Capitolo 39

723 43 5
                                    

"Andrew?"
"Mmm?"
Continua ad accarezzarmi i capelli ed io a bearmi di questa sensazione stando appoggiata al suo petto.
Osservo il nostro riflesso nel grande specchio posto sopra il comò di fronte al letto, nel quale ci troviamo ancora una volta, l'indomani mattina.
"Con Melody...è stata la tua prima volta?"-finalmente riesco a formulare la domanda che mi assilla da ieri mattina, da quando ho visto la foto sul comò di Andrew.
"Sì"-sospira, "e non puoi capire quanto io mi sia pentito di questo."
Mi mordo il labbro inferiore, pensando alla mia, di prima volta.
E io mi sono pentita? No, Adam in quel momento era la persona che amavo, che credevo di amare.
Decido di non aggiungere altro, di lasciare il silenzio cadere fra noi come un sipario, finché improvvisamente non mi viene in mente una cosa.
"Andrew, ti ricordi dell'ultima volta che ci siamo visti prima che io...me ne andassi con Adam?"-bisbiglio, temendo una brusca reazione nel sentire il nome del ragazzo che sembra odiare con tutto se stesso.
Invece sento solo un lieve sospiro da parte sua.
"Come non ricordarlo. Sei praticamente scappata via."
"Ti ho lasciato la mia lametta"-sussurro, "vorrei riaverla. Ho intenzione di buttarla, una volta per tutte."
Inclino la testa leggermente all'indietro per osservarlo negli occhi.
"Capisco. Te la prendo."
Mi fa scostare da lui ed io mi appoggio sui cuscini alti, mentre lui si alza ed apre il primo cassetto del comodino, da cui tira fuori la mia lametta.
Me la porge.
Quando la tocco, una marea di ricordi riaffiora con forza nella mia mente, il petto sembra sul punto di scoppiare.
La stringo fra le dita e ringrazio Andrew.
Mi alzo anch'io dal letto ed indosso una vestaglia, poi scendo in cucina per sbarazzarmi dell'oggetto che tengo in mano una volta per tutte, buttandolo nel secchio dell'immondizia.
Prendo un profondo respiro. Mi sento meglio, in qualche modo.
Sono più leggera.

Più tardi raggiungo la palestra dove Andrew si sta allenando. In questo momento, ad esempio, è alle prese con una serie di flessioni.
Mi appoggio allo stipite della porta e lo osservo da lontano. Si accorge di me, ed un sorriso mi affiora sulle labbra.
I suoi muscoli sono tesi e nonostante si stia sforzando di ricambiare il sorriso nel modo più naturale possibile, so bene il motivo per cui è diventato tutt'un tratto così rigido.
Questa stanza non gli ricorda nulla di buono anzi, questo era il posto in cui il padre lo picchiava e torturava per conferirgli una 'buona educazione, degna di uno Sheen', con le sue perverse motivazioni. Quindi capisco benissimo la sua postura ingessata e a disagio ogni volta che entro qui dentro. "Che fai qui? Sai benissimo che non mi piace che tu resti qui dentro."
"Lo so,"-annuisco "ma so anche cosa significhi per te venire ad allenarti in questa stanza, e non voglio che tu sia solo."
Addolcisce lo sguardo ed il suo sorriso precede il bacio che mi lascia sulle labbra.
"Vado a farmi una doccia."
Adesso è il mio turno di sorridere.
Improvvisamente mi squilla il telefono, ma quando osservo il display, il sorriso se ne va.
"Che succede?"-chiede Andrew accigliandosi.
Deglutisco, poi scuoto la testa.
"Niente"-dico, infilandomi di nuovo in tasca il cellulare e non rispondendo ad Adam.
Mentre Andrew è di sopra in bagno, ricevo altre due chiamate da parte di Adam, che scelgo ignorare.
Sono nella mia camera quando Andrew entra per annunciare che è sul punto di uscire.
"Vuoi che venga con te?"
Scuote la testa. "No, sarebbe dovuta venire mia madre, ma sta dormendo per via dei sonniferi. Si tratta solo di chiarire alcune cose su mio padre sarò di ritorno presto."
Sorride. "Stasera sarò da te."
Si china a baciarmi lentamente, ed io avverto una strana sensazione che mi fa aggrappare alla sua camicia.
"Vado. Ci vediamo più tardi."
Annuisco, mordendomi il labbro.
Mimo un debole 'ciao' con la bocca guardandolo andare via.
Non molto dopo la sua partenza, scendo di sotto in preda ad un forte mal di pancia.
"Alexa, sei qui?"-chiedo entrando in cucina piano piano.
"Signorina, tutto bene?"
"In realtà, no. Mi fa molto male la pancia e non so come fare per far passare questo dolore."
Penso a me distesa sul letto poco prima per provare inutilmente ad alleviare il malessere.
Alexa assottiglia lo sguardo, poi mi posa una mano sul ventre.
Sospira. "Preparo una tisana. Magari aiuterà un po'."
Annuisco con un sorriso e la ringrazio.
"Signorina?"-dice rompendo il silenzio.
"Dimmi, Alexa."
Mi dà le spalle, dal momento che è indaffarata con la pentola dell'acqua che ha messo a riscaldare sui fornelli.
"Non è che voglia ficcare il naso nelle vostre faccende private - sue e del signorino - ma credo sia opportuno che lei si accerti di questo."
Sono parecchio confusa, almeno fino a che lei non mi porge una scatoletta rettangolare.
Strabuzzo gli occhi ed avvampo di colpo. Inizio a balbettare qualcosa di insensato, poi tento di calmarmi in tutti i modi.
Ma da dove diavolo ha tirato fuori un test di gravidanza? In cucina poi!
"A-Alexa, io veramente, n-non credo che...di...insomma..."
"Lenah"-mi interrompe con fare materno, "non serve che nasconda nulla. Io...le consiglio solo di provare."
Sospiro pesantemente, poi afferro ciò che lei mi porge.
Salgo le scale lentamente, diretta in bagno. Con dita tremanti, apro la scatola e tiro fuori l'oggetto.
Leggo brevemente le istruzioni nel foglietto allegato, poi lo faccio: mi
posiziono sopra di esso e lascio che il getto d'urina lo lambisca per alcuni secondi. Poi, prima di vedere il risultato, prendo un respiro profondo.
Merda.
Improvvisamente mi squilla il telefono.
"Non ho tempo adesso"-dico brusca.
"Mi dispiace. Mi dispiace tantissimo, credimi. Te lo giuro. Dove sei ora?"
"Adam." La sua voce è angosciata.
"Credo tu sappia perfettamente dove mi trovi in questo momento."
Così come io so dove sia Megan adesso.
"Immaginavo"-sospira, "senti, so che questo non è il modo adatto per parlare, ma sono sincero dicendo che mi dispiace. Io..."
"Adam, ho capito, ma adesso ti devo lasciare"-dico prima di chiudere la telefonata.
Poso il cellulare sul ripiano accanto al lavandino e mi guardo nello specchio, stringendomi i capelli fra le mani.
Boccheggio. Inspiro. Espiro.
Devo andare da Alexa.
Percorro il corridoio breve e poi le scale rapidamente, infine mi precipito in cucina.
"Alexa!"-esclamo entrando.
Sta guardando la televisione, è appoggiata al tavolo e le tremano le mani.
"Che succede?"-mi faccio seria.
Lei mi guarda con espressione affranta, si siede su una sedia come se volesse un sostegno in più.
Rivolgo la mia attenzione al televisore. La giornalista sta parlando di un incidente stradale e le sue parole sono accompagnate da una ripresa del luogo in cui esso è avvenuto.
Mi porto le mani alla bocca, realizzando che l'automobile accartocciata è una decappottabile rossa. Sono in uno stato di shock quando leggo il nome di Andrew nei sottotitoli.
"Il signorino..."-sussurra Alexa, poi scoppia in un pianto disperato.

Pain is humanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora