Casamatta #3

16 5 0
                                    

Sophia venne riaccompagnata nella sua stanza, camminò inerte per il corridoio asettico senza curarsi di nulla. Entrò, si accoccolò sul letto spoglio, fissò per qualche secondo il giaciglio vuoto al suo fianco. Aveva una stanza doppia tutta per sé. La trattavano con i guanti, su questo non c'era nulla da dire.

Strinse il cuscino tra le braccia, richiamò a sé i ricordi che aveva taciuto.

Se ne vergognava, questa era la realtà.

Si vergognava di aver seguito quell'uomo lontano da tutti gli altri.

Si vergognava di avergli parlato con quel tipo di libertà che andava riservata a un amico fidato, non certo al primo venuto.

Questo avrebbe anche potuto dirlo a Luini, e persino a suo padre: avrebbe però dovuto ammettere di aver provato qualcosa di fin troppo esaltante per quello che ora considerava un mostro. Si rigirò tra le lenzuola bianche e ruvide, pensò che avrebbe dato qualsiasi cosa per potersi dire certa che lui lo fosse. Un mostro. Pur senza ammetterlo, avrebbe dato ancor di più per potersi sincerare del contrario.

Si rigirò ancora, strinse più forte il morbido compagno inanimato.

Ricordava una conversazione piacevole e fin troppo confidenziale con un uomo di cui all'epoca non sapeva nulla. Detestava non sapere cosa fosse accaduto in seguito.

Aveva buona memoria per quelle poche volte che aveva avuto occasione di far qualcosa che esulasse dalla sua routine quotidiana, dunque, riteneva che fosse piuttosto sospetto, se non addirittura eloquente, che proprio di quella serata non avesse ricordi oltre un certo punto.

Eloquente, sì. Ma Sophia non era in grado di mantenere una posizione in merito.

Prese un respiro, considerò che erano passati dieci anni e che lei era appena sedicenne all'epoca: forse si era innamorata come una qualsiasi sciocca ragazzina e lui l'aveva rifiutata, ferendo i suoi sentimenti al punto di farle scordare ogni cosa.

Sospirò.

Forse invece si era mostrata disponibile al punto che lui l'aveva...

Per un attimo immaginò di averlo baciato, si crogiolò in quella fantasia fuori luogo.

Subito si vergognò di se stessa, si morse un labbro a sangue.

Se c'era stato qualcosa di fisico, di certo le era stato imposto, si disse. Erano quei maledetti farmaci a farle provare emozioni tanto ottimistiche laddove i ricordi non esistevano.

Immaginò ancora l'ipotetico bacio, rubato a seguito di qualche orrida somministrazione truffaldina. Fantasticò di mordere lui, a sangue, fino a strappare quelle labbra che fino a pochi minuti prima aveva lascivamente desiderato.

Questa volta non si vergognò nemmeno un po' e si ripromise di tenere duro: doveva trovare il modo di far venire alla luce i ricordi, così che almeno il padre le avrebbe creduto.

Affondò le unghie nel cuscino inerme, poi lo scagliò con forza contro la porta. Questa venne aperta da una delle infermiere, che subito se la richiuse alle spalle.

Sophia si mise a sedere sul letto, cercando per qualche ragione di darsi un tono dignitoso. Se ne era sempre fregata di sembrare sana davanti alle infermiere, ma questa, la mise fin da subito in soggezione.

Era bella, la donna più bella che Sophia avesse mai visto. Alta, con lunghi capelli ramati, un viso luminoso e perfetto.

"Non... non ti ho mai vista prima... Se ho fatto troppo rumore ti chiedo scusa..." blaterò Sophia.

"Un cuscino contro la porta non è poi così rumoroso" la rassicurò la sconosciuta "e io comunque non lavoro qui." annunciò con fare rassicurante, prendendo posto sul letto vuoto. Sorrise, poi si spiegò: "Ho visto tutto. Mi manda tuo padre."

Sophia trattenne a stento la commozione. Aveva totalmente perso la fiducia in Luini, ma non quella nel genitore.

"Hai visto tutto... Voglio sapere... Cos'è successo, quella sera?" domandò ansiosa.

"Non c'ero quando hai incontrato quell'uomo al lago, ma so cos'è accaduto al ricevimento, in casa tua. Ero lì, tuo padre se ne è ricordato e mi ha interpellata... Io... Non ho visto ogni cosa, ma ho intuito che ti aveva fatto del male. Sei pronta a sapere la verità?"

Sophia annuì, sperando con tutta se stessa che i farmaci per dormire non avrebbero avuto la meglio su di lei proprio in quel momento.

La donna prese a raccontare: "Eravate davanti al salottino privato di tua madre, lui ti ha attirata all'interno chiedendoti se ricordassi di quella sera al lago... Questo lo ricordi?"

Sophia annuì ancora.

"Una volta dentro ha iniziato a farti delle domande. Ti ricordi di me? Ti senti in imbarazzo per quello che c'è stato? Possiamo fare finta di nulla, davanti agli altri? Ma tu sai chi sono io, sai che in quest'ambiente mi conoscono tutti?"

Sophia la fissava inebetita, ferma a quel terribile ti senti in imbarazzo per quello che c'è stato. Ora le sembrava di averlo davanti agli occhi, riusciva a vederlo mentre le poneva quella domanda.

"Si è arrabbiato perché non ricordavo..." disse trasognata.

La sconosciuta annuì.

"Come ha fatto a rendermi incosciente e farmi dimenticare? Non ricordo di aver accettato bevande o cibo e, anche se l'avessi fatto, sia mio padre che il suo amico mi hanno detto che non esiste droga che possa..."

"Non è una cosa che si beve o si mangia." spiegò la donna. "Ha usato un rimedio più infido e perverso. Ti ha presa alle spalle e ti ha premuto un fazzoletto sul viso... ora ricordi?"

Sophia scosse la testa.

Poi, però, le sembrò di ricordare anche questo.

"Non mi ha presa alle spalle, ma... Ha detto... che era per calmarmi... perché ero agitata... e non dovevano vedermi agitata..." disse a bassa voce, scandendo lentamente le parole. "Questo al ricevimento, dopo che mi ha messa in imbarazzo con tutte quelle domande. Ma al lago? Lo ha fatto anche al lago?" chiese intimorita. Ora avrebbe davvero desiderato sentirsi dire che la sua era follia, che non le era davvero accaduta una cosa tanto mostruosa. La donna, però, si limitò ad elargirle un sorriso compassionevole.

"Mi dispiace, Sophia. Sei abituata a un mondo fatto di gente per bene, almeno in apparenza. Fuori dal tuo castello dorato le cose vanno diversamente, le persone fanno anche cose brutte..."

"Quali persone, quello è un mostro!" inveì Sophia, senza riuscire ad alzare la voce.

Immaginò quell'uomo prendersi il suo piccolo corpo indifeso senza che lei ne sapesse nulla. Pensò che ora lui se ne stava in quella stessa casa di cura, in un ufficio elegante e confortevole... Di certo compiaciuto della riuscita perfetta del suo piano diabolico, consapevole della reclusione forzata della sua vittima.

In quel momento Sophia trasalì, chiedendosi se fosse l'unica. Realizzò che alcune di quelle ragazze, che attraversavano il corridoio gridando e tornavano alle loro stanze in stato catatonico, potevano aver subito lo stesso atroce trattamento.

Avrebbe dato qualsiasi cosa per potersi almeno sfogare un po', invece era paralizzata.

La calma a cui era costretto il suo corpo era sempre più difficile da tollerare.

"Finirà che impazzisco sul serio..." proferì laconica.

"Ti aiuterò, e nessun'altra subirà ancora le angherie di quel mostro." concluse la donna, quasi l'avesse letta nel pensiero.

Pochi istanti dopo, i barbiturici portarono Sophia in un sonno senza sogni.

|_~c"


Il mondo oltre i confiniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora