Male Dire #4

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Mi sentii meglio solo dopo aver piantato il coltello.

Ancora ricordo la lama che scorreva quasi senza attrito, il silenzio irreale in sottofondo.

Strinsi la rabbia nel cuore, la feci fluire attraverso il mio sangue per poi riversarla nel suo.

E allora mi sentii bene, in pace.

Estrassi il coltellaccio e lo lucidai lentamente, lasciando i resti nel piccolo pascolo dove ci eravamo conosciuti.

E solo dopo ritornai al mondo, l'aria si riempì di vento secco, tra gli ulivi ripresero a cantare le cicale. Io respirai forte ogni foglia spezzata, risalii il pendio, accolsi nel mio petto il profumo della salsedine lontana. Fu un correre liberatorio. Il mio fiato grosso celebrava la vita.

Una volta arrivata in cima, prima di riprendere il sentiero tra le foglie di agave che conducevano alla mia provvisoria dimora, sbirciai la distesa blu del mare in fondo alla valle, un mistero tanto lontano e profondo quanto esistente e percettibile. Ne ringraziai lo Spirito, e infine mi incamminai.

Lasciai il sentiero che conduceva al paese per quello, più impervio e selvatico, che portava a ridosso delle mura, all'esterno, dove i miserabili vivevano un giorno dopo l'altro. Guardavo le piante farsi più incolte, la spazzatura fiorire poco a poco tra i cespugli di rovi, e sapevo che, una volta a casa, avrei dovuto scontrarmi di nuovo con la realtà: se a me era bastato un atto di rabbia per lasciar fuori la rabbia, lo stesso non sarebbe valso per la mia sorellina tredicenne.

La ritrovai acciambellata sul suo giaciglio, come l'avevo lasciata al mattino.

Ancora accucciata e inerme, come l'avevano ridotta il Demonio e i suoi seguaci.

Perché i due occhi celesti erano stati seguiti da due paia di occhi scuri.

Occhi sconosciuti, inattesi. Occhi malvagi, e questa volta l'apparenza non ingannava.


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