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Il vento era delicato e fresco, una brezza leggera che attraversava le foglie degli alberi e s'insinuava tra i vicoli della città addormentata.

Bonnie Jackson si godeva la notte silenziosa sul terrazzo di casa, le braccia protette dalla felpa che aveva indossato un paio d'ore prima; la quinta sigaretta che fumava, accesa a distanza di poco da quella precedente, le penzolava tra le labbra. La cenere una pigra montagna che si sgretolava con estrema facilità al minimo soffio di vento.

La coda di un cane lupo scodinzolò alla vista della ragazza seduta sul pavimento, di quella specie di terrazzo, talmente a lungo da non sentirlo più freddo.

Il lupetto si avvicinò a Bonnie con il muso basso, quasi le stesse chiedendo di accarezzarlo, mentre con il grande corpo nero screziato di grigio si accoccolava accanto alla coscia della ragazza. Lei lo accarezzò, incapace di resistergli.

«Lo so, Isamu, fa freddo», disse, prendendo poi un tiro dalla sigaretta.

Per tutta risposta, il cane posò il muso sulla sua coscia, muovendolo come a darle conforto.

Bonnie non l'avrebbe mai ammesso a nessuno, ma era sempre più convinta che Isamu sapesse quel che pensava realmente, quel che sentiva. E ogni giorno sentiva che averlo salvato dalla strada fosse l'azione migliore che avesse mai compiuto.

Rivolse uno sguardo al cielo, sperando ci fosse un qualche corto circuito nella zona, in modo che linquinamento da neon cessasse almeno per un po.

Niente.

Sospirò, nel cuore la sensazione di aver visto le stelle per quella notte.

Di lì ad una settimana, Bonnie avrebbe dovuto affrontare i test di recupero. Detestava essere rimandata in qualche materia, ma – ahimè – sapeva di meritarlo, perciò non ne faceva un dramma. E poi, era molto meglio dellessere bocciata, no?

L'anno scolastico appena trascorso le aveva abbassato ancora di più, se possibile, il già inesistente senso di sicurezza e autostima, accentuando il desiderio di allontanarsi il più in fretta possibile da quella scuola e da quella città. Una volta, al ritorno da un viaggio con la sua famiglia, aveva capito che non le era affatto mancata la città in sé, bensì le sue abitudini lì. Si era consolata dicendosi che prima o poi avrebbe trovato un posto che sentiva suo, che avrebbe sentito accogliente. Per il momento, doveva solo sopravvivere al quotidiano.

Una moto sfrecciò lungo la strada, infondendo in Bonnie il gusto di assaporare qualcosa di proibito, che avrebbe sicuramente mandato in bestia i suoi genitori, ma le avrebbe permesso di sentirsi libera e meno oppressa. Fumare non era il suo modo per gridare la mondo che era una ribelle, no di certo. Aveva cominciato a fumare per cercare di rendersi conto di cosa volesse, poi, dopo la prima sigaretta – una Winston fumata in una piazza piccolissima ai margini della periferia della città – aveva avuto piena consapevolezza della propria mortalità. Questo l'aveva spinta a pensare che non avrebbe dovuto perdere tempo a chiedersi perché non avrebbe dovuto fumare o salire su una decapottabile e alzarsi in bilico sul sedile del passeggero assaporando l'aria tra i capelli e sul viso.

Avrebbe potuto morire in ogni momento e quindi perché avrebbe dovuto negarsi quei desideri che avrebbe benissimo potuto soddisfare senza far del male a nessuno? Aveva forse la possibilità di avere un'altra vita nella quale provare a fare quelle piccole cose che aveva deciso di privarsi in questa?

No, ovviamente.

Dopo quella prima sigaretta, la sensazione era via via scemata, man mano che fumava più sigarette, fumate soprattutto per cercare di non perdere quella prima sconvolgente illuminazione.

Bonnie controllò il display del cellulare, in riproduzione I See Fire di Ed Sheeran. Aveva un messaggio non letto, ricevuto appena quindici minuti prima, da Jenna.

Se non mi tocchi tu, io non so toccare te [In Revisione]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora