Capitolo XV

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"Li prerisci mossi o lisci?" mi chiese la parrucchiera incominciando a pettinarmi i capelli.
"Mossi" le risposi guardandomi allo specchio.
Meredith era al mio fianco e cercava di aiutarmi a scegliere un taglio adatto, anche se io bocciai tutte le sue idee.
Avrebbe voluto farmeli tagliare sopra le spalle, ma rifiutai l'idea.
Stava parlando di tagliare i miei capelli, i miei lunghi capelli neri che mi contraddistinguevano da tutte le altre.  Neri come le tenebre e scompigliati come la mia personalità inquieta, forse erano l'unica cosa in grado di esprimere i miei sentimenti.
Sentimenti che sembravano quasi rimanere ingarbugliaiti all'interno di quella massa indomabile di capelli e per questo tagliarli avrebbe significato eliminare una parte di me.
"Non voglio cambiarli, vanno benissimo così" tentai a fatica di farmi capire da Meredith.
"Sophie andrai al college, ci vuole un nuovo look" mi incoraggiò.
Mi voltai guardandola in faccia, coperto da strati di trucco e fondotinta riconobbi il vero volto di Meredith, la sua parte più fragile.
La immaginai per qualche secondo in una situazione di estrema drammacitá, distinguevo la sua esile figura all'interno di un vortice di terrore e sofferenza.
"Vanno benissimo così" commentai.
La parrucchiera e Meredith si guardarono sbuffando, ma alla fine riuscii ad avere l'ultima parola.
Dopo la seduta dal parrucchiere andai a provare in anteprima la "meravigliosa" divisa scolastica.
Probabilmente il mio corpo risentiva ancora della droga assunta la sera prima, infatti il mio umore passava da un estremo all'altro.
Non era né bianco e né nero e per questo motivo feci una scenata davanti alla sarta.
"Non voglio questa schifo di divisa, non mi interessa,  per chi mi hanno preso? Non indosserò mai quella merda per sembrare come una di loro!" gridai per la stanza mentre la sarta, una signora anziana, mi stava prendendo le misure per l'orlo.
"Loro chi?" mi rispose la donna.
"Quel branco di deficenti che pensa di distinguersi dalla massa diventano l'uno fotocopia dell'altro, quelli che si sentono così adulti da potersi permettere auto di lusso ma in realtà vivono ancora in casa con paparino.
Hanno bisogno di indossare una divisa per farsi rispettare, hanno bisogno della buona parola della famiglia per riuscire in qualcosa e non sanno nemmeno allacciarsi un paio di scarpe.
Io lá in mezzo non voglio andarci"
"Vedrai che ti piacerà" tentò di incoraggiarmi la sarta.
"Io dico di no, scappo... Me ne vado, parto. Voglio fare qualcosa di diverso, non mi pregherò mai davanti a nessuno!"
Per sbaglio mi  bucó con la punta dell'ago un pezzo di pelle, un pizzico mi pervase tutto il corpo.
"Vuoi fare piano?" protestai a gran voce.
La donna non rispose e continuò impassibile a svolgere il suo lavoro, come se non le avessi detto nulla.
La fissai per qualche secondo, aveva un viso piuttosto paffutello con dei lineamenti ben marcati, i capelli rossicci e spettinati sembravano incorniciare l'amplia fronte ed un paio di occhi castani.
Mi soffermai particolarmente sulle mani, si vedeva chiaramente che erano mani di una lavoratrice insaziabile, conservavano una particolare caratteristica che mostrava i segni del tempo trascorso.
"come si chiama?" le domandai con disinvoltura.
"Mary"rispose imbastendomi il vestito.
"È da molto che lavora come sarta?"
"Un po' di anni" commentò ridacchiando.
"da quanti?" chiesi, prestando attenzione ad ogni singola sua parola.
"Troppi, e tu quanto tempo è che metti il naso in faccende che non ti riguardano?"
"Troppo" le risposi ammutolendomi.
Improvvisamente vibró la tasca della borsa così chiesi alla sarta di passarmi il telefono.
"Path: Domani è il gran giorno, fai a tutti il culo! Mi manchi sorellina xx"
Quando vidi il messaggio probabilmente accenai un mezzo sorriso perché subito la sarta mi riprese.. " È il tuo ragazzo?"
"È mio fratello" conclusi, sorridendo nuovamente.
"Devi volergli proprio bene" continuò.
"Si" sorrisi guardando verso il basso.. "cioè volevo dire che è un tipo tosto, e poi chi sarebbe quella che si fa gli affari degli altri?"
La donna cominciò a ridere "ricordati che anche il frutto più acerbo conserva all'interno di sé stesso una parte più dolce."
La fissai incredula.
"Pensi che una vecchia strampalata non possa fare affermazioni del genere? Sono stata giovane anche io sai, so come ci si sente ad avere in pugno la propria vita ma so anche come ci si sente a ritrovarsi un istante dopo senza aver concluso nulla, senza essere ancora riuscita a realizzare tutti quei sogni che si rincorrevano da giovane. Alla fine ci si accontenta, capendo che se hai vissuto ciò che hai vissuto c'è un motivo e probabilmente quel motivo sei proprio tu"
Notai nostalgia all'interno dei suoi occhi, una nostalgia camuffato da una falsa ironia.
"Ha dei rimpianti?" le domandai.
La donna si levò gli occhiali da vista e, distogliendosi dal lavoro, si sedette sulla sedia accanto al tavolo della cucina.
"Non ho rimpianti, la vita mi ha saputo dare molto, ma vedi alla tua età avevo altre aspettative e una delle mie più grandi delusioni è stata proprio durante quel perido"
"Quale delusione?" commentai rimanendo affascinata dalle sue parole enigmatiche.
"Mi sarebbe piaciuto studiare, andare al college ma la mia famiglia all'epoca era molto povera e Londra era distrutta dai continui bombardamenti della guerra, così mi mandarono a cucire. A quei tempi i figli erano una vera ricchezza per le famiglie povere ed io dovevo impegnarmi per portare denaro in casa. Sai qual'è stata la cosa più dolorosa? Vedere alcune figlie delle famiglie più benestanti che venivano da me a chiedere i vestiti da indossare nelle scuole, le invidiavo così tanto ma alla fine mi sono resa conto di sbagliare. Sono del parere che c'è un motivo se il destino mi ha fatto nascere così, vivere in questo modo e probabilmente mi farà morire in un altro ancora."
Mi sentii in colpa, come al solito.
Il giorno dopo sarei dovuta entrare al college, per tutto il tempo non ho fatto altro che lamentarmi su quanto odiassi questa situazione ed ora questa signora mi viene a dire che il suo più grande sogno sarebbe quello di essere al mio posto?
" Non volevo dire quelle cose che ho detto prima" commentai.
"Non è vero, probabilmente le pensi, altrimenti non le avresti dette ma hai ragione, ognuno deve poter dire quello che pensa liberamente, vuoi una fetta di dolce con una tazza di tè delle cinque?"
"Va bene grazie" le risposi mentre stava mettendo sul fuoco la teiera.
"Così conosci Meredith? È una brava ragazza devi volerle bene" mi disse.
" È la donna di mio padre" affermai con un pizzico di acidità.
"La conosco da quando era piccolina, per questo ti ha portato da me a sistemare la divisa. Ha bisogno di affetto anche lei!"
"Ne ha avuto fin troppo"
" Meredith ama tuo padre, me l'ha detto tante volte ed è anche felice di averti qui con lei"
"Le racconta ogni cosa?"
" So più di quanto tu possa immaginare di tutti"
La discussione venne interrotta bruscamente dal suono insistente del campanello, ecco che entrò Meredith nella stanza.





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