Le ragioni di Emily.

4.1K 219 43
                                    

Gilbert era stato così gentile da raccogliermi e riportarmi a casa. Si, raccogliermi, perchè ero stata trattata come una pezza da piedi, strizzata ben bene e poi lasciata a terra, abbandonata a se stessa. I suoi occhi pieni di compassione mi avevano fissato per tutto il tragitto, mi sembravano ripetere la solita frase che ferisce ulteriormente, che accusa in silenzio e che butta benzina sul fuoco già acceso, "te l'avevo detto".
Anche la mia mente me lo aveva detto, aveva lanciato un'infinità di campanelli d'allarme che però il mio cuore aveva volutamente deciso di ignorare.
Chiusi la porta di casa alle mie spalle e mi ci appoggiai con la schiena contro, scivolando per terra, lasciando che il pavimento inghiottisse me e la mia delusione. L'ennesima, scottante, delusione, puntuale come me l'aspettavo, perchè in fondo ero stata io stessa la prima a non fidarsi di Dan. Eppure ci ero cascata, ero caduta nella tana del lupo, perchè i suoi occhi mi avevano avvolto in una coperta calda che non mi riscaldava da tempo, di cui avevo un dannatissimo bisogno, anche se non avevo fatto altro che negarlo a me stessa. Mi ero ingannata, avevo finto che mi fosse completamente indifferente, mentre nel mio cuore cresceva un sentimento così grande che adesso era capace di lacerare ogni parte del mio corpo. E non avevo la forza di rialzarmi, perchè il fosso questa volta era troppo profondo, così tanto che non mi sembrava vedere vie d'uscita. Mi massaggiavo con le mani la testa che si reggeva a stento sul collo, come se volessi aggrapparmi al sollievo che quel gesto mi avrebbe potuto dare. Stavo facendo per la prima volta veramente i conti con quello che avevo provato e provavo per Dan, e non prometteva assolutamente niente di buono. Più riflettevo e piú la mia testa smetteva di collaborare. Avevo un frastuono di pensieri che invadeva la mente, come se avessi dovuto decidere io a quale di essi dare ascolto. E nel frattempo, sentivo il cuore contorcersi ogni volta che tentavo di analizzare quello che provavo per lui.
Presi un respiro profondo, dovevo essere sincera con me stessa, almeno questo me lo dovevo.
Quand'era che avevo permesso a Dan di infiltrarsi tra le vecchie cicatrici del mio cuore? Io stessa non riuscivo a spiegarmelo. Forse i suoi occhi magnifici e profondi, espressivi e sensuali avevano certamente contribuito, eppure il nostro rapporto era stato fatto più di bassi che di alti. Allora perchè tutto quel malessere? Qual era il senso di questa delusione enorme che s'impossessava della mia mente e del mio cuore, lasciandomi senza fiato?
Ero disperata, nemmeno io sapevo quale fosse il modo migliore di affrontare il vuoto che quella sera Dan si era lasciato dietro.
Mi alzai dal pavimento per raggiungere la cucina, avevo bisogno di sciacquarmi il viso e asciugare le lacrime. La pelle della faccia mi era diventata ruvida per la quantità di lacrime che avevo versato. Mi appoggiai ad una delle sedie della penisola e sprofondai con l'intero busto sul tavolo, con la testa appoggiata su un braccio che mi faceva da cuscino. Riuscii a prender sonno così, in quello stato inquieto, tra una lacrima che mi rigava il viso e un singhiozzo che mi faceva sussultare, anche se era quasi già mattina.
Non aveva più senso nascondere nulla, il mio cuore si era innamorato di Daniel Hopkins, senza chiedere il permesso alla mente, senza rendersi conto di giocare col fuoco, di essere sul filo di un rasoio, di andar incontro ad una delusione certa, ad un muro di cemento contro cui si sbatte e si affonda in un fosso.

/DAN's POV/
Ero rinsavito. Ero tornato finalmente in me, mi riconoscevo, ero Daniel Hopkins che conoscono tutti, l'originale, quello di sempre. Perchè fissarmi che m'importasse realmente di una donna? Perchè ostinarsi con chi cerca di cambiarti, con chi ti vuole diverso? Io ero quello, mi piacevano le donne, non una sola. Dovevo smetterla di giocare a fare l'uomo serio, quello con i problemi di cuore, che passa le giornate con un unico pensiero martellante in testa o, ancora peggio, organizzando appuntamenti romantici in riva al mare.
Non ero pronto a stravolgere me stesso per lei, non potevo essere l'uomo che desiderava semplicemente perchè l'uomo che desiderava non ero io. Poteva stare con uno come Gilbert, abbandonarsi alla quotidianità che una vita con lui le avesse potuto offrire e sguazzare nella monotonia e nell'infelicità.
Anzi, ero addirittura arrivato alla conclusione che Genevieve non mi meritasse, che non avesse meritato il mio impegno nell'organizzare l'appuntamento e nemmeno la sensazione di vuoto allo stomaco che avevo provato quando l'avevo baciata. Perchè quel bacio era stato nuovo per me, bramato e desiderato come i dolci durante il mese del fioretto. Ma cercavo di convincermi che se era stato così facile fingermi impassibile davanti a lei e invitarla ad andarsene dalla mia stanza, allora lo sarebbe stato altrettanto eliminarla completamente dalla mia vita. Perchè era questo quello che dovevo fare se volevo smetterla di complicare la mia esistenza. Non volevo provare sentimenti, volevo essere libero da ogni cosa, libero da me stesso e dalla mia mente che mi imponeva di pensare ad una sola persona, l'unica che non mi desiderava come le altre, l'unica che aveva opposto resistenza, l'unica con la quale avevo dovuto addirittura barattare informazioni per poterla invitare ad uscire con me.
Ero assorto tra i miei più intimi pensieri, quando qualcuno bussó alla porta della mia stanza d'ospedale. Doveva essere sicuramente una tra Emily e la zia Nadia. Non mi sbagliavo.

Beautiful disasterDove le storie prendono vita. Scoprilo ora