Chapter 10

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Sabato.
Oggi mi tocca fare due turni al bar e non ho ancora finito di studiare. Il frigo è vuoto.
Devo fare anche la spesa. Andrò questo pomeriggio, quando passerò dal farmacista a prendere le medicine per la nonna.
Provo a stare tranquillo ma non posso far altro che essere preoccupato per lei. Ha cominciato a sentire i dolori quando ero in montagna. Non era la prima volta che capitava qualcosa del genere, già da tanti anni soffre di mal di schiena. Pensava di riuscire a gestire la situazione fino a quando non sarei ritornato, e così non mi ha detto nulla per telefono.
Ogni volta che le chiedo come stia, lei sorride e mi risponde che va tutto bene. Bugia. Lo noto da come preme la mano contro la schiena. Ha ancora male, tanto, ma non vuole che abbia un peso in più da dover sopportare.
È a letto da qualche giorno, e non riesce proprio a muoversi, nemmeno per andare in bagno. 
Così mi tocca prenderla in braccio, tutte le volte che sente il bisogno di andarci. Non mi sforzo molto, è leggera come una piuma, magra com'è.
   Sono le già le sei e mezza, sono sfinito, ieri ho finito di lavorare all'una di mattina, ma mi costringo ad alzarmi. Devo mettere i vestiti sporchi in lavatrice, perché quando sono tornato ero così stanco che, dopo essermi fatto una doccia, sono andato immediatamente a letto.
Lucy si era già andata a coricare.
Sta diventando sempre più indipendente, nonostante la sua infermità. Mi sento in colpa, per non avere abbastanza tempo da dedicare a lei. Lo so, che anche lei deve sforzarsi per riuscire a fare quello che è ancora in grado di fare. Ma, comunque, non si permette di lamentarsi nemmeno per un istante. No, neanche lei vuole essere un problema in più per il suo fratellone. Mi dispiace così tanto, più di qualunque altra cosa, che non possa condurre una vita serena come i suoi coetanei, che sia costretta a rimanere seduta sulla sedia a rotelle, per sempre.
Lei non si merita tutto questo.
  Scuoto la testa, e cerco di scacciare via i brutti pensieri.
Non posso iniziare così la giornata.
Vado in bagno, metto in lavatrice quello che posso, e il resto, i capi più delicati, li lavo a mano.
Lavo, e penso. Lavo, e programmo la giornata. Lavo, e tento di predire ciò che potrebbe andar storto. Lavo, e ripasso tutto lo schema per vedere se mi sono dimenticato qualcosa.
Lavo, strofino e risciacquo. Lavo, strofino e risciacquo.
E la mia mente nel frattempo si è addormentata. I movimenti diventano meccanici.
Lavo, strofino e risciacquo.
Lavo, strofino e risciacquo.
Ho finito. Stendo i panni e scendo in cucina.
Metto già in tavola quello che potrebbe voler mangiare Lucy. Un pacchetto di fette biscottate, una bustina di thè, un vasetto di marmellata, un cucchiaio. A posto.
Non ho tempo per fare colazione perché sono già in ritardo.
Sono le sette e mezza. Esco subito e mi dirigo diretto al bar.
C'è già tanta gente, Ian è dietro al bancone che sta servendo Mrs. Somers, un cliente abituale.
È una vecchina sulla settantina, capelli bianchi, un po' gobba, ma sempre molto elegante.
Sembra scocciata. Mi metto il grembiule nero e vado a vedere cosa succede.
Ian ha fatto il caffè troppo schiumato. Non è buono.
Mrs. Somers pretende che gliene si faccia un altro.
Lo faccio io al posto di Ian. Lui mi guarda con gratitudine. Non sopporta i vecchi, men che meno Mrs. Somers.
Serviamo un cliente dopo l'altro. Caffè, cappuccino, caffè lungo, latte macchiato, cioccolata con panna. Il locale comincia lentamente a svuotarsi e mentre serviamo gli ultimi due clienti, io e Ian chiacchieriamo.
《Come va con Sophie?》chiede, mentre versa un altro pacco di caffè nella macinatrice.
《Non lo so...》rispondo, sinceramente confuso 《Non funziona.》
Penso alle ultime settimane e mi accorgo che il nostro rapporto continua a peggiorare. Non sembriamo nemmeno una coppia a dir la verità, come me lo fa notare sempre Brooklyn.
Brooklyn.
Non l'ho sentita da quando siamo ritornati dalla montagna. Quella notte, era così sconvolta, così angosciata, totalmente diversa da quella solita ragazza sfacciata che è. E io non sapevo cosa dirle, e, allo stesso tempo, le ho detto tutto. Mi sentivo uno stupido. Davvero un idiota. Ma poi ho parlato. Mi sono confidato. Ho condiviso con lei una parte di me che non avevo mai svelato a nessuno. E non so perché.
Mi sentivo così strano. Non mi era mai capitato una cosa del genere prima di allora. Nemmeno con Sophie - con lei non parlo proprio e, certe volte, è così frustrante.
Poi, quando Brooklyn si è messa a piangere. Mi sono sentito un imbecille. Possibile che non fossi in grado di far nulla per farla smettere?
Ma ora che ci ripenso, un'altra domanda mi salta in testa e pretende una risposta.
Perché mai ero così in ansia per lei? Scuoto la testa, scaccio via la domanda. Non voglio rispondere.
《Hai intenzione di lasciarla?》chiede Ian.
《Forse...》mormoro 《ma non adesso che i suoi stanno divorziando.》
Vorrei poterla aiutare, ma lei non si apre a me. Non l'ho vista piangere nemmeno una volta. È sempre così impassibile, priva di emozioni, eppure, lo vedo che soffre. Dovrà pur, a volte, provare qualcosa anche lei, come essere umano.
La mattinata passa in fretta al bar.
Torno a casa per pranzo, preparo qualcosa per Lucy e la nonna, metto qualcosa sotto i denti anch'io, ed esco subito.
Vado dal dottore a prendere la ricetta per le medicine ma mi ritrovo bloccato da una lunga fila di pazienti.
Sono tutti vecchi. Hanno l'aria stanca, di chi non ce la fa più ma continua a lottare giorno per giorno per non cedere.
Alcune signore mi guardano con diffidenza e borbottano tra di loro.
Hanno visto il casco della moto che tengo in mano e il giubbotto di pelle e avranno pensato che io sia un teppista o qualcosa del genere.
Solo dopo un'ora, riesco a tirarmi fuori da quello studio.
La farmacia è proprio nell'edificio di fronte.
Prendo le medicine e pago. Costano molto, questi antidolorifici. Venti sterline per un flacone solo.
Se non calcolo bene le spese del mese, mi ritroverò senza soldi. Passo dal supermercato e metto nel carrello qualche verdura, della pasta, del latte, del prosciutto, qualche bustina di thè verde alla menta, un pacco di biscotti, del pesce e vado alla cassa: quarantacinque sterline.
Ritorno a casa e sistemo la roba in frigo, saluto Lucy, che è nella sua camera a fare i compiti e vado a distendermi per qualche minuto. Il turno di notte inizierà solo alle 20.00, tra un po' di ore.
Incubi su incubi mi tormentano e la mia mente non ha pace. Cerca di combatterli, ma loro ritornano, più spaventosi di prima e si agganciano a me e pare non vogliano più andarsene.
Mi sveglio di colpo.
Sono le 17.45.
Il cellulare sta suonando.
È Sophie.

Brooklyn è scomparsa.

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