Day 19 - In formal wear

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«Piano, Nialler.» borbotta Zayn, sbuffando, mentre l'aiuta a infilare i pantaloni dello smoking.

Si è operato al ginocchio qualche settimana prima, porta ancora il tutore e fatica a muoversi, così il moro lo aiuta quando può, quando l'irlandese glielo permette e quando, come in quel caso, sono in ritardo.

Niall, da suo canto, non riesce a stare fermo. Ha bisogno di muoversi, di fare cose, ed essere impossibilitato non aiuta. Quel giorno, da bravo, ha deciso di rimettersi in piedi, gironzolando qui e là con e senza stampelle, nonostante i medici si fossero raccomandati più e più volte di eliminare qualsiasi genere di sforzo.

Ha finito per collassare a letto, gridando e imprecando per il dolore, dimenticandosi della premiazione di quella sera, con Zayn a stringerlo e ad attutire le sue urla contro il proprio petto largo e scolpito. Non lo ha rimproverato, non lo ha consolato; ha solamente accolto il suo dolore e lo ha tenuto stretto fino a quando anche il biondo non si è sentito pronto a lasciarlo andare.

Così il tempo è scappato loro di mano e Niall ha fretta; ha fretta perché non vuole far arrivare in ritardo i suoi amici, non vuole che li rimproverino e non vuole che la sua band faccia la figura di un gruppo di ragazzini viziati che non sanno rispettare gli impegni presi. Quindi si muove velocemente – per quanto gli permetta il tutore, ovvio – e ignora gli sbuffi seccati del moro.

Con un gesto secco, forse un po' troppo affrettato, l'irlandese infila la gamba dentro il pantalone e sbatte il tallone sul pavimento. Una scossa di dolore percorre l'intero arto ed egli si ritrova a soffocare un grido e un'imprecazione.

Zayn alza gli occhi al cielo e sbuffa per l'ennesima volta, incapace di credere che egli sia davvero così imprudente. Ed è anche pronto a rimproverarlo, a dargli addosso per la sua sconsideratezza, ma quando posa gli occhi color dell'ambra sul suo corpo rigido e tremante, sul suo volto pallido e leggermente coperto di sudore freddo, sugli occhi pieni di dolore e sul petto che si alza e si abbassa velocemente, com'è accaduto quel pomeriggio, gli si stringe il cuore. Rinuncia, quindi, alla paternale e si affretta a infilargli i pantaloni. Li solleva e poi si accomoda al suo fianco. Gli posa una mano sulla schiena e sospira, carezzandolo lentamente.

«Niall?» lo chiama, chiedendosi se sia il caso di non farlo uscire, di non farlo stare in ballo tutto il tempo per uno stupido pezzo di latta.

Il biondo non risponde; si limita solamente a cercare un contatto col moro. Porta la propria mano attorno alla sua coscia e stringe, stringe con tutta la forza che ha addosso e prende un respiro profondo, poi un altro e un altro ancora, fino a quando Zayn non lo aiuta a distendersi sulla schiena.

Lo sente armeggiare con la parte inferiore del corpo, in particolare con la gamba lesa, ma non riesce a vedere. Non riesce a trovare la forza di muovere anche solo un muscolo e guardare il moro che la solleva e la sposta piano, con gesti attenti, in direzione del materasso, dove la distende dopo aver sistemato un cuscino sotto il ginocchio.

Solo in quel momento riprende a respirare e le macchie nere davanti agli occhi scompaiono, lasciando spazio al soffitto della stanza da letto che divide con Zayn. Al soffitto e al suo viso preoccupato.

Allunga una mano per carezzargli una guancia e gli sorride debolmente, prima di sentire le lacrime pizzicare agli angoli degli occhi. Subito stringe le palpebre e piega il viso da un lato, sospirando pesantemente.

È umiliante, è imbarazzante ed è odioso, soprattutto non poter dire a Zayn come realmente si sente in quel momento, perché lui liquiderebbe tutto con un: "Non dire stronzate, Nialler".

«Io te l'avevo detto che non avresti dovuto sforzarti.» borbotta il moro, distendendosi al suo fianco e prendendolo come può tra le braccia, cercando di non far muovere la gamba.

You're my Unforeseen || ZiallDove le storie prendono vita. Scoprilo ora