12- Fermo lì

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Il silenzio nella stanza è quasi palpabile, intriso di tensione. Giulia ha appena assaggiato la sfogliatella che ha preso senza chiedere il permesso. Ha levato un angolo della carta, l'ha addentata e poi, con un sorriso che mi sembra quasi forzato, ha detto: «Non è male, ma niente a che vedere con quelle della pasticceria vicino casa mia.»

Io l'avevo guardata senza rispondere, come se avessi bisogno di un po' di tempo per farmi una ragione del fatto che non c'era più niente da dire. Lei ha continuato a masticare, senza fretta, come se il mondo intorno a noi neanche esistesse. E io lì, immobile, con gli occhi fissi su di lei, sentivo il peso di ogni singola parola che non veniva pronunciata.

Poi, senza preavviso, ha cominciato a camminare. Non ha detto niente. Ha messo la sfogliatella sul piattino, si è infilata la giacca e, con un'aria di leggerezza che mi ha fatta sentire ancora più vuota, ha detto: «Vado. Mi fa piacere che ci siamo visti, ma... ho altre cose da fare.»

Non c'era rabbia nelle sue parole, solo una calma straniante, quella calma di chi ha già deciso tutto. Senza nemmeno un saluto, ha lasciato la stanza e io sono rimasta lì, a fissare la porta che si chiudeva dietro di lei.

Ora, la casa sembra troppo grande per due persone che si sono dimenticate di come respirare nello stesso spazio. Restiamo soli, Mattia e io. Il rumore dei suoi passi sulla moquette è l'unico suono che riempie l'aria. La sua espressione è pesante, come se avesse appena fatto qualcosa dalla quale non può più tornare indietro. Il suo corpo si muove lentamente, con il peso del rimorso che sembra farlo affondare nel divano, accanto a me.

Un attimo di silenzio, poi è lui a parlare, la voce più bassa del solito, quasi a non volerla sentire.
«Mi dispiace... per quello che è successo." Le parole sembrano difficili da pronunciare, come se dovesse superare una barriera invisibile, quella che lo separa dalla verità. Mi limito ad ascoltarlo, senza dire una parola. Non sono sicura di volerlo ascoltare. Non sono sicura di voler sentire le sue giustificazioni, ma so che è l'unico modo per andare avanti, almeno un passo. «È che,» continua, «non avrei mai voluto che andasse così, ma... ho fatto una scelta.» Le parole cadono pesanti tra di noi, e quando me le lancia, sembra quasi che lui stesso non creda a quello che sta dicendo. «Giulia può sembra la donna più stronza di questo mondo, ma... mi è stata vicina in momenti in cui, starmi accanto era quasi impossibile per chiunque altro». La stanza mi sembra improvvisamente piccola, soffocante. Lo vedo, lo sento, ma non lo riconosco più. «Mi ha dato più di quanto potessi immaginare. Più di quanto meritassi» La sua voce è piena di un'emozione che non so se definire dolore o rassegnazione. «E io non posso... non posso ignorarlo, Martina. Non posso far finta di niente.» e ancora, con un tono ancora più basso: «Non riesco a lasciarla andare.» è aggrappato al suo passato.

Resto in silenzio. Non posso dirgli niente. Mi fa male, mi fa male sentirmelo dire, ma non posso nemmeno rispondere. Non posso dire che capisco, che va tutto bene, che è giusto. Non è giusto. E non riesco a capirlo.

In qualche modo, mi trovo più distante dal suo corpo, con le mani tremanti mentre mi avvicino alla porta. Lui non dice niente, resta lì a guardarmi, ma il suo sguardo è vuoto, come se non sapesse più come raggiungermi.
«Va bene...» mi limito a dire. «Va bene così.»
Lui non risponde. Non può rispondere. Non c'è più nulla da dire. E, lentamente, senza più nulla da fare, apro la porta.

«Martina, aspetta...» Mi chiama, ma non mi fermo. Non voglio fermarmi. Non voglio sentire più parole che non cambiano niente. «Posso comunque aiutarti, che se hai bisogno di...»

Lo sento, ma non voglio ascoltarlo. «No. Non ho bisogno del tuo aiuto» rispondo, senza voltarmi. «Non lo voglio.» La porta si chiude dietro di me, con un suono che riecheggia in tutto il corridoio. Non voglio sentire niente, non voglio più sentire nessuna giustificazione, nessun rimorso. Eppure, prima di andare via, resto ferma davanti alla porta, come se aspettassi qualcosa che non arriverà mai.

Poi, mentre mi allontano, un rumore improvviso – un pugno che colpisce il tavolo con violenza. È Mattia. Lo sento, ma non faccio nulla. Non ci penso nemmeno. Non ho più la forza per farlo. Mi allontano, passo dopo passo, lontano da quella stanza, lontano da lui, e sento un peso che si fa sempre più grande, ma che, in qualche modo, mi fa sentire libera.

E non guardo indietro.

IG: Napoesja

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