Capitolo 12

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Circa tre settimane dopo, 27 Novembre.

I giorni passati da quando Fede è stato trasferito nella sala di terapia intensiva fino ad oggi sono stati infernali. Ormai sembro un'ameba. La pelle del mio viso è sempre più cadaverica, ho delle occhiaie perenni, tanto che sembro un panda e sono dimagrita ancora di più. Mi guardo allo specchio e non mi riconosco: le costole escono ancor più prepotentemente dalla pelle rispetto a tre settimane fa e le ossa del bacino sono così visibili che sembrano strappare la pelle da un momento all'altro per poter uscire, così come le vertebre, che si riescono a contare una ad una. Ho continuato a prendere le solite pillole per un paio di giorni dopo l'accaduto, ma la fame mi è iniziata a mancare da sola, senza più bisogno di assumerne. Così, una mattina, ho rigirato tra le mani il barattolo, guardandolo, per poi decidere di buttarlo nella pattumiera.

Mentre ripenso a queste cose, sono seduta vicino al letto d'ospedale del mio ragazzo. Indosso la felpona rossa della Hollister, ma ho freddo lo stesso. Mi vesto spesso con maglioni o felpe pesanti, ma credo che tutti i brividi che provo costantemente siano causati anche dalla mia eccessiva magrezza, che voglio nascondere proprio vestendomi con capi larghi ed enormi.

Il mio sguardo resta fisso sul mio ragazzo. Da quando ha fatto l'incidente non c'è stato giorno in cui non sia venuta qui da lui, gli sono sempre stata accanto, tanto che gli infermieri mi lasciano stare anche oltre l'orario limite delle visite. Ho trascurato un po' lo studio per gli esami perché non riuscivo a concentrarmi abbastanza, dato che continuavo a pensare a lui. Ora però mi sono decisa a rimettermi sotto perché la data del primo esame si sta avvicinando sempre di più e voglio passarlo, lo voglio fare per Fede. Saranno due settimane intense, ma ce la posso fare. "Te lo prometto, i miei esami andranno bene, li passerò per te. Te lo giuro." dico, con un filo di voce.

Le persone che passano e mi sentono parlare da sola mi crederanno anche pazza, ma ogni volta che vengo a trovare Fede gli racconto un sacco di cose, gli parlo delle mie giornate, delle cavolate più assurde, quasi fossi convinta che lui può sentirmi. Anzi, ne sono fermamente certa. Guardo di nuovo fuori dalla finestra: non smette di piovere. Sono giorni che diluvia incessantemente. "Piove davvero tantissimo.- dico, senza distogliere lo sguardo da ciò che vedo fuori dalla finestra -Fede.. ti ricordi quella volta che siamo andati a fare la spesa appena arrivati a Waterboat City e diluviava? C'era un sacco di vento.. e mi scappò l'ombrello dalle mani da quanto forti erano le raffiche. Una bufera assurda. Ricordo che per recuperarmelo stavi per finire dentro il canale." Mi scappa un risolino. "Eravamo bagnati fradici. Il giorno dopo avevamo un raffreddore pazzesco e abbiamo consumato due pacchi pieni di Kleenex nel giro di cinque ore." Lancio un'occhiata verso il letto. Il mio sguardo dolce percorre ogni singola parte del corpo di Fede. "Non finirò mai di ripeterti quanto sei bello. Sono stata così fortunata ad incontrarti. Non voglio perderti." sussurro.

"Emma, mi dispiace interromperti, ma ora dobbiamo sistemare Federico e fare i vari controlli. Ti va di tornare tra un po'?" mi chiede Giovanna, la capo infermiera che si occupa dei pazienti ricoverati in questo piano. Ormai mi conosce bene, mi vede ogni giorno. Mi guarda dalla porta, dietro le pesanti lenti dei suoi occhiali. Annuisco ed esco dalla stanza. "Ci vediamo dopo." mi sussurra, dandomi una pacca sulla spalla. 

La saluto cordialmente e mi dirigo al bar dell'ospedale, credo che mi prenderò un tè caldo. Una volta mi sarei presa anche una buona cioccolata, ma, da quando ho iniziato ad ingerire le pillole, oltre che ad avere meno appetito, ho sempre cercato di evitare cibi o bevande troppo calorici. Mia mamma è arrivata a pensare che sono davvero malata. Non voglio ammetterlo, ma non posso darle torto. Tuttavia non sono ancora pronta ad accettare la cosa. Non voglio pronunciare quella parola, nemmeno pensarla.

Prendo le cuffie dalla borsa e decido di ascoltare un po' di musica dal telefono. Prendo posto su una sedia nella sala d'attesa del primo piano con il bicchiere di polistirolo traboccante di tè caldo alla pesca, mentre aspetto che Giovanna e gli altri infermieri finiscano di sistemare Fede. Sono due settimane che non ci sono novità, Fede è sempre nelle stesse condizioni; nessun peggioramento, ma nemmeno nessun miglioramento. Nessun fegato trovato per il trapianto. I miei pensieri sono così forti che coprono le note di Sun goes down di Robin Schulz.

Never let me aloneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora