Il coltello #3

14 1 0
                                    

Il giorno seguente, dopo una notte di riflessioni che mi avevano in parte tolto il sonno, tornai all'università con l'intento di fare ancora due chiacchiere con Bruno. Non per spiarlo, questa volta. Avevo deciso di non riferire alcunché al professore che me lo aveva chiesto, ne fosse andato pure del mio concorso di dottorato che, speravo, non poteva dipendere solo e soltanto da quell'assurdo incarico.

Mi avvicinai a lui con un gran sorriso, lo salutai.

Ancora una volta aveva un evidenziatore ben saldo nella mano destra e, per quanto non sembrasse intenzionato a rispondere al mio saluto, mi guardai bene dal disturbarlo. Quello che vidi sul foglio che stava cesellando con la punta verde fluo mi stupì: aveva abbozzato la figura di una ragazza, corporatura esile e lunghi capelli scuri. Grandi occhi verdi. Concetto che continuava a ribadire con insistenza, cerchiando e ricerchiando le iridi di carta e grafite con quel colore innaturale.

Ero ancora lì piantato al suo fianco, quando si girò verso di me e mi restituì finalmente il saluto, per poi spiegarmi con aria trasognata: "È la ragazza dei miei sogni, sai?"

Gli sorrisi ancora: "Io ho altri gusti," ammiccai.

Lui ricambiò il sorriso e mi fece posto sulla panca di legno senza aggiungere altro. Un ottimo segno. Forse.

Di nuovo, restammo lì a seguire la lezione. Lezione sulla quale preparai subito qualche semplice domanda da rivolgere alla mia nuova conoscenza, anche se iniziavo a chiedermi come avrei potuto spiegargli che ero, in realtà, in procinto di laurearmi. Perché, prima o poi, avrei dovuto dirglielo, e magari anche trovare una buona scusa per giustificare la mia presenza in quell'aula.

"Senti," mi rivolsi a lui, "non mi è chiara questa cosa su..."

Mi interruppe, spiazzandomi: "No, non è vero. Tu fingi di seguire per i primi minuti della lezione, poi pensi ai fattacci tuoi, e infine fai domande indegne della tua intelligenza riguardo detti primi minuti. Lo hai fatto ieri, e ti ho lasciato fare; ora, però, dimmi: cosa vuoi da me?"

Feci scena muta per un lunghissimo minuto. "Magari non sono così intelligente..."

"Questo non lo so," mi interruppe ancora, "ma certamente non sei nemmeno così stupido da non capire le introduzioni agli argomenti, non al punto di rimanere ad arrovellartici durante la discussione degli argomenti stessi."

Mi appoggiai allo schienale e chiusi gli occhi per un secondo. "Non sono uno studente," ammisi poi, parlando poco più che sottovoce.

Bruno sorrise compiaciuto.

Io sorrisi di rimando: se era felice di avermi scoperto, se trovava di che esserne fiero, allora non sapeva cosa mi avesse effettivamente spinto a fare la sua conoscenza. O, almeno, potevo sperarci. "Ti va il caffè che ho provato a offrirti ieri?" proposi. Ma mi corressi subito "O qualunque altro tipo di cibo o bevanda reperibile al bar qui sotto..."

"Solo se mi dici cosa ci fa un non-studente a questo corso."

"In realtà non sono proprio un non-studente. Ho finito di dare gli esami, ma mi resta ancora la tesi da discutere, così bazzico ancora da queste parti e... beh, ti ho visto e volevo conoscerti," esternai, timidamente. Una mezza verità.

Bruno si alzò, per poi farmi strada verso il Caffè Universitario, un locale sempre molto affollato durante le mattinate feriali.

Ci sedemmo a un piccolo tavolino marmorizzato, lui ordinò, per entrambi, la bevanda che aveva sostenuto di non gradire.

Bevemmo in silenzio. Mi diede il tempo di deglutire, poi si sporse verso di me: "Non è che vuoi provarci con me?" mi sussurrò, discreto. "Te lo chiedo perché è una situazione a cui non sono preparato, e al momento non saprei come reagire. Insomma, ho altro a cui pensare, e non credo di poter sostenere una relazione personale, men che meno una di carattere sentimentale. Sono fedele alla ragazza dei miei sogni, perché solo lì posso rilassarmi e innamorarmi. Fuori dai sogni, la realtà è troppo dura, e impegnativa, e faticosa, per queste cose. Credo che dovresti dedicare questa tua voglia di dirsi cose carine e perdere tempo assieme a qualcuno che abbia ancora cose carine da dire, e, soprattutto, tempo da perdere."

Ciò che persi fu il respiro, mentre lui parlava.

Più mi rifiutava con quelle sue considerazioni così razionali, così comprensibili, data la situazione difficile in cui si trovava... più mi parlava con quel tono gentile, e comprensivo nei miei confronti, nei confronti di quello che voleva perdere tempo a dire cose carine... più sentivo di dover fare qualcosa. Qualcosa qualsiasi. "Ti conosco appena, ma ammetto di averci fatto un pensierino," riuscii a rispondere, "però, se non te la senti eviterò di provarci con te, meglio averlo chiarito subito," conclusi, non pensando alcuna delle cose che avevo detto. Ci avevo fatto ben più che un pensierino. E non avevo intenzione di evitare. Né sentivo di aver chiarito un bel niente. Nemmeno avevo capito se, alla fine, gli piacesse il caffè oppure no.

Riprendemmo a parlare del più e del meno, poi pagammo le nostre consumazioni e uscimmo. Lo avrei accompagnato al negozio dove lavorava, visto che era vicino alla fermata della metropolitana che avrei comunque dovuto raggiungere per tornare a casa mia. Cosa che avrei fatto, perché di rientrare all'università, senza prima elaborare con calma quanto accaduto, non me la sentivo.

Stavo per salutarlo e scendere nel sottosuolo cittadino, portandomi tutto il mio malumore appeso a un filo come un macabro palloncino da fiera, quando non resistetti: mi avvicinai un po' più del normale, scrutai i suoi occhi di ghiaccio, e glielo chiesi: "Non è che hai detto quelle cose ma non le pensi, o almeno non del tutto? Magari volevi farmi capire semplicemente che hai paura, e le paure vanno..."

Bruno abbassò lo sguardo, cercò la mia mano destra e la prese tra le sue. Iniziò a massaggiarmi leggermente il palmo con movimenti circolari dei pollici, assorto, lontano. Altrove. Non sapevo cosa dire o fare, avevo l'impressione che mi stesse ipnotizzando.

"Non sei stato sincero," mi disse, "ma ora non hai cattive intenzioni," pontificò.

"Bruno, ma cosa..."

A quel punto si portò la mia mano sul petto, dove sentii il suo cuore battere. E per un attimo ebbi l'impressione che fosse tutto lì. Che lui fosse questo, emozione senza filtri, trasmessa dalla fonte.

Ma finì.

Bruno mi guardò in volto con aria di sfida, di nuovo tagliente. Mi restituì la mano e: "Lasciami perdere." mi liquidò.

Lo guardai sparire dietro la porta cigolante del suo negozio, una vecchia erboristeria dall'aria dimessa. Ed elaborai un piano. Dovevo capirci qualcosa, o non avrei avuto pace.

Il mondo oltre i confiniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora