei bisogno di parlarti."
Mi risponde con un cenno del capo, poi si alza per andare a farsi una doccia.
Quanto esce dal bagno, lo seguo in camera, dove apre un cassetto ed afferra un paio di mutande.
Lo osservo mentre lascia cadere ai suoi piedi l'asciugamano che teneva in vita e si infila la biancheria pulita.
Dopodiché, indossa frettolosamente un paio di pantaloni scuri ed una camicia bianca, di cui arrotola le maniche su fino ai gomiti.
"Vado. Ci vediamo più tardi"-mi bacia sulla fronte, poi esce di casa.
Rimango sul letto a fissare il vuoto, picchiettando un dito sulla coperta.
Per la prima volta, mi chiedo se accettare questo lavoro sia stata una buona idea.

Quando Adam torna a casa, ho già cenato da un pezzo. Guardo la televisione seduta in cucina e balzo giù dallo sgabello per andare a salutarlo.
"Ehi"-dico avvicinandomi a lui per baciarlo sulle labbra "hai fatto tardi, stasera."
Sorride, ricambiando il bacio. "C'era un po' di traffico."
"La macchina ti ha dato altri problemi, invece?"
Scuote la testa, cingendomi i fianchi con le braccia. Sembra meno stanco del solito e che gli sia tornato il buon umore. È più allegro.
Improvvisamente, uno strano odore mi colpisce le narici.
"Adam, cos'è quest'odore?"-gli chiedo arriciciando il naso.
"Non sarà mica...fumo?"
"Ho bisogno di farmi un'altra doccia. I vestiti mi si saranno impregnati degli odori della cucina."
"No"-lo fermo "hai addosso l'odore del fumo di sigaretta."
Il mio tono di voce è seria, alta, ma non troppo.
"Hai fumato?"
Mi guarda, vacilla, esita.
"Da quant'è che fumi?"
"Da quando mio padre è morto."
Deglutisco. "Non me ne sono mai accorta."
Alza le spalle, si volta. "Faccio solo qualche tiro, ogni tanto. Nulla di che."
Sbuffo, passandomi una mano tra i capelli. "Scusa, Adam. Sono solo stanca, stasera."
Detto questo, me ne vado a dormire, sperando di non essere stata troppo dura con lui. Mi sento così insicura, adesso. Mi sento in una costante apprensione, che fa odiare me stessa per come mi comporto ogni volta.
Credo che il lavoro di Adam stia stressando più me che lui.
Ho bisogno di parlargli, di condividere con lui i miei progetti per il nostro futuro. Avremmo da fare talmente tante cose...potremmo sistemare la casa, ristrutturarla, personalizzarla, renderla nostra. Potremmo andare dalla polizia per denunciare Tom, per chiedere spiegazioni sul suo rilascio, sul suo processo. Vorrei che scontasse gli anni che merita per aver commesso un omicidio ed aver tentato di uccidere anche me. Vorrei che scontasse la giusta pena che gli spetta per aver distrutto la sua famiglia, per avermi portato ad intraprendere la strada dell'autolesionismo. Ed improvvisamente mi odio per averlo fatto. Per tutti questi anni ho sentito addosso il peso della morte di entrambi i miei genitori, soprattutto di mio padre. Mi sentivo in colpa, passavo ogni istante della mia vita a rimuginare sulle mie azioni, ritenendole sbagliate. Ma adesso, sono piena di incertezze, perché non posso fare affidamento sul ricordo di quella notte. L'unica cosa certa è che la morte di Margaret è reale, e che, nonostante tutto, i tagli che ho sulla pelle sono anche per ricordare lei, la mia migliore amica d'infanzia.
Adesso mi sento in dovere di perseverare dove ho fallito in passato: aiutare la mia unica amica.
Voglio aiutare Ash, fare qualcosa per lei, farla uscire dall'orribile situazione in cui si trova ora, con un ragazzo violento e disumano.
Mi piacerebbe far sapere tutto ciò ad Adam, i miei pensieri, le mie paure, i miei progetti, ma non riesco mai a trovare il momento adatto per farlo.
Lui è sempre impegnato, perennemente preso dal suo lavoro.
Sono consapevole che ci stiamo allontanando, sento che mi sta scivolando dalle dita. Non riesco a fermarlo, non so come agire.
Mi sento così inutile. Non ho un lavoro, non ho una macchina per spostarmi più facilmente. Ho soli sedici anni e, solo ora, mi sento così terribilmente piccola rispetto ad Adam.

Pain is humanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora