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Una settimana dopo..

Ana camminava rapida lungo il marciapiede, stringendosi nel giubbotto e osservando le nuvolette che le uscivano dalla bocca. Il freddo di novembre le era entrato nelle ossa da giorni e non vedeva l'ora di raggiungere la sua destinazione, per lo meno, per scaldarsi un po'. Mancava una settimana esatta alla fine di novembre... ed era una settimana esatta che non vedeva Bonnie. Dopo quel giorno in ospedale, sua madre non le aveva più permesso di vederla, anche se non sapeva perché. Il giorno successivo non era andata a scuola, fiondandosi in ospedale, ma quando era giunta nella stanza di Bonnie, sua madre le aveva detto che non ce la voleva vedere lì, che doveva andarsene. Gliel'aveva detto con gli occhi bassi, ma il tono rigido e serio. E lei non aveva obiettato, si era girata ed era andata via. Aveva provato a tornare nel pomeriggio, ma questa volta non era nemmeno arrivata all'imbocco del corridoio che un'infermiera l'aveva mandata via, con una delle espressioni più desolate che Ana si fosse mai vista rivolgere.

La sera aveva chiamato Jenna, l'amica di Bonnie, per sapere come stava e lei le aveva risposto che era andato tutto bene. Bonnie si era svegliata proprio quel pomeriggio e i dottori dicevano che non ci sarebbe più stato da preoccuparsi. Jenna le aveva anche detto che era dispiaciuta per come Beatrice – la madre di Bonnie – l'aveva trattata, non sapeva davvero cosa fosse successo.

"Me l'ha detto la signora che sta in stanza con Bonnie. Mi ha detto come Beatrice ti ha trattata e ne sono rimasta sorpresa... Mi dispiace, Ana" - le aveva detto al telefono.

"Anche a me..." - aveva risposto la ragazza.

Dopo quella sera, tra Link e Jenna, Ana aveva sempre il cellulare incollato all'orecchio. Li chiamava continuamente per sapere come stava Bonnie, quando l'avrebbero dimessa e se sapevano qualcosa sullo strano comportamento della madre. Forse aveva capito cosa provava per Bonnie e non voleva che si avvicinasse alla figlia, forse voleva...voleva tenerle lontane. Ma questo Ana non gliel'avrebbe permesso, a meno che Bonnie fosse d'accordo con sua madre. E se Bonnie avesse deciso di non vederla più? Lei cos'avrebbe fatto? Comunque, un po'si era ricreduta, quando B le aveva mandato un messaggio. Le aveva chiesto se potevano vedersi, dato che il giorno dopo sarebbe uscita dall'ospedale. Ana voleva precipitarsi da lei, ma aveva deciso che avrebbe rispettato il luogo e l'ora dell'appuntamento. Non voleva apparire oppressiva o altro.

Guardò la porta rossa davanti a sé, chiedendosi se le avrebbe aperto Beatrice e sperando che così non fosse. Diede qualche colpo alla porta e attese.

"Sì?"- chiese scocciata una ragazzina sui quindici anni, quando aprì.

Doveva essere la sorella di B. Era magra come un chiodo, così che i profondi occhi neri apparivano più grandi, le labbra erano una linea sottilissima sul viso a cuore. Aveva gli stessi capelli di Bonnie, ma anziché avere le stesse sfumature rossicce della sorella, i suoi erano di un dolce castano chiaro. Indossava un maglioncino bianco a collo altro che le lasciava la pancia scoperta e una mini gonna di jeans che le copriva metà coscia. Solo a guardarla, sembrava l'esatto opposto di Bonnie.

"Sono venuta a trovare Bonnie" - disse decisa Ana, non sapendo che reazione avrebbe ricevuto dalla sorella.

"Sei Ana?" - chiese, appoggiandosi alla porta.

"Sì".

"Okay, entra" - disse un secondo dopo.

Evidentemente, Ana la stava guardando con un'espressione più sorpresa di quanto volesse, perciò la ragazzina disse: "Non mi interessa con chi si vede mia sorella, purché non la faccia finire... così. E tu non mi sembri il tipo, perciò".

"Grazie"- sussurrò Ana, ancora troppo sorpresa per riuscire a celarlo.

"È l'ultima stanza in fondo al corridoio, a sinistra. In bocca al lupo"- aggiunse poi, guardandola intensamente.

Ana annuì leggermente e quando la sorella l'ebbe fatta entrare, salì le scale senza nessuna esitazione. Il cuore e le sue gambe tremavano talmente tanto da farle girare la testa, ma era decisa a non lasciarsi andare alle emozioni. Doveva parlare con Bonnie e sapere cosa voleva fare e come avrebbero dovuto comportarsi. Non voleva perderla, ma sapere che era viva, forse le avrebbe dato la forza per lasciarla andare. Per non piegarsi al volere del suo cuore e darle la possibilità di essere felice come meglio credeva, anche se sapeva che non gliel'avrebbe davvero perdonata.

La casa dei Jackson era di un interessante beige, la parete accanto alle scale era piena di foto di Bonnie e sua sorella da bambine, in alcune erano con i loro nonni, altre invece ritraevano tutta la famiglia in vacanza al mare o in campagna. Bonnie sorrideva in tutte. Le scale di legno scricchiolavano un po' sotto il peso di Ana, facendole venire in mente i rumori che si sentivano nelle vecchie case dei film horror. Probabilmente, lei era il mostro e Bonnie la sua vittima... forse Beatrice vedeva così tutta la situazione. Giunta davanti alla camera di Bonnie, non sapeva cosa fare. La porta era aperta e la ragazza sul letto era la visione più bella che Ana potesse avere. Le coperte le coprivano le gambe, leggermente piegate per sostenere il libro che Bonnie era intenta a leggere, qualche ciocca di capelli le ricadeva davanti al viso, ma la ragazza non se ne curava. Stava facendo una delle espressioni più strane e buffe mai viste, era... era tutta sua, già. Ana le si avvicinò, senza sapere come annunciarsi. La larga maglia che indossava, faceva apparire Bonnie ancora più piccola ed esile, un essere indifeso da proteggere. E lei aveva fallito in questo...

"Bonnie"- disse, sedendosi sulla sponda del letto.

"Ana!"- quasi esclamò la ragazza, sorpresa.

Era felice di vederla?

"Come stai?" - chiese, invece, con fare premuroso.

Bonnie non rispose subito. "Mi dispiace, per mia madre".

Teneva lo sguardo basso, come se si vergognasse.

"Fa niente". Già, ci era abituata dopo tutto.

Bonnie la guardò e Ana notò le profonde occhiaie e la stanchezza che segnava il suo viso, eppure vederla parlare e muoversi era rincuorante. Avrebbe voluto toccarla, per permettere a quella parte di sé che ancora non ci credeva, che Bonnie era lì davanti a lei e le stava parlando. Era reale, non era un sogno o un altro frutto della sua immaginazione. Ma non si mosse e per evitare ogni tipo di azione avventata, strinse le mani in grembo.

"Pensavo... pensavo che non saresti venuta" - mormorò la ragazza, seguitando a guardarla.

Pensavi o... speravi?

"Perché non avrei dovuto?" - chiese Ana, distogliendo lo sguardo per fare un rapido giro della stanza e riportarlo in quello di B.

Era una camera semplice, dalle pareti a bande bianche e nere, una piccola scrivania accanto alla porta sulla quale sostavano un PC, alcuni quaderni e una lampada arancione con dei grandi fiori dai colori vivaci. C'era un armadio a muro accanto alla porta, sulla sinistra, ed una libreria piena fino a metà di libri e da quelli che all'apparenza dovevano essere diari. Sulle pareti, qua e là, erano appesi fogli con testi di alcune canzoni di Ed Sheeran, All Time Lowe... oh, i Nirvana. Inoltre, c'era un poster dei 5 Seconds Of Summer – era scritto sul poster, Ana non li conosceva – e proprio sopra la testata del letto c'era il testo di November Rain dei Guns N' Roses. Quella stanza mostrava molto di Bonnie e forse la ragazza non se ne accorgeva nemmeno, forse non sapeva che un adolescente considera la propria stanza un rifugio proprio perché racconta così tanto?

"Non ho detto che non avresti dovuto" - rispose irritata B, riportando Ana alla loro conversazione. "Pensavo non saresti venuta a causa di mia madre".

"Non sarà tua madre a fermarmi" - disse impulsivamente Ana, senza poter fermare quelle parole. Le premevano dentro e avevano spinto fino a quel momento per essere pronunciate.

Bonnie arrossì, ma non distolse lo sguardo.





Se non mi tocchi tu, io non so toccare te [In Revisione]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora