14 - Emma

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Ero passata davanti all'ospedale St. Mary's innumerevoli volte nella mia vita e non mi ero mai fermata a pensare a cosa potesse succedere al suo interno.

Non avevo mai immaginato che qualcuno potesse arrivare in auto, con gli amici al proprio fianco e le contrazioni che la facevano piegare in due dal dolore.

Non avevo mai immaginato che qualcuno potesse essere ammesso in sala parto insieme alla propria sorella, che le teneva la mano e non si lamentava nemmeno quando questa persona gliela stringeva fino a farsi diventare le nocche bianche.

Non avevo mai immaginato che qualcuno potesse partorire una sanissima bambina con i capelli castano chiaro e che questa persona potesse piangere - non solo per il dolore, ma soprattutto per l'emozione di tenerla in braccio per la prima volta, di conoscerla.

E, soprattutto, non avevo mai immaginato che questa persona potessi essere io.

Se me l'avessero chiesto non sarei stata in grado di descrivere a parole quello che avevo provato durante quelle ore. Ero esausta, stremata, avevo dolori ovunque, avevo pianto, avevo sudato, avevo insultato il povero dottor James senza che avesse fatto nulla di male, avevo riso quando mi avevano messo Emma in braccio e poi avevo pianto di nuovo. Nonostante tutto, però, ero felice.

«Toc toc?» Sentii la familiare voce di Louis provenire dalla soglia della porta. Ero stata trasferita dalla sala parto a una stanza normale. «Possiamo entrare?» Domandò il ragazzo.

«Sì, entrate pure.» Risposi, spostando lo sguardo verso i miei amici.

Entrarono tutti, affollando la stanza già abbastanza piccola e, in qualche modo, riuscirono a portarmi anche dei palloncini e un enorme peluche a forma di orso.

Louis fu il primo ad avvicinarsi. Aprì la bocca, probabilmente per fare una delle sue solite battute, poi la richiuse. Vidi i suoi occhi diventare lucidi e una lacrima sfuggì al suo controllo.

«Oh, Freya...» Mormorò, sedendosi sulla sedia di fianco al mio letto e mettendo una mano sul mio braccio senza staccare gli occhi da Emma. «È bellissima. È... non riesco a crederci.» Aggiunse.

«Ciao Emma, benvenuta!» Sussurrò Niall, avvicinandosi a sua volta e parlando piano per non svegliarla. «Congratulazioni, cugina!»

«Grazie.» Mormorai, sorridendo.

«Permesso, permesso!» Esclamò Matthew, entrando di corsa e bloccandosi davanti al lettino in cui ero sdraiata. Guardò i nostri amici, poi me e infine posò lo sguardo su Emma, che stava dormendo profondamente. «Oh, cazzo.» Si lasciò sfuggire, strabuzzando gli occhi.

«Matthew!» Lo rimproverai. Sapevo che Emma non poteva ancora capire quello che si diceva, ma non volevo che le prime parole che sentisse dire da suo padre fossero parolacce.

«Sono in ritardo, lo so, ma ero all'università, poi c'era traffico e quando sono arrivato le infermiere non volevano dirmi dove ti trovavi. Quando finalmente me l'hanno detto, sono corso fino alla sala parto, ma tu non c'eri già più. Ho dovuto litigare ancora con le infermiere per mezz'ora per farmi dire in che stanza eri.» Spiegò lui, con il fiatone.

«Amico, non potevi semplicemente chiamarmi o mandarmi un messaggio? Te l'avrei detto io dove trovarci.» Intervenne Louis, scuotendo la testa.

«Oh.» Commentò Matt. «Beh, sì, forse così sarebbe stato più semplice.» Aggiunse. «Possiamo avere due minuti da soli?» Mi domandò qualche secondo dopo, fissando Emma con un'espressione indecifrabile.

I nostri amici annuirono e Louis mi guardò, come se mi volesse chiedere conferma. Annuii e lo vidi alzarsi dalla sedia e uscire insieme agli altri posando una mano sulla spalla di Harry, che si era girato per guardarmi.

«Freya.» Cominciò Matthew, prendendo il posto che aveva occupato fino a pochi istanti prima il mio migliore amico. «Non so nemmeno da dove iniziare a farti questo discorso.»

«Se è il solito 'ti amo, ti giuro che cambierò, sono stato un cretino', puoi benissimo risparmiartelo. Anzi, puoi anche solo dirmi che sei un cretino.» Risposi, accarezzando la guancia di Emma e cercando di non arrabbiarmi. Non ne avevo le forze, anche se avessi voluto. Ero così stanca che avrei solo voluto dormire per le successive ventiquattro ore.

«Non era esattamente quello che volevo dirti. Volevo chiederti scusa, quello sì. Ed è vero che sono stato un completo idiota, ma chi può negarlo? È solo che... ti prego, torna a casa. Adesso la bambina è nata e abbiamo la possibilità di essere davvero una famiglia. Dammi la possibilità di essere suo padre.» Disse il ragazzo, guardandomi negli occhi.

«Emma.» Puntualizzai. Poi mi fermai a riflettere, perché non avevo la minima idea di cosa avrei potuto fare.

Ero combattuta. Matthew sembrava davvero disposto ad essere un padre per la bambina. Se fossi tornata a casa sarebbe cambiato tutto? Non avevo bisogno del suo amore o delle sue false promesse nei miei confronti, ma volevo che Emma avesse la possibilità di crescere insieme a suo padre.

«Emma.» Ripeté lui. Poi allungò il braccio e accarezzò la testa della bambina, facendomi ricominciare a piangere.

«Dovrai essere il miglior padre sul pianeta.» Dissi. «Mi aiuterai a cambiarle i pannolini e a fare tutto quello che c'è da fare e la vizierai da fare schifo.» Aggiunsi, tra le lacrime.

Probabilmente stavo piangendo per la stanchezza o semplicemente perché quella giornata mi stava sembrando infinita e non vedevo l'ora di andare a dormire. O forse c'era qualcosa negli occhi di Matt che mi sembrava sincero, quella volta.

«Lo giuro. Mi daranno il premio di miglior padre della Via Lattea.» Replicò. «Io non ho mai riportato al negozio i mobili che avevo preso... spero che vadano ancora bene. Altrimenti ne prendiamo di nuovi e li sceglierai tu.» Aggiunse.

«Vanno bene quelli che abbiamo.» Risposi, stremata.
***
Louis cercò di opporsi al mio ritorno a casa di Matthew con tutte le sue forze. Cercò persino di nascondermi i bagagli che avevo lasciato nel corridoio all'ingresso, ma ormai avevo preso la mia decisione.

Matthew era il padre di Emma e, che mi piacesse o no, aveva il diritto di crescere sua figlia. Ero disposta a dargli un'ultima possibilità e, se non si fosse comportato nel migliore dei modi, sarei tornata a casa del mio migliore amico.

Durante le prime settimane Matthew si dimostrò il padre perfetto, aiutandomi a fare qualsiasi cosa e insistendo per alzarsi durante la notte, quando Emma piangeva. Diceva che avevo bisogno di dormire e che lo faceva volentieri, così spesso mi lasciavo convincere, mi giravo dall'altra parte e mi riaddormentavo.

Con il passare del tempo, però, il ragazzo cominciò a comportarsi come prima, tornando a casa tardi la sera e lasciandomi sola tutto il giorno.

«Freya!» Esclamò lui quel giorno.

Non risposi e guardai la porta della camera di Emma con gli occhi sgranati, cullando la bambina per cercare di farla smettere di piangere senza alcun tipo di risultato. Avevo provato qualunque tecnica conosciuta, ma la povera bimba aveva una colica e non c'era verso di farla star calma.

«Freya!» Urlò di nuovo Matthew, camminando velocemente e raggiungendo la stanza di Emma. «Vuoi farla smettere di piangere, per favore? Sto cercando di studiare e non riesco a concentrarmi!» Esclamò pochi istanti dopo.

Smisi di camminare avanti e indietro per la camera, cullando la bambina, e lo fissai, scuotendo la testa. Mi sentivo i capelli sporchi, perché quel giorno non ero ancora riuscita a farmi una doccia, ero in pigiama, avevo le occhiaie che toccavano terra, perché quella notte non ero riuscita a chiudere occhio ed ero stanca.

«Ha una colica, Matthew. Ci sto provando. Non so cosa fare.» Risposi a denti stretti, ricominciando a cullare la bambina. «Vuoi provare tu, per favore?» Aggiunsi.

«Non ho tempo. Ti ho detto che sto studiando, ho l'esame più importante del corso e non posso permettermi di non superarlo.» Replicò lui. «Ti prego, applicati di più e riprovaci.» Aggiunse prima di girare sui tacchi e lasciarmi da sola con Emma, stupita da quel comportamento.

«Non piangere, amore. Papà ha evidentemente mangiato yogurt scaduto a colazione...» Sussurrai, accarezzandole la testa.

Proprio in quel momento sentii suonare il campanello, ma decisi di lasciar rispondere alla donna di servizio, perché non avevo nessuna intenzione di abbandonare mia figlia, non quando era in preda ai dolori e non riusciva a smettere di piangere.

«Freya?» Sentii la voce di mia madre e mi fermai per qualche istante, incredula.

«Se sei venuta per rinfacciarmi qualcosa o per vedere di persona i danni che sto combinando con mia figlia... lascia perdere. Non è proprio il momento.» Dissi.

Mi veniva da piangere. Perché sapevo che la mia bambina stava soffrendo e non avevo idea di cosa potessi fare per farla stare meglio. Avevo provato tutto, ma niente sembrava funzionare. Ero disperata.

«È una colica?» Mi domandò la donna, ignorando la mia domanda. Annuii senza dire niente e lei sorrise. Era davvero così malvagia? «Le avevi anche tu da piccola, da quando avevi due settimane fino ai tre mesi, quando finalmente ti sono passate.» Aggiunse.

«Se solo Ingrid fosse qui...» Mormorai. Lei avrebbe saputo cosa fare. Avrei dovuto aspettare che mia madre sparisse e poi l'avrei chiamata. Se solo... se solo non mi fossi dimenticata il cellulare che mi aveva dato a casa di Louis, dannazione.

«Posso?» Domandò la donna, avvicinandosi e facendomi capire che avrebbe voluto prendere in braccio Emma. Indietreggiai di un passo istintivamente, per cercare di proteggere mia figlia. «Freya, per carità, non le farò del male. Fidati di me, per una volta.»

Accettai con riluttanza e adagiai Emma con attenzione tra le braccia di mia madre, che cominciò subito a cullarla, ma senza risultato.

«Ho provato di tutto.» Dissi, con le lacrime agli occhi.

«Fammi un favore, scalda una bottiglia di latte e fai attenzione che non sia troppo calda. Poi raggiungimi nella stanza lavanderia.» Rispose la donna, senza perdere la calma.

Decisi di non chiedermi nemmeno perché stessi per fare quello che mi aveva suggerito, invece mi diressi in cucina e seguii le sue istruzioni.

Quando le raggiunsi nella sala della lavanderia, notai con stupore che Emma aveva smesso di piangere e sembrava più calma. Porsi il biberon a mia madre, che lo appoggiò con delicatezza sul ventre della bambina.

«Come hai fatto?» Domandai, sconvolta.

«Quando eri una bambina c'era un solo rumore che ti faceva addormentare quando avevi le coliche.» Mi spiegò lei, sussurrando. «L'asciugatrice.» Continuò, sorridendo. «E il tuo pediatra mi aveva consigliato di appoggiarti qualcosa di caldo al pancino, così il calore avrebbe aiutato ad alleviare il dolore.» Concluse dopo aver riportato Emma nella sua culla.

«Non capisco.» Dissi, scuotendo la testa. «Come fai a sapere queste cose, se mi ha cresciuta Ingrid?» Domandai.

«Ingrid non è sempre stata presente.» Rispose lei. «L'abbiamo assunta quando avevi un anno e mezzo, perché tuo padre voleva che prendessimo qualcuno che ci aiutasse. Era stanco di non riuscire più a dare feste a casa nostra e voleva che tornassimo una coppia. Non aveva ancora accettato del tutto che le cose non sarebbero più tornate come quando ci eravamo appena sposati.» Aggiunse.

Cercai di immaginare un momento in cui i miei genitori erano innamorati, ma non riuscii. Da quando avevo ricordi li avevo visti freddi l'uno con l'altro. La loro massima dimostrazione di affetto era un leggero tocco sul braccio quando stavano partecipando ad una delle loro feste (e avevo sempre sospettato che si trattasse solo di un gesto per far vedere ai loro amici che si amavano o qualcosa del genere).

«Che cosa fai qui?» Domandai poi, per cercare di cambiare argomento. Avevo troppe cose a cui pensare, non potevo permettermi di cercare di capire quale fosse l'ultimo gioco di potere di mia madre.

«Volevo conoscere la mia nipotina.» Rispose lei, abbozzando un sorriso. «E volevo chiederti scusa.»

«Scusa?» Domandai, scettica. Mia madre non chiedeva semplicemente 'scusa'. Ero sicura che, parlando, prima o poi mi avrebbe rivelato il suo secondo fine.

«Sì.» Disse. «Quello che mi hai detto l'ultima volta che abbiamo parlato mi ha colpita profondamente e ci ho riflettuto tanto. Hai ragione, sono una persona egoista ed egocentrica e mi sono preoccupata solo delle apparenze, quando invece avrei dovuto starti vicina. Ho avuto due figlie, so quanto sia difficile e delicato tutto il periodo della gravidanza e subito dopo il parto. E tu sei molto più giovane di quanto lo fossi io quando ho avuto te.»

«Ma sono passati quasi quattro mesi dal parto.» Ribattei, roteando gli occhi al cielo.

«Lo so.» Replicò la donna. «E mi dispiace. Mi farò perdonare anche per quello, te lo prometto. Ho portato anche un regalo per la piccola Emma.» Aggiunse, uscendo dalla stanza di Emma e avviandosi verso l'ingresso, dove c'era un enorme scatolone posizionato appena prima della porta della cucina.

«Non pensare che accetterò le tue scuse così facilmente.» La avvisai, seguendola. «Anzi, avrei una serie di richieste che dovrai soddisfare prima di poterti considerare perdonata.»

«Dimmi.»

«Per prima cosa voglio che tu risolva la situazione con Ingrid. So dell'ordine restrittivo e ho assolutamente bisogno che tu lo faccia annullare o qualcosa del genere.» Dissi, alzando l'indice per cominciare a contare. «Inoltre...» Cominciai a dire, ma fui interrotta da Matthew, che ci raggiunse con passo pesante.

«Freya!» Esclamò. «Non avevi detto che ti saresti occupata di assumere una nuova donna delle pulizie? La cucina è in uno stato pietoso e anche il salotto è disgustoso. Ho bisogno che tutto sia pulito e in ordine per questa sera, perché verranno a cena i compagni di corso del mio gruppo di studio.» Aggiunse. Emma si svegliò improvvisamente e ricominciò a piangere, disturbata dalle urla di suo padre.

Cercai di cullarla, ma non ottenni nessun risultato. Mia madre decise di darmi una mano e prese la bambina tra le sue braccia, mentre io continuavo il discorso con Matthew.

«Sì.» Risposi, abbassando la testa. «Avevo detto che ci avrei pensato, ma non ho avuto tempo. Emma non è facile da gestire in queste settimane, perché non sta bene.» Aggiunsi. «E forse te ne renderesti conto anche tu, se la prendessi in braccio ogni tanto o se le prestassi un po' di attenzione.» Conclusi, alzando lo sguardo e puntandolo nel suo.

«Ti ho detto che non ho tempo. Vuoi che prenda questa laurea o no? Altrimenti come pensi che riusciremo a crescere Emma, visto che tu non stai studiando o lavorando e non hai un reddito? Pensi di andare a fare la spogliarellista quando il tuo fisico tornerà in forma?»

Non pensai nemmeno a quello che stavo per fare. In quel momento la rabbia mi accecò completamente, così mi ritrovai di fronte a lui in pochi passi e gli mollai un sonoro schiaffo.

«Non permetterti mai più di trattarmi così. Questa è l'ultima volta che mi faccio mettere i piedi in testa da te. Vuoi la casa pulita? Puliscitela. Anzi, Emma ed io ce ne andiamo, così nessuno te la sporcherà più.» Dissi tra i denti, fissandolo.

Mi ero dimenticata di qualsiasi cosa, persino che mia madre fosse lì e che avesse assistito a tutta la scena.

«Non so che fine abbia fatto il bravo ragazzo con cui è cresciuta Freya e che ero così orgogliosa di vedere al suo fianco...» Cominciò a dire la donna, avvicinandosi. «E probabilmente non sono la persona adatta a farti questo discorso, ma non osare mai più rivolgerti a mia figlia in questo modo.» Aggiunse.

Mi voltai a osservarla, sconvolta.

«Hai presente la lista di cose che ti dicevo?» Le domandai. «Se mi aiuti a fare le valigie e a trasferirmi da Louis puoi considerarti perdonata.»

«Oh sì.» Rispose lei. «Non voglio che tu rimanga in questa casa un solo istante in più.» Aggiunse, marciando verso la camera matrimoniale.

«Le valigie sono nella cabina armadio.» Le dissi, indicandole una porta alla destra del letto.

«Sei sicura che non vuoi tornare a casa? Posso aiutarti a prenderti cura di Emma, se vuoi.» Mi domandò mia madre, fermandosi per qualche istante per guardarmi.
«Sono sicura.» Dissi. «Ho solo bisogno che la situazione con Ingrid sia risolta, così posso assumerla. Devo vivere da sola - o meglio, con il mio migliore amico - devo crescere.» Aggiunsi.

«D'accordo.» Rispose lei, riluttante. «Questa sera parlerò con tuo padre e prossimamente potrai assumere Ingrid, se è quello che vuoi.»

Annuii senza dire nulla, troppo impegnata a mettere in valigia tutti i vestiti di Emma. Ne avevo davvero abbastanza di tutto quello che stava succedendo. Matthew era stato un padre decente solo per le prime due settimane, poi si era completamente estraniato e non aveva mai più preso in braccio Emma.

Avevo ceduto alla sua richiesta proprio per permettere che mia figlia crescesse accanto a suo padre, ma visto il modo in cui si stava comportando ultimamente Matthew era inutile che io rimanessi in quella casa. Emma sarebbe solo cresciuta in un ambiente malsano in quel modo. E quella era l'ultima cosa che volevo che succedesse.
***
Quando mi presentai a casa di Louis, alle cinque di quel martedì pomeriggio, non ci fu nemmeno bisogno di parlare. Il mio migliore amico lanciò un'occhiata nella direzione delle valigie - che l'autista di mia madre mi aveva aiutata a trasportare e a portare su dalle scale, mentre io tenevo la culla di Emma - mi abbracciò e aprì la porta per farmi entrare.

«Dammi pure la culla di Emma, la sistemo nella sua camera.» Disse, prima di sparire in corridoio con mia figlia e uno dei due baby monitor.

Al suo posto, qualche minuto dopo, comparvero Niall e Harry, che cominciarono a portare le valigie e gli scatoloni con tutte le cose di Emma in casa.

«Ehi, cugina!» Mi salutò Niall, dandomi un amichevole pugno sulla spalla. «Non ha funzionato con Matt, eh?» Mi chiese poco dopo. Poi arrossì. «Forse non era la domanda adatta.»

«Non preoccuparti.» Lo rassicurai. «Comunque no, non ha funzionato. La paternità non l'ha cambiato. O meglio, forse dovrei dire che l'ha cambiato fin troppo. È diventato stronzo.» Risposi, evitando di guardare Harry.

Non avevamo parlato seriamente per almeno quattro mesi, dopo quel bacio mozzafiato a Brighton. Non avevo nemmeno idea di cosa stesse succedendo nella sua vita. Aveva trovato una nuova ragazza? Oppure ne aveva avuto abbastanza di me e del mio costante dramma e aveva giurato a se stesso di non uscire più con nessuna?

«Queste vanno nella tua camera?» Mi domandò il ragazzo, risvegliandomi dai miei pensieri e spaventandomi anche un po'.

«Sì.» Risposi. Lo vidi prendere due valigie pesanti e decisi di aiutarlo, sollevandone una terza - quella più leggera - e seguendolo nella mia camera a casa di Louis.

Rimanemmo in silenzio per tutto il corridoio e, una volta arrivati nella stanza, mi fermai vicino al mio letto.

«Come... Com'è la vita con Emma?» Mi domandò il ragazzo dopo qualche minuto, voltandosi per guardarmi. Quella era la prima volta che Harry ed io ci scambiavamo più di due frasi da quando ci eravamo baciati.

«Caotica.» Risposi, sospirando. «In questo periodo ha le coliche e faccio davvero fatica a farla addormentare. E più lei sta male, più vado in panico e mi viene da piangere, perché non so cosa fare.» Aggiunsi. «Avere un figlio è una sensazione assurda. Questo piccolo esserino dipende completamente da te, ma non sa parlare e non sa esprimersi, quindi devi cercare di capire quello di cui ha bisogno ed è così difficile, Harry... sono esausta.» Conclusi, abbassando lo sguardo.

«Secondo me stai facendo un ottimo lavoro.» Cercò di rassicurarmi lui, rivolgendomi un sorrisetto obliquo.

E quello fu tutto quello che mi servì per decidere di fare qualcosa di potenzialmente molto stupido. Chiusi la porta alle mie spalle e lo baciai.

Ero stanca di sentirmi un fallimento, di sentirmi come se fossi solo un peso nella vita di Matthew - e probabilmente di tutti in generale - e avevo voglia di sentirmi vicina a lui, di sentire di nuovo le sue labbra sulle mie, le sue mani sui miei fianchi, sulla mia schiena...

«Freya...» Mormorò lui, allontanandosi leggermente e guardandomi con gli occhi sgranati.

«Harry, dimmi che hai bisogno di me.» Dissi. Sentivo di avere le guance arrossate, perché erano più calde e sapevo di avere un'espressione disperata, ma non potevo farci nulla.

Il ragazzo socchiuse le labbra e si schiarì la gola, probabilmente per rispondermi che non aveva bisogno di me, che ero pazza e che non ci pensava nemmeno a venire a letto con me. Cominciai a sentire il panico crescere nella mia mente.

«Ti prego, fai almeno finta. Solo per questa sera.» Ripetei, guardandolo negli occhi. Mi sembrava quasi di vedere la sua battaglia interiore, il leggendario diavoletto sulla spalla che gli diceva di fregarsene di tutto e di farlo, mentre l'angioletto lo pregava di ascoltare la ragione e di lasciarmi lì da sola e scappare a gambe levate.

Harry non rispose per qualche lunghissimo istante, poi mi attirò a sé, appoggiando una mano alla base della mia schiena e ricominciò a baciarmi. Chiusi gli occhi, assaporando le sue labbra e mi lasciai sollevare e trasportare sul letto, dove cercammo di toglierci i vestiti a vicenda senza allontanarci l'uno dall'altra.


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Indovinate chi è finalmente tornata? Sono passati mesi dall'altro capitolo, me ne rendo conto. Purtroppo trovare il tempo di scrivere e pubblicare è stato più difficile del previsto, ma finalmente ce l'ho fatta. Da oggi ricomincerò a postare capitoli tutti i martedì fino alla fine della storia.
Tornando a 'No Control', Emma finalmente è nata e vediamo com'è cambiata la vita di Freya adesso che è arrivata la bambina. Cerca di tornare a vivere con Matthew, ma le cose ovviamente vanno male (non è facile cambiare, giusto?), così torna a vivere con il suo migliore amico e... e succede qualcosa con Harry. E adesso cosa succederà? I due ricominceranno a parlare e decideranno di mettersi insieme? Oppure Harry ha accontentato Freya solo perché la vedeva disperata? Tutte le risposte martedì prossimo!
Grazie a tutti per aver letto e, soprattutto, per la pazienza che avete dimostrato. Prometto che non ve ne pentirete ;)
Un bacione e alla prossima!


No Control || [One Direction]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora