15- Piu siamo, meglio è

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"Martina, devi venire subito a casa,
Arianna non è andata a scuola, ha la febbre.
Ed io sono molto impegnata."
11:36

Mi alzo in fretta, prendo la borsa e mi precipito fuori, senza neanche pensarci due volte.
Fortuna che abitano a pochi isolati da qui.

Arrivo, non guardo l'orologio, corro verso la porta e suono il campanello. Nessuna risposta. Tiro fuori la chiave che mi è stata data qualche giorno prima di iniziare. Entro.

«Arianna? Sono io.» con passi lenti e calcolati mi faccio spazio in casa. Ma a sbarrarmi la strada non è la piccola, bensì Mattia. Vederlo, senza alcun preavviso, mi manda il cuore in tilt. «Santo cielo» strido spaventata, portandomi una mano sul petto.

«È così semplice farti diventare gialla» e ride. Poi si sposta di lato per farmi addentrare meglio.

«Dov'è Arianna?» chiedo, con occhi indagatori.

«Ah.» si dirige verso la cucina «No. Lei non c'è» dice, con tutta la tranquillità del mondo.

«Che significa non c'è? Perché tua madre mi ha chiesto di venire allora?» apro di più gli occhi «Aspetta.» sono fuori di me «Non dirmi che l'hanno dovuta portare in ospedale!» infilo le mani fra i capelli. Ma, a differenza mia, lui scoppia a ridere. «Non c'è assolutamente niente di divertente in tutto ciò» gli faccio presente, tirandogli un pugno sul braccio.

«Dai! Non preoccuparti. Ha solo un di raffreddore. È a casa della nonna»

«Ma... non capisco... tua madre...»

«Lo so» mi mostra il cellulare di sua madre «È fuori. Lo ha dimenticato qui. E ne ho approfittato» sospira. Riposandolo in tasca. «In due sarebbe stato troppo complicato... voglio che ci aiuti a preparare una sorpresa per Arianna. In questi giorni è un po' giù di morale, vorrei che capisse che non è sola»

Mi guardo intorno, ancora confusa.
«Ok, ma... che devo fare?»

«Quindi ci stai?» chiede, felice come una Pasqua. Annuisco, guardando il soffitto.

«Ormai sono qui. Non è che abbia troppe alternative» esterno, fingendo di non aver alcun interesse. In realtà però, questo mi fa sentire meglio. Ha ancora a cuore la felicità degli altri. E poi su, chi voglio prendere in giro... sono felice che abbia scelto me.

«Fantastico!» esclama prima di darmi un bacio veloce proprio sulla testa. Non ho il tempo neanche di pensarci su che inizia a trascinarmi con sé. «Ho già tutto pronto» e lo vedo. La tavola è piena di ingredienti. «Ho deciso di prepararle una torta» mi dice, mentre arrotola le maniche della sua camicia bianca. Dopodiché, si avvicina per passarmi una ciotola. L'afferro, ma distrattamente sfioro la sua mano. Il contatto è lieve, eppure sento il mio cuore battere più forte del normale.
«Sei nervosa?» mi chiede, con un sorriso malizioso. «Ti tremano le mani»

«Ma che dici!» rispondo, cercando di sembrare calma mentre prendo lo zucchero. «Io sono una professionista»

Lui ridacchia. «Una professionista che sbaglia la dose?»

Lo guardo mentre mescola il tutto con un cucchiaio di legno. «Non è vero! Ti stai solo divertendo a prendermi in giro.»

«Sicuro?» dice, mettendo un po' di zucchero in più nel composto. «Mi sa che la professionista è un po' fuori allenamento» Ridacchia, guardandomi dall'alto. Cerco di spezzare il nostro sguardo, quasi subito. Una parte di me, mi urla a squarciagola che non riuscirei a sostenerlo ancora per molto. «Ma non è un problema. Lo zucchero che non hai messo nella ciotola, lo hai nel cuore.» immediatamente percepisco un brivido che mi fa sentire viva, eppure allo stesso tempo un po' più fragile.

«Smettila di fare il poeta» rispondo a voce bassa, cercando di distogliere la mente da tutto quello che sta accadendo. Ma lui, riprende, più deciso:

«Ti sto solo dicendo che la torta sarà perfetta. E forse, anche il resto.»

Sono troppo distratta dalle sue parole per accorgermi che sta versando l'impasto troppo velocemente. Quando comunque provo a fermarlo, distrattamente la sua mano sembra volare accanto ai pacchi e in un attimo il piano di lavoro viene ricoperto da farina e zucchero. «Mattia.» faccio un passo indietro per osservare il pasticcio che ha appena combinato. «Cosa hai fatto? Guarda quanta farina sprecata.»

«Sprecata?» ne prende un po' in mano «A me non sembra sprecata. La potremmo comunque usare.»

«È troppa per la torta»

«Chi ha parlato di torta?»
E subito la farina comincia a volare per tutta la cucina. Lui colpisce me, io lui. E non immaginavo, ma la situazione mi diverte più di quanto potessi immaginare.
Ogni nostro movimento sembra più naturale, come se non avessimo mai avuto una barriera tra di noi. A un certo punto, senza neanche accorgermene, mi trovo a guardarlo più intensamente del solito, mentre lui sposta una ciocca di capelli dalla sua fronte, con un gesto che sembra quasi... intimo. È tutto bianco. E odio la mia mente per i pensieri che sta iniziando a creare.

Mi avvicino di un passo. La sua mano si sposta verso la mia, ma quando sentiamo il suono di un'auto che si ferma fuori, entrambi ci fermiamo. Un battito accelerato, ma nulla da dire. Non possiamo andare oltre.

«Scusa» dice lui, riprendendo il suo solito tono. «Meglio, meglio continuare. Sta per rientrare mia madre»

«Io allora... pulisco. Si...»

Dopo poco la porta si apre e un colpo di vento ci fa saltare indietro. Io e Mattia ci guardiamo un attimo, poi la situazione è certa, non siamo più soli: «Mamma mij! Che caver'!» esclama la madre. «Nun se po sta.» fa qualche altro passo, e: «Ma... Mattia cos'è successo qui dentro? C'è farina fin dentro al soggiorno.» sgrida. In un batter d'occhio è già davanti a noi. La sua figura imponente è tipica di una qualsiasi madre napoletana. Il suo sguardo un po' arricciato, cambia di colpo quando mi nota, minuta e silenziosa come un coniglietto.
«Martina... anche tu qui?»

«Si, l'ho invitata io.» si avvina a lei «Ma in compenso, senti che odorino!» sniffa l'aria.

«Lo sento, ma questa casa è un porcile. E anche voi.» commenta, cercando di levare un po' di farina dal volto di suo figlio. «Andate a lavarvi.» poi guarda me «Anche tu Martina. Io mi occupo del casino che c'è qui.» dice guardandosi attorno, con le mani in vita. «E non fare la timida. Qui sei di famiglia.»

IG: Napoesja

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