Passarono due settimane, quando i miei, grazie alla collaborazione della polizia e di alcuni conoscenti, mi rintracciarono, imbavagliata e nascosta in un vecchio magazzino abbandonato. Era un luogo desertico, dove non passava mai nessuno, se non di tanto in tanto qualche macchina.
Era stato grazie sopratutto all'amica di mamma, un tecnico informatico, se erano riusciti a trovarmi. Infatti, era stato attraverso il messaggio mandato dal mio cellulare che avevano localizzato quel posto sperduto.
Venni portata in ospedale, priva di conoscenza, e solo dopo tre lunghi giorni, mi risvegliai, stesa su un letto d'ospedale.
Accanto a me, c'era mio padre, che, seduto su un divanetto blu, si era addormentato.
Mi guardai attorno, il corpo dolorante. Il braccio sinistro, era legato ad un apparecchio che misurava la mia saturazione e il battito cardiaco.
Con orrore, posai gli occhi sui miei polsi violacei, pieni di lividi, che erano stati legati, per tutto il tempo trascorso nel magazzino, ad uno sgabello di legno.
Avrei voluto chiamare un'infermiera, ma il campanello pareva così lontano, e il mio braccio sembrava non voler proprio muoversi, allungarsi.
Allora chiamai, in preda al panico, mio padre, ma le parole affioravano dalla mia bocca che sembravano un sussurro silenzioso. 《Papà.》
E lui, alzò subito il capo, quasi come se avessi urlato.
Mi guardò e sbatté le palpebre, incerto se stesse ancora sognando o si fosse già svegliato.
《Papà...》ripetei, in un lamento angosciante. E le lacrime mi scendevano dagli occhi, per il dolore, per la malinconia e anche per la rabbia.
Sì, ero furiosa. Perché ci avevano messo tutto quel tempo a cercarmi?
Allora, lui ora ne era certo, mi ero finalmente svegliata.
Andò a chiamare un infermiera, la prima che capitava in quel corridoio, e le chiese di darmi qualcosa, perché avevo male, tanto male, dove di preciso però non si sapeva.
Lei, tuttavia, diceva che non poteva, che doveva aspettare le istruzioni del dottore, e promise che sarebbe subito andata a cercarlo.
Arrivò il dottore, mi visitò, disse che non avevo nulla di grave, e mi prescrisse un antidolorifico.
Quando seppero che avevo finalmente aperto gli occhi, vennero a trovarmi in tanti.
Mamma, Sophie, Kiersten e la sua famiglia, Rupert e suo fratello.
Parlavano, di quanto fossero stati in pensiero, e io ascoltavo, rimanevo in silenzio.
Eppure, continuavo a sentirmi ferita, perché non avevano pagato semplicemente il riscatto e avevano aspettato così tanto? Garett e Byron avevano ragione, per la nostra famiglia cinquecentomila sterline non era nulla.
E ora mi rendo conto che avevano ragione anche su un'altra cosa. Non ero importante per nessuno.
Quando glielo chiesi, papà mi rispose che non sarebbe servito a nulla obbedire a quel che imponevano, poiché, era già successo più volte, consegnato il denaro, sarebbero scomparsi nel nulla.
In ospedale ci restai altre due settimane, sia perché i dolori non volevano andarsene, sia perché dovevano farmi dei controlli e degli esami.
Mamma e papà sembravano essersi dati una tregua, ma la loro situazione non era migliorata. Si parlavano, sì, ma come due estranei.
Del resto, non mi importava più nulla del loro divorzio.
Avevo ormai sedici anni, era inutile che continuassi a comportarmi come una bambina e impedissi loro di fare quello che volevano.
Anche se mi avessero accontentata, e avessero deciso di rimanere insieme, si sarebbe comunque percepito la tensione e la freddezza che si erano creati tra quei due.
Con mia grande sorpresa, mi fece visita anche Sydney.
Venne un pomeriggio, portando in mano due girasoli. Non me l'aspettavo e non me lo sarei mai aspettato.
A differenza degli altri, non parlava a raffica, e sopratutto non di quanto fosse stato preoccupato, per mia fortuna! Ne avevo abbastanza di sentire sempre le stesse cose.
C'era qualcosa, però, nel tono della sua voce, che era cambiato. Non più sfrontato e arrogante, ma gentile.
Era, stranamente, l'unico con cui riuscivo a parlare senza arrabbiarmi troppo.
Gli chiedevo di raccontarmi di un po' di tutto, di Lucy, di sua nonna. E lui mi accontentava.
Poi mi disse che lui e Sophie si erano lasciati.
E io non potevo credergli.
《È successo qualche giorno fa, l'abbiamo deciso insieme... Siamo comunque rimasti buoni amici.》
《Sophie non ha amici maschi, e tu, non avevi detto che non hai amiche femmine?》
Lui sorrise, e scherzò 《C'è sempre una prima volta per tutti.》
《Almeno ora non dovrò più vedervi oscenamente slinguazzare.》
《Ah ah, vedo che come sempre non sei a corto di commenti da fare.》 disse, poi mi lanciò un'occhiata scrutatrice.
《Non fissarmi in quel modo!》《Sembri anche più inquietante del solito.》
《Non ti stavo fissando, mi è solo capitato di guardare dalla tua parte. Che dovrei fare? Mettermi una benda sugli occhi?》
《Sì!》
《Sei impossibile Brooklyn Wright.》e scosse la testa, in un sorriso tra l'esasperato e il divertito.
Continuò a venirmi a trovare, ogni giorno, per un'oretta, durante il periodo in cui rimasi all'ospedale. Mi piacevano quelle chiacchierate, tranquille, e anche un po' scherzose.
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BLIND #wattys2016
Romansa"Siamo così accecati dalla perfezione che, al fine di raggiungerla, ci distruggiamo senza nemmeno accorgercene." 2015 © All Rights Reserved IN FASE DI REVISIONE!