_Chapter six_Inferno.

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Tre mesi umani dopo...

"Aron," pronunciò il nome del giovane in un sussurro mentre erano distesi supini su un prato della reggia. Da fuori, quest'ultima sembrava ancora più maestosa e misteriosa. Non sembrava il luogo di tortura nel quale aveva vissuto. Conservava un'aria antica, a tratti gotica. Il palazzo aveva una forma che ricordava i templi greci, quelli di ordine dorico. Esso, infatti, non poggiava direttamente sul terreno ma su di un crepidoma in pietra (un massiccio basamento costruito da tre o più gradini con la funzione di sopraelevare l'edificio) separando simbolicamente la residenza del Diavolo dal terreno. La parte superiore del crepidoma, ovvero lo stilobate, costituiva il piano orizzontale sul quale poggiavano le varie colonne della residenza. Il fusto dei pilastri era interamente rastremato verso l'alto e scanalato. In cima al fusto si presentava il capitello, che era il vero e proprio coronamento delle colonne, con un catino circolare dal profilo convesso e sopra di esso un parallelepipedo molto schiacciato costituiva la trabeazione. L'architrave collegava le varie colonne ed era ornato di metope e triglifi. Il tetto era decorato con colori spenti. Acroteri, rappresentanti gobbi e animali selvaggi dalla bocca spalancata, stendevano il proprio sguardo verso l'Infinito, in un modo che inquietava l'anima di Liniæ.

"Ditemi," Aron si girò verso di lei, poggiando il fianco sinistro al suolo.

"Niente," rispose tranquilla.

"Aron," lo richiamò.

"Mhmm," mugugnò lui osservandola.

"Siete un demone?" domandò, pur conoscendo la risposta.

"Per metà," rispose, osservando un punto indistinto alle spalle di Liniæ.

"Perché non siete crudele come loro?" chiese staccando fili d'erba e attorcigliandoli fra le dita fino a spezzarli.

"I demoni non sono crudeli. Gli umani ci vedono così. Dipende da quanto è profonda la vostra visione di crudeltà. Con quale criterio sapete se un essere è crudele o no?" le domandò sfoderando un sorriso appena accennato.

"Se qualcuno compie buone azioni è buono," affermò ovvia.

"No. Quanto siete ingenua. Molte volte chi compie buone azioni è il più crudele di tutti," le raccontò.

"Come Dio?"

La giornata era serena. I fiori nascevano, sbocciavano, cambiavano tonalità di colore e poi appassivano, per poi riiniziare in fretta quel loro ciclo perenne.

"Dio?" Lui corrucciò la fronte perplesso.

"Sì. Lui poteva evitare il male. Lui poteva ma non l'ha fatto. Poteva fermare il mio male. Poteva farci continuare a vivere nel paradiso di cui parla tanto Neapolis," spiegò.

"Dio è come un generale. Ordina, spiega e addestra a fare una determinata cosa, ma non tutti seguono i suoi insegnamenti; per questo viene definito Onnipotente, poiché lui risiede sia nel male che nel bene e porta armonia fra i due."

"Dio poteva fermare Lucifero. Perché non è intervenuto?"

"Penso sia perché noi abbiamo bisogno del male come del bene. Guardate il cielo rosso e le sue sfumature," puntò l'indice al cielo "Quanti ne conoscete di cieli?"

"Uno," rispose sincera.

"Ha senso chiamarlo Cielo Numero Uno, se ne conoscete uno soltanto? Ha senso fare distinzioni se conoscete solo questo?"

"No."

"A questo serve il male: a riconoscere l'esistenza del bene. Nel paradiso, di cui parlava tua madre, non penso che vorrei vivere. Che senso ha una vita con fiori, prati, amore e libertà, se non ne sapete il significato?" le domandò.

L'attrazione degli Inferi Winner#Wattys2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora