_Chapter eleven_Inferno.

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Liniæ si svegliò dopo poche ore sopra un pavimento freddo. Era completamente distesa ai piedi del tavolo. La sala era vuota e ancora apparecchiata. Si alzò ma un laccietto del grembiule, visto che era scivolato fino alle sottili caviglie, la fece scivolare e sbattere la testa contro un spigolo vivo della tavola. Altro dolore.
Inferno dentro ed Inferno fuori.

Il generale Robert II, dopo che ella era svenuta, l'aveva lasciata ricadere al proprio destino così come il resto del popolo virtuoso.
Lo spigolo aveva incontrato la tempia sinistra. Altro rosso. Altro sangue. Rivolini caldi di sangue uscivano insicuri dalla ferita depositandosi nel viso, oppure continuavano la loro corsa lungo il corpo come se ne volessero delineare i margini.

A passi lenti raggiunse l'uscita della sala camminando alla ceca. I corridoi, creati da Dedalo, la confondevano, peraltro il mal di testa la portò in un vicolo buio con una sola stanza. Ignara dell'ignoto dopo la porta, entrò.

La stanza in penombra racchiudeva una culla velata dal torpore del promontorio. Essa era rettangolare e molto semplice, armonica e soave. Non v'erano mobili. Pareti nude e una culla. Una culla in legno liscio che dondolava ad un ritmo immaginario. Liniæ entrò dentro socchiudendo la porta che emise un boato.

Si sentirono dei lamenti, che divennero singhiozzi e poi vagiti di bambino. Una scena macabra introdotta da un'atmosfera mistica.

Leggermente spaventata arretrò finché non sbattette contro la porta. I pianti si fecero maggiori, chechè divennero urla, strilla. A passi calcolati, con l'infrenabile pensiero di scappare, raggiunse i piedi della culla. Appoggiò una mano su di essa, dondolava leggermente. Dentro vi era un bambino di bell' aspetto: le guance erano paffute, dipinte di un roseo colore che seguì tutto il volto ma si fermò quando il bimbo notò la ragazza che lo osservava curiosa. Il tesoro allungò le manine così fragili verso il volto sanguinante di Liniæ e, quando essa provò a sfiorare con il dito indice il nasino del neonato, esso fece spuntare dei sottili cannini che lacerarono leggermente la pelle creando un foro da cui si nutrì. Prese il dito di Liniæ, osservante sconcertata e spaventata, con le dita fini e lo portò verso le labbra affamate e ingorde.

La fanciulla tentò di liberarsi dalla stretta ma non ci riuscì.

Una radura di sangue si accumulò dove il bimbo stava affondando il suo essere, la sua natura da demone; le provocò un prurito insostenibile con la voglia ferrosa di grattarsi quel punto. Il sangue stava scomparendo alla vista creando una zona, di forma ovale, più chiara del resto nell'epidermide; sembrava che l'intero apparato tegumentario ne soffrisse amaramente. Più passava il tempo, più la temperatura corporea scendeva mostrando che il corpo non riusciva a trattenere il calore presente. Se si stava attenti si poteva notare l'afflusso di sangue attraverso i capillari.

Liniæ provò a togliere delicatamente il proprio dito, sperando che il bambino non aumentasse la presa. Ritrarre la mano bruscamente comportava a far strillare, di melodie da una ottava, la voce piccola ma grossa.
Se qualche malcapitato udisse tale lamento?, penserebbero di Liniæ una furfantella.

Perché si era recata in quel pasticcio neanche lei lo sapeva.

Riposò lo sguardo al viso caritatevole del bambino.

La porta si aprì di colpo e una voce soffusa ma maschile urlò "cosa fate, insipida serpe, con mio figlio?"

"Ecco..io..." Cosa poteva dire? Non sapeva che cosa stava facendo. Era lì per una serie di cause. Era lì per scherzo del fato, era lì poiché le cause portavano conseguenze.

" Andatevene. Perché siete ancora qua?" Si avvicinò a Liniæ e solo allora notò l'azione che stava teneramente svolgendo suo figlio.

"Perché lo state nutrendo col vostro putrido sangue?" si arrabbiò maggiormente.

L'attrazione degli Inferi Winner#Wattys2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora