Capitolo 17

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 Sono quasi le sette e quarantacinque, il primo treno per Waterboat City dovrebbe essere qui tra cinque minuti, salvo probabili ritardi. Domani inizierà il mese di Dicembre. Le prossime due settimane saranno molto impegnative, ma non vedo l'ora che passino in fretta. Vado, faccio questi benedetti esami, rifaccio le valige e torno. Detta così sembra una cosa da nulla.

Fa ancora più freddo rispetto ai giorni passati, infatti il mio smartphone mi dice che ci sono tre gradi all'aperto. Proprio per questo è stato un trauma alzarsi questa mattina, dato che sotto le coperte si stava da dio, al calduccio. I miei genitori si sono alzati presto apposta per salutarmi, pure Chiara che è tornata molto tardi questa notte, dopo una festa in un locale fuori città. Dopo avermi fatto le solite raccomandazioni, mia madre mi ha abbracciato forte e mi ha detto di chiamarla non appena sarei arrivata a destinazione. Mio padre, che mi ha accompagnata qui in stazione, mi ha raccomandato di controllare che sia tutto apposto nell'appartamento e mi ha dato 250 euro che dovranno bastarmi per fare la spesa e prendere qualsiasi cosa mi possa servire in questo breve periodo che sarò nuovamente via da casa.

Sento la voce registrata che avverte i passeggeri che il treno per Waterboat City arriverà con qualche minuto di ritardo. Sbuffo e creo una piccola nuvoletta di vapore. Metto le mani nelle tasche dei miei jeans scoloriti. Speriamo che il ritardo non si prolunghi: odio aspettare, soprattutto al freddo.

Fortunatamente il Freccia Bianca arriva con "soli" sette minuti di ritardo. Salgo, un po' arrancando per via delle valigie pesanti, e prendo posto, per poi infilarmi le cuffiette nelle orecchie e perdermi nelle note delle canzoni che suonano nel mio cellulare. Fare questo viaggio senza Federico mi rende nuovamente malinconica. Dire che mi manca ormai è scontato, eppure non riesco a fare a meno di pensarlo. Scorro le immagini della galleria del mio smartphone, in modo da poter vedere il viso del mio ragazzo e sentirlo più vicino in qualche modo. Che strani scherzi ci fa il destino: un mese fa non era ancora successa la tragedia e lui stava bene, con il suo bel sorriso e la sua vitalità.

"Stiamo per arrivare alla stazione di: Waterboat City. Capolinea." E' la voce registrata che avvisa i passeggeri presenti sul treno che sono arrivati a destinazione. Mi ero così persa nei miei pensieri, come mi capita spesso, che non mi sono nemmeno resa conto di essere arrivata. Scendo dal treno, un po' barcollante, con le due valige una per ogni mano e la borsa a tracolla. Ed eccoci qui: la meravigliosa stazione grigia con i suoi 25 binari di Waterboat City. Deprimente al punto giusto. Decido di avviarmi per raggiungere l'appartamento il prima possibile, desiderosa di posare finalmente queste valige pesanti.

Appena raggiungo il pianerottolo dell'appartamento, dopo aver salito le numerose scale di marmo dai gradini che sembrano non finire mai, noto che c'è un foglio appeso con dello scotch bianco sulla porta. Mi avvicino e lo strappo, per poi leggerlo bene. Oh no: è un messaggio da parte del proprietario, Alfonso. Dice che dobbiamo pagare l'affitto il prima possibile o ci sbatterà fuori. Non ci voleva anche questa. Se non ricordo male la data di scadenza era a fine Novembre. Cazzo, avevamo messo i soldi da parte prima di tornare a casa, ma sono certa al cento per cento che non li abbiamo lasciati qui. Si era preso la responsabilità Fede di tenerli, quindi saranno a casa sua.

Mi metto le mani sulla testa. "Come diavolo faccio, ora?" dico, tra me e me. Provo a pensare. "Emma, devi pensare con calma e lucidità. -dico, parlando a voce alta, da sola -Per prima cosa è meglio entrare e mettere giù questi bagagli. Bene. Poi.. rifletteremo sul da farsi." Infilo la chiave nella toppa d'ottone ed entro. Fa troppo freddo qui dentro, del resto è stato chiuso per un mese; devo subito accendere il riscaldamento. Mentre aspetto che il tepore si propaghi in tutto il piano, chiamo mia mamma, la quale risponde dopo il terzo squillo.

"Emma! Sei arrivata?" "Sì, mamma. C'è un problema." dico, interrompendo la sua probabile lista di domande riguardanti il viaggio. "Dimmi." Il tono della sua voce lascia trapelare una certa preoccupazione. "A fine Novembre dovevamo pagare l'affitto. Ho trovato un foglio che ha scritto Alfonso, il proprietario, attaccato sulla porta d'entrata. I soldi li aveva Fede. Io avevo messo la metà dell'importo come sempre. Devo pagare il prima possibile o mi sbatterà fuori di casa. Come faccio?" dico, tutto d'un fiato, agitata. Per un po' rimane in silenzio. "Chiamo i genitori di Federico, gli chiedo dove lui teneva i soldi in questione e ti faccio inviare la cifra tramite bonifico bancario sul tuo conto. E' l'unica cosa che si può fare." suggerisce. "Hai ragione, per l'agitazione non ci avevo nemmeno pensato. Ti prego, fate il bonifico il prima possibile così farò l'assegno e chiudiamo questa storia il prima possibile." la supplico. "Non ti preoccupare, entro sta sera sarà fatto. "Grazie mamma." sussurro. La sento sorridere dall'altro capo. "Mamma?" "Sì, dimmi tesoro." Resto in silenzio per qualche secondo. "Perché sono così sfigata?" Succedono tutte a me, cavolo. Pure questa doveva accadere. "Non sei sfigata, Emma. Vi siete solo scordati che c'era pure l'affitto da pagare. Per una cosa o per l'altra non ti sei ricordata di prendere quei soldi. Tranquilla ora, abbiamo risolto tutto in una sola telefonata." mi rassicura. "Grazie ancora, mamma. Disfo le valige e mi metto a ripassare qualcosa. Ci sentiamo presto. Ti voglio bene." "A presto, tesoro. Ti voglio bene anch'io." E chiudo la chiamata.

Tiro un sospiro di sollievo. Disfo i bagagli e sistemo tutto. Questo appartamento è maledettamente silenzioso senza di lui. Mentre poso i capi d'abbigliamento nell'enorme cassetto dell'armadio, mi viene tra le mani una felpa di Federico. E' morbida, blu cielo con il numero 90 stampato. La porto al petto e la stringo forte, inspirando il suo profumo di pulito. Questo appartamento è pieno di cose che gli appartengono, quindi il mio pensiero va automaticamente a lui per ogni oggetto che guardo o tocco.

Trascorro il resto della giornata a ripassare. A forza di ripetere gli schemi, ormai, li potrei spiegare ad occhi chiusi. Mi sento pronta. Domani è l'ultimo giorno libero e dopodomani ci sarà il primo scritto. Già, ora che ci penso domani devo andare in negozio da Giulia per lavorare. Fare unghie mi terrà la mente, oltre che le mani, occupata. La chiamo, per sapere se devo andare alla solita ora. "Pronto?" la sento dire con un alto tono di voce. "Ciao, Giulia. Sono io, Emma." "Emma, da quanto! Come stai? Sei tornata?" La sua spensieratezza mi fa quasi invidia. "Sì, sono arrivata questa mattina. Purtroppo non sto affrontando un bel periodo. Domani hai bisogno di aiuto? Posso riprendere il lavoro come eravamo d'accordo?" chiedo. "Sì, certo. Ti sento molto giù. Si tratta degli esami? Oppure.. E' successo qualcosa di grave?" mi risponde, intuitiva. "Ti racconto domani. Solita ora, vero?" chiedo. La sento annuire dall'altro capo. "Ok. Grazie mille. Ci vediamo e buona serata, Giulia." "Uhm.. Ok a domani Emma. Buona serata anche a te." e chiudo la telefonata. Non mi va di affrontare l'argomento anche per telefono, meno ne parlo e meglio è.

Quando si fa abbastanza tardi per rimanere sul divano a fare zapping alla TV, mi decido che è ora di andare a dormire. Il letto mi sembra tremendamente enorme, dato che lo condividevo con il mio ragazzo. Infilo la sua felpa azzurra che ho stretto a me diverse ore prima, sopra il pigiama, in modo da sentirlo accanto a me nonostante la sua assenza. Domani telefono ai suoi genitori per sapere se ci sono novità e per sentire come stanno loro. Rappresentano la mia seconda famiglia e sono importanti tanto quanto la mia. Mi addormento beatamente, stanca dopo l'ennesima giornata di studio matto e disperatissimo.

La mattina seguente la passo a spolverare un po' i mobili, pieni di polvere dopo un mese di chiusura dell'appartamento. Cerco di tenermi impegnata il più possibile fin che non arriva il momento di andare al lavoro. Ho deciso di non toccare più nessun foglio con gli schemi, tanto il mio cervello si rifiuta categoricamente di ripetere anche un semplice accento.

Stranamente, dopo giorni, oggi c'è un bel sole e nessuna nuvola. Il cielo è limpido. Tuttavia il freddo pungente resta tale. E' il primo pomeriggio quando esco per andare da Giulia. Mi copro bene, indossando pure un berrettino di lana azzurro pastello, non voglio prendermi qualche malanno proprio il giorno prima delle prove.

Arrivo davanti al negozio e vedo la proprietaria del salone che si fuma la sua sigaretta prima del turno pomeridiano come di consueto. Mi saluta con la mano libera. Anche oggi ha dei boccoli perfetti. "Ciao, carissima." dice, buttando fuori il fumo dalle labbra rosso fragola, il colore del suo rossetto preferito. "Ciao, Giulia." ricambio, avvicinandomi. "Oggi ho diverse clienti che devono fare la manicure. Dovrai sgobbare parecchio. Pronta a lavorare sodo?" chiede, con un ghigno, spegnendo la sigaretta con un piede dopo averla gettata al suolo. "Ci puoi scommettere!" esclamo, pronta a seguirla in negozio. Si preannuncia un pomeriggio intenso.

Never let me aloneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora