_Chapter seventeen _

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Oramai le lacrime avevano indurito la pelle e gli occhi si erano notevolmente gonfiati. Sfregava il dorso della mano nelle cavità oculari provando ad asciugare i resti del pianto. Come poteva lei che viveva fra il bene essere tanto triste? Bene e felicità non erano sinonimi. Il dolore al petto si insidiava e irradiava nel corpo. Per la prima volta si era sentita in quel modo: esposta, debole. L'amore del Signore l'aveva fatta sentire beata in paradiso ma quello era un luogo neutro, l'amore del Signore non arrivava e la cattiveria del Re degli Inferi era nascosta. Con quale strano sortilegio aveva accettato? Lei, figlia di Dio, era con tutto ciò che Dio non era poiché la volontà di Dio non porterà mai dove la grazia di Dio non protegga.

Il Principe pensò quanto fosse patetico lo scenario presentato. Esseri inferiori, senza nessuna barriera che si lasciavano ingannare e tramortire in silenzio. Non trovava nessun divertimento a occuparsi di quella ragazza. Era carina ma aveva un corpo mascholino e il collo era molto alto, le curve non erano espresse a dovere. Il viso era tondo e pieno nonostante la corporatura magra. Sedurre quell'essere per lui voleva dire aprire le porte del suicidio. Quante demoni aveva a disposizione? Tra non molto avrebbe sposato Mejana, una demone superiore: era bella, affascinante e carismatica; le forme erano prosperose e morbidi, niente a vedere con il busto infantile dell'angelo. Era stato il carattere forte e tenace a stupirlo, quella demone era indistruttibile e mentre uccideva lo faceva con sensualità. Il viso era grazioso e ogni punto del corpo era posto in senso armonico. Era la regina perfetta, ed era orgoglioso della sua scelta.
Loaniah continuava a tenere lo sguardo basso e rimuginare sul successo. Luxis non si era adirato per i disegni così rosei, la rabbia si presenteva ogni volta che l'angelo parlava. Perché doveva passare del tempo con esseri inferiori? Non vedeva l'ora si sbarazzarsi di quella che aveva etichettato come fontana.
Doveva solo farla entrare dentro gli Inferi. Avrebbe potuto chiederglielo ma non avrebbe accettato. Doveva farla peccare. Quale luogo meglio per i peccati se nonché la Terra? Il Principe si chiedeva se era possibile. Lui, il sommo Principe, era seduto con un angelo addolorato. Continuava a disprezzarla. Nessuno, pensò, dovrebbe mostrarsi così. Il dolore andava affrontato non fatto trapelare con le lacrime. E quello per lui non era che un atto di esibizionismo puro. Forse piangendo voleva ottenere la sua compassione o era così stupida da essersi legata ad un oggetto? Perché scappava? Era ovvio che ella scappava dal luogo di appartenenza. Non era un angelo, e il demone in lei non era sveglio. Era così umana, così ripetitiva: arrossamenti, pianti, e balbetti.

Le raffiche del vento stavano aumentando battendosi contro i rami degli alberi che si inchinavano al suo cospetto, quando il Principe sentì nella schiena uno sguardo indesiderato a fermare le sue congetture.

Qualcuno stava osservando tutto con estrema cautela. Qualcuno esperto nel mimetizzarsi come lo erano gli angeli a nascondere i propri sentimenti, loro neanche ci provavano.

Una spia dei pennuti? Che forse quella caprara di una ragazza avesse portato amici loschi?

Per le frecce del sagittario! Come poteva non pensarci? Era stato troppo facile catturare quella ragazza. Ella sicuramente aveva preparato un'imboscata. No, non era così astuta. Gabriel! Era stato l'Arcangelo. Il messaggero di Dio! Luxis storse la bocca a quel pensiero.

Non vi era l'odore nauseante della purezza angelica. No, vi era una presenza oscura. Gli angeli mai avrebbero chiesto aiuto ai demoni, non per orgoglio ma per contenere la propria purezza calpestata dalla nascita. Magari vi erano altre spie nel regno e gli angeli avevano udito il piano.

E se fosse stata una sommossa dei demoni? Chi era a conoscenza del piano? I consiglieri! No, erano con loro dall'inizio, non si sarebbero ribellati.

Il Principe continuò a pensare e a richiamare alla mente un possibile sospettato.
Magari colui che osservava si era trovato in quel punto e la smania dell'origliare l'avevano portato là. In ogni caso andava eliminato.

Gli occhi del Principe iniziarono a diventare scuri, neri come la notte, neri come il nulla. Pure il bulbo oculare aveva perso il luccichio di cui era caratterizzato.

La luce del sole non elogiava più il suo bel aspetto ma arretrava spaventata come se ne fosse stata graffiata. Gli abiti colorati non coprivano la perfezione ma la paura. La paura stessa, il male.

Loaniah spaventata accorciò le distanze con una possibile via di fuga e iniziò a mormorare parole piene di scuse senza senso. Chiedeva scusa al Padre, chiedeva scusa alla Madre, chiedeva scusa al Figlio e allo Spirito Santo.

Il territorio rabbrividì al suo passo. La polvere si alzava e come una bandierina faceva il tiffo per chi vinceva e si sapeva, eccome se si sapeva il vincitore di una sfida aggiudicata all'asta della vita.

Vittima.

Il Principe non vedeva più un paesaggio sereno e neutro ma un campo di battaglia.

Non vedeva più un angelo ma l'ennesimo scarto.

Non vedeva più un demone che osserva ma una vittima che richiamava il suo essere.

Veloce, silenzioso, e scaltro.

Si chinò su una gamba e prese l'angelo per il braccio mentre lei lo seguiva spaventata. Loaniah non sapeva come reagire. Doveva ribellarsi? Cosa avrebbe potuto fare? Lui era forte, lei piccola e indifesa.

"Andate dietro quella quercia e chiudete gli occhi" Lei lo ascoltò e velocemente corse verso la quercia. Estrattiva e selettiva la natura si muoveva facendo cadere i propri capelli e piegando gli stelli dei pochi fiori presenti.
I sensi erano allerta, sentiva gli animali correre, dormire.
Udiva i passi di qualcuno, non erano quelli delicati del Principe.

Divorava l'odore selvatico che correva verso occidente.

Correva con un unica meta: la salvezza.

La mente era troppo scompussolata per chiedersi cosa stava accadendo. Aveva visto gli occhi di Luxis, aveva percepito l'aurora del Nord nascondersi davanti alla sua bellezza. Aveva visto l' illegalità del suono della voce. Aveva provato paura nell'osservarlo ma la paura l'aveva portato a fidarsi di lui. L'aveva visto come una salvezza.
La bellezza di lui, era stato il suo fascino esteriore ad attrarla.

Mentre cerva un riparo, la mente si porse una domanda: Amo il Principe?

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Ama il Principe?
È sicuro che io amo Morgue di " il mio dolce peccato". Come non si può amare?

Appena, spinti dalla curiosità, vedrete la sua foto sappiate, O stolti, che lui è mio * motosega* ed * accende motosega* è felicemente occupato *taglia legna*.

Mybook2000.

L'attrazione degli Inferi Winner#Wattys2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora