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"Ottimo lavoro anche oggi, An" - le disse Eva, quando entrò nello spogliatoio.

"Anche tu" - rispose la ragazza.

A fine turno non aveva ancora voglia di fare conversazione e per quanto Eva fosse una brava ragazza e, a volte, una buona amica, non le andava di raccontarle la situazione con Bonnie. Anche perché non sapeva più definirla nemmeno lei. Si cambiò in fretta, scambiando poche frasi con Eva e uscendo dal locale dall'uscita posteriore. Dal Jenny's al South Side ci voleva un'ora a piedi, poco meno con l'auto se non trovava traffico, ma come ogni sera fece quel tratto di strada con le proprie gambe. Josh si offriva spesso di andarla a prendere, ma lei rifiutava. Voleva godersi quell'unica ora di libertà, l'unica dove poteva lasciare andare ogni emozione o sensazione, l'unica dove non doveva impacchettare la sua anima e sigillarla. La neve lungo il marciapiede e sugli edifici faceva apparire ogni cosa incantevole, donava nuova bellezza. Quando arrivò a casa, erano le undici e mezza e l'unica nota fuori posto – se così la si vuol definire – era la figura minuscola di una ragazza, seduta sui gradini di legno logori. Aspettava qualcuno, ignorando il freddo, il vento gelido che le spostava ogni tanto qualche ciocca di capelli. Aspettava e tutto il resto le era insignificante. Non appena notò Ana ferma davanti al vialetto, si alzò e le si fece vicina. Ed Ana la guardò come si guardano le cose meravigliose, come se al mondo non ci fosse niente di più bello. Ma il suo cuore soffriva al ricordo delle parole pronunciate da tutta quella bellezza, come se volesse ricordarle che niente è mai così bello da eclissare il dolore.

"Ciao"- sussurrò inaspettatamente Ana. Inaspettatamente persino per se stessa.

"Ciao"- le fece eco Bonnie.

Anche se l'illuminazione dei lampioni era uno schifo e lei era avvolta nel piumino, Bonnie era sempre troppo bella. Le guance e la punta del naso arrossate per il freddo, la pelle pallida, le rosse labbra schiuse che facevano uscire piccole nuvolette bianche. I capelli le scendevano lungo onde tutt'attorno, come se volessero proteggerla dal gelo. Ma gli occhi, oh, gli occhi erano un oceano grigiastro di dolore e felicità, nel quale Ana non faceva che perdersi e cullarsi ogni volta che li guardava.

"Va bene, parliamo" - disse, prima che Bonnie potesse pronunciare qualsiasi frase.

La ragazza rimase evidentemente sorpresa, ma accettò subito, seguendo Ana verso i gradini in legno di casa sua.

"So già cosa vuoi dirmi, tranquilla. Accetto le tue scuse, va bene così"- disse Ana, guardando dritto davanti a sé e poi le sue mani.

"No, Ana, non sono venuta solo per questo..." - cominciò B.

"No, adesso parlo io! Sono stanca, Bonnie, stanca! Non dovremmo mai mettere la nostra vita nelle mani di un'altra persona, adesso l'ho capito. Gli altri ci lasciano, ci feriscono e a volte nemmeno se ne accorgono, e siamo così sciocchi da continuare a mettere nelle loro mani noi stessi. Investiamo così tante emozioni in un'unica persona che, quando questa ci lascia, ci sentiamo persi, smarriti. Siamo come dei cuccioli abbandonati, vogliamo tornare a casa, ma non sappiamo come fare. Non siamo abbastanza forti per trovare una strada, per andare avanti e non vogliamo ammetterlo a noi stessi, perché non vogliamo renderci conto d'esser deboli. Ma la debolezza non è un peccato. Tutti sonno deboli, in un modo o nell'altro; c'è chi si ritiene debole perché l'unica parte vulnerabile della sua vita è la persona che ama; c'è anche chi ha fisicamente dei limiti e si reputa debole. Ma la debolezza ha tante di quelle sfaccettature che è difficile elencarle tutte. Adesso, io sono debole perché ti sto aspettando e tutto quello che posso o riesco a fare è continuare ad aspettarti. Perché non so fare nient'altro e perché non c'è nient'altro che io voglia fare davvero. Ho voluto e voglio ancora battermi per noi, ma indipendentemente da tutto, io ti aspetto. E credo che sia questa la mia più grande debolezza, perché ti aspetto anche quando so che non arriverai..." - la interruppe Ana, con un tono dapprima arrabbiato e poi sempre più sofferente.

"Fammi finire, per favore!" - esclamò subito l'altra ragazza, guadagnandosi uno sguardo sorpreso.

Ana annuì soltanto, seguitando a guardarla.

Bonnie riprese a parlare con meno decisione, ma mostrando sicurezza e convinzione in ciò che diceva. "Sì, hai ragione, voglio scusarmi. Mi dispiace per quel giorno a casa mia, so che avrei dovuto difenderti da mia madre, ma non ne avevo il coraggio. Allora... io non ne avevo il coraggio. Sono stata una stupida e mi dispiace. Non te lo meritavi. Ma sono qui per dirti che quel giorno mi sono espressa male. Volevo dirti che è stato uno sbaglio che abbiamo fatto l'amore quella notte, senza nemmeno conoscerci davvero, senza che ti avessi detto quanto bella tu sia o quanto mi piaccia il modo in cui sorridi. Avrei voluto che avessimo cominciato diversamente, ma comunque non cambierei un solo secondo del tempo passato insieme e delle situazioni che abbiamo affrontato. Perché ti amo come la terra e le piante amano il sole, come la pseudo rugiada che al mattino gocciola dai fiori. Ti amo e adesso ho il coraggio di dirtelo e di urlarlo al mondo".

Ana non sapeva bene cosa dire. La sua Bonnie era cambiata, non sapeva come era possibile, ma era così. Il cambiamento, però, aveva portato nuova determinazione in lei, portandola ad una consapevolezza che Ana non avrebbe saputo raggiungere. Loro amavano in modo diverso, con passione e coinvolgimento differenti e se questo prima non la interessava, adesso la preoccupava molto, perché non si sentiva all'altezza.

Quando Ana trovò la voce per parlare, ciò che disse la sorprese per la sua vulnerabilità. "Il fatto è che non riesci a vedere la bellezza insita nelle cose, persino il dolore ha il suo fascino. Ma come disse un famoso drammaturgo inglese <<Ride delle ferite altrui chi non ne porta i segni>>. Prima ci facevamo grandi. Ostentavamo frasi d'amore così, facilmente, perché le sentivamo e desideravamo pronunciarle. Adesso vogliamo pronunciare frasi carezzevoli, simili al tocco di cento piume. Sono frasi che ci logorano ad un livello diverso, ci mangiano le parole giuste e commettono errori grammaticali. Ed ecco... tu sei una di quelle persone che in queste frasi ci inciampano bellamente, non notandole nemmeno. È come se passandoci accanto, le sfiorassi e ne venissi subito travolta. Perché sei fatta così. Tu sei follemente innamorata delle parole, di quelle che però ti prendono l'anima e la scombussolano. Tu ami ad un livello diverso...". Si interruppe, preferendo tenere per sé il resto della frase. E io non so come raggiungerlo.

"Ana, io ti amo e senza di te niente ha colore. Perché dici che amiamo ad un livello diverso? Mi ami meno di prima... o pensi che io non ti ami abbastanza?" - chiese sconvolta Bonnie. La sua confusione era tangibile.

Ana si voltò completamente verso di lei, afferrandole le mani gelate nelle proprie. No, proprio non poteva vivere senza di lei, non importava quanto si sentisse fragile e quanto lo fosse in realtà. Non ce la faceva più a vivere ogni giorno senza guardare quel viso, quegli occhi. Non poteva permettere che passasse un altro giorno senza baciare quelle labbra. E senza alcun preavviso, senza una carezza sulla guancia, senza scostarle i capelli, senza dirle una sola parola posò le labbra su quelle di Bonnie, meravigliandosi, al contatto, di quanto le fossero mancate. Di quanto le fosse mancata lei.

Non voleva più perderla, non voleva più essere persa. Voleva che la tenesse con sé, tra le sue braccia, stretta stretta al suo cuore, perché non c'era posto migliore. Proprio non c'era.



Se non mi tocchi tu, io non so toccare te [In Revisione]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora