Capitolo 34

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Eravamo in ospedale ormai da due giorni. Era da due giorni che non dormivo e non tornavo a casa, era da due infiniti giorni che attaccavo alle chiamate di Cla e di Giulia. Era da due giorni che aspettavo che mio padre si riprendesse. Ma i segnali erano chiari. I medici uscirono dalla stanza di mio padre e ci vennero incontro.
"Signora" si rivolsero a mia madre "condoglianze" mia mamma strinse la mano al medico e si sedette su quella poltrona che ormai da troppo tempo conosceva. I suoi occhi si riempirono di lacrime, i miei fecero ugualmente e ci trovammo abbracciate in quella fredda mattina di marzo. Sentivo i macchinari dell'ospedale da quel corridoio cosi vuoto, quelle poltroncine che ci avevano accolto con speranza due giorni prima e che avremmo lasciato ora con disperazione.
Mia madre si alzò e andò contro la porta della stanza dove era mio padre e urlò. Si accasciò per terra e si prese il viso nelle mani. Quei muri grigi completavano la tristezza della scena.
Chiamai Stefano. Ci venne a prendere in ospedale. Ma non volevo lasciare quel corridoio. Anche se era stato al centro del dolore in quel momento era l'unico luogo che era in comune con papà. Non ero riuscita a salutarlo nel modo giusto. Non ero riuscita a dirgli davvero addio. Il nostro ultimo incontro era stato la sera prima, lui non era realmente cosciente però, non era realmente lui. L'ultima volta che gli avevo parlato era stato tre giorni prima, eravamo in sala io studiavo e lui era sdraiato sul divano a guardare la tv. Era partita la canzone dei miei genitori e allora iniziarono a ballare. Piangevo nel libri e ridevo perché non volevi farmi vedere triste.
"Elena non ridere dei tuoi vecchi genitori"
Risi ancora più forte per nascondere il pianto e mi chiusi in camera a finire di studiare. Venne poi a darmi la buonanotte. Forse sapeva che era una delle ultime volte che poteva darmela.

Dovetti lasciare il corridoio mente ero persa in quei ricordi che mi facevano tremare.
Con forza Stefano mi trascinò via dopo aver convinto mamma a salire in macchina.

Claudio non era ancora tornato da quelle infinite settimane. Avevo bisogno di lui in quel momento. Lo chiamai per sentire la sua voce. Per ascoltare i suoi respiri.
"Ohi piccola" mi rispose. E quel 'piccola' mi sembro la parola più grande e rassicurante dell'universo.

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