Quanto si è disposti a lottare per amore?
Lasciare la presa o insistere ancora di più?
Questa è la storia di Martina, in continua lotta con sé stessa, in bilico tra cos'è giusto e cos'è sbagliato. Per ritrovare la sua spensieratezza ha deciso di la...
Mi sveglio con il suono del cellulare che squilla. È la mamma. Il display mi fa un po' paura, perché so che, se non rispondo subito, mi lascia un messaggio. E lei non è tipo da lasciare solo "ciao, come stai". La mamma è diretta, fa terra bruciata, sempre.
"Martina!" La sua voce arriva come una fitta nel cuore, una preoccupazione che si fa strada tra le pieghe del sonno. "Avevi promesso che mi avresti chiamata ogni sera." Chiudo gli occhi, pensando di essermene dimenticata. Ieri ero troppo scossa per fare qualsiasi cosa. Quel bacio, quelle parole... ho ancora tutto sottosopra.Non ho avuto neanche il tempo di metabolizzare la situazione. Cos'era quel bacio? Mi bacerà ancora? Avrà avuto senso per lui? Era solo parte della sfida? Perché insistere tanto? "Mi stai ascoltando?" sbraita, riportandomi con i piedi per terra. "Cosa vuoi fare della tua vita? Per quanto altro ancora vuoi restare lì? Ti devi svegliare, non puoi fare la bella vita per sempre. Devi prendere le tue responsabilità. Non sei più una bambina, Martina. Io non so più che fare con te. Non so più come dirti che devi prenderti una strada, non so... fai tu. Come pensi di ritrovarti altrimenti?" Faccio fatica a tenere gli occhi aperti, ma cerco di concentrarmi sulle sue parole. Non posso evitare di pensare che, nonostante la sua rabbia, ci sia qualcosa di diverso oggi. C'è più preoccupazione, più ansia nella sua voce. Forse la sua vita è più fragile di quanto cerchi di far credere.
"Sì, mamma, lo so" rispondo, quasi meccanicamente, anche se non so ancora bene cosa voglio fare. La mia voce è un po' roca, il respiro lento e non ho alcuna intenzione di portare avanti questa conversazione. "Vado in cucina, ti richiamo dopo." Non voglio dirle altro, non ora. Non voglio rispondere a domande a cui non ho una risposta. La sento sospirare, ma non aggiunge altro. È stanca, troppo stanca di questa situazione che sembra non cambiare mai. La sua voce si spegne nel silenzio del cellulare, che metto giù senza aggiungere altro.
Mi alzo lentamente. Ho il pigiama, il mio preferito, è di seta, tutto rosa, con dei disegnini di gatti che fanno yoga. E le pantofole... sì, quelle con la faccia di un panda. Se c'è qualcosa che posso ancora fare per non pensare alla mia vita in fumo, è mettermi quelle scarpe e ridere di me stessa. È un piccolo gesto che mi fa sentire meno persa, che mi riporta a quando sapevo chi fossi. Mi fanno bene.
Vado in cucina. La luce entra dalla finestra, pallida, indecisa. Ho bisogno di caffè. La tazzina è già lì, mi aspetta. La mente continua a viaggiare, ma è come se il mio corpo fosse lontano. O forse è l'inverso: il corpo è lì, ma la mente è altrove. Non ne ho idea.
Quando sento il suono del citofono, mi alzo di scatto. Arrossisco al solo pensiero. Non mi aspettavo visite. Ma probabilmente si tratta delle mie conquiline. Non le ho ancora viste gironzolare per casa. Apro la porta senza pensarci troppo. È Mattia. Ha la mia borsetta fra le mani. Non posso fare a meno di fermarmi un attimo a guardarlo. È strano vederlo qui, a quest'ora. Anche oggi è perfetto. Il suo volto è serio, ma dietro quell'espressione c'è qualcosa che non riesco a decifrare. Ha gli occhi scuri, tendenti al verde, che si fanno più intensi quando mi guarda, come se cercasse di capire a cosa sto pensando. I capelli sono un po' più lunghi di qualche giorno fa, disordinati come sempre e indossa una giacca nera che sembra fatta apposta per lui, casual ma che, in realtà, è abbastanza elegante. La t-shirt sotto è scura, e i jeans aderenti mostrano che è in forma, ma non è il tipo da ostentarlo. Il suo profumo, che mi arriva immediatamente, è una miscela di legno e agrumi, qualcosa di pulito ma anche un po' selvaggio. Non so perché, ma mi fa pensare a una mattina di primavera, a un respiro di aria fresca che ti entra nei polmoni.
«Ti ho riportato la borsa» dice, in tono neutro, ma con quel sorriso che sembra un po' forzato. Lo noto, lo capisco. Non siamo più i soliti. C'è una distanza che non riesco a colmare. Rimango ferma, senza sapere se fare un passo indietro o un passo avanti. Dovrei chiedergli del bacio? Ma, prima che io possa dire qualcosa, lui lancia uno sguardo ai miei piedi e poi ai miei vestiti. «Carine le pantofoline a forma di panda» sghignazza, obbligandomi a cercare di nasconderle in qualsiasi modo «E il pigiama poi... ma guardati, sembri una delle amichette di mia sorella, che ne so, quella che sta sempre a casa con la scusa del 'non ho niente da fare'.»
Un'onda di imbarazzo mi pervade, ma cerco di non darlo a vedere. Non so come rispondere, quindi mi limito a un'alzata di spalle, cercando di sembrare più calma di quanto non mi senta. «Sono comode» mormoro, cercando di mascherare il fastidio. Ma la verità è che non mi piace che mi faccia sentire ridicola. Eppure, in fondo, so che non lo sta facendo per ferirmi. È solo il suo modo di scherzare.
Si appoggia alla porta, ancora con la borsa in mano, come se non sapesse se entrare o andarsene. Mi guarda ancora, ma stavolta con uno sguardo più morbido, forse per scusarsi. «Comunque, tranquilla, nessun giudizio. Sembri più piccola. E a me piace il look rilassato.» aggiunge, facendo un altro tentativo di alleviare la tensione. «Ma se vuoi, ti faccio vedere come si fa, a Napoli». Resto spiazzata dalla sua proposta e se ne rende conto «Penso che possa aiutarti»
«Come?» chiedo, confusa. «Cos'è che mi dovrebbe aiutare?»
«Non lo so,» risponde, mentre si gratta la nuca, «ma a volte, il caos ti fa vedere meglio quello che hai dentro.» Rimango senza parole. Una parte di me si sente sollevata, ma anche incredibilmente curiosa. Non mi ero mai fermata a riflettere su come il disordine potesse aiutare a mettere ordine dentro di me. È davvero possibile? Non so se questo potrà aiutarmi. «Napoli è... Napoli è un posto che ti prende, ma non ti lascia mai sola» continua, come se stesse parlando a se stesso più che a me. «Te lo dico, Martina, se ti siedi su una panchina a Via Toledo, la città ti parla, ti racconta quello che tu non sai di te stessa. È come una medicina, almeno per me è stato così...» E poi, come se cercasse di sdrammatizzare, aggiunge un proverbio napoletano che mi fa sorridere: «A chi nun tene pacienza, 'o mumento nun po' passà»
«Non ho capito niente, ma tu sei sicuro che questo funzionerà?»
«Non so se funzionerà,» ammette, accarezzandosi la barba super curata, «ma non possiamo stare fermi a guardare il muro. Dobbiamo fare qualcosa. Serve anche a me» Vedo le sue mani che gesticolano, mentre i suoi occhi brillano di un'incredibile energia. C'è qualcosa in lui, qualcosa che mi sembra lontano dalla mia tristezza, eppure non riesco a smettere di guardarlo. C'è una sfumatura di speranza che mi fa pensare che forse... forse è una strada che vale la pena provare.
«Va bene» dico, con una risata nervosa. «Napoli. Napoli sia. Perché no?»
«Si,» mi lascia la borsa fra le mani «però prima cambiati. Sembro tuo padre» ridendo lo colpisco con la borsa. Poi, mentre lui si allontana, mi trovo a pensare che forse, in fondo, è proprio questo che mi serviva. Un po' di caos. Un po' di vita. E magari anche qualcuno che mi aiutasse a trovarla.
IG: Napoesja
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