_Chapter eight_Inferno.

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Liniæ chiuse i palmi delle mani e poi li riaprì. Una forza d'animo comunemente innaturale per un’umana si stava destando in lei. Gli occhi neri le divennero cupi e i capelli le tornarono composti, non più scossi dalla brezza mattutina. Solo la divisa che ancora indossava veniva occasionalmente gonfiata dal vento, in modo che il tessuto le scoprisse la pelle nuda delle gambe.

Lei e il generale erano ormai arrivati di fronte alla reggia del sovrano degli Inferi e lui l'aveva finalmente fatta scendere dalla propria spalla. Lo smoking nero che indossava l'adone era tutto stropicciato, pieno di pieghette, la cravatta (annodata sulla camicia celeste) era ripiegata su se stessa, i capelli erano ancor più spettinati; eppure, quel viso conservava una perfezione abominevole.

"Voi!" esordì Liniæ, puntando l’indice verso di lui.

"Io" rispose calmo.

"Generale Robert II!"

"Sì, sono io"

"Come osate?!"

"Io? Osare? Non ho fatto assolutamente niente" ribatté il demone con sufficienza.

"Mi avete comprata! Ma per chi mi avete preso?! Siete solo un troglodita, non lavorerò per voi!"
Liniæ abbandonò per un attimo il proprio autocontrollo e lasciò che una mano si abbattesse con violenza sulla guancia del giovane comandante. Egli, però, non reagì, anzi: assunse un’espressione piuttosto divertita.

Per Liniæ gli eventi degli ultimi, frenetici mesi si erano susseguiti così rapidamente: prima l'allontanamento da Safar, poi la tortura ed infine la nuova e beata condizione di servitù.

Se ci pensava, si rendeva conto di aver vissuto quei cambiamenti con una superficialità esagerata, la quale doveva nascondere un animo profondamente turbato.

"State prendendo troppe confidenze. Non osate mai più" la ammonì Robert minaccioso. A dispetto di quanto sembrava, non si stava divertendo.

"Io? Osare? Non ho fatto assolutamente niente!" lo scimmiottò lei.

Il demone non poteva sfigurare davanti agli invisibili occhi silenziosi che lo scrutavano dall’interno della reggia.

Afferrò con forza la chioma della giovane e la trascinò all’interno dell’edificio, per corridoi sulle cui pareti erano incisi bassorilievi in alabastro calcareo rappresentanti leoni morenti, trafitti dalle frecce infuocate dei Demoni Superiori. Le bestie erano accucciate mentre agonizzavano vomitando sangue dalla bocca. Il crudo realismo delle opere e i loro colori freddi avevano un forte impatto su chi si lasciava catturare da tali capolavori, i quali avevano l’ovvio scopo di evidenziare la supremazia del Re dei Re anche sulla natura.
I talloni scalzi di Liniæ provavano il terreno mentre provava ad allontanare le mani di lui, strette nei capelli lunghi e neri. Urlava, si agitava con corpo costretto a terra, trascinata dalla furia meschina del forte demone.
Si fermarono poco distanti da una porta rivolta verso Oriente.

Quando il generale smise di strattonarla, la giovane si passò con delicatezza le piccole dita sul cuoio capelluto, provando a togliersi il fastidio doloroso. Il forte mal di testa, il torcicollo, la sensazione di sconfitta e umiliazione le instillarono una calma tale che le permise di osservare la magnificenza della stanza.
Era diversa dalle altre, di una bellezza visibile a un cieco.
Gli elementi più impressionanti di quella porzione dell'edificio demoniaco erano le ampie volute ogivali costolonate e le luminose vetrate, che rappresentavano il Figlio Ribelle in tutta la sua magnificenza, portavano incise parole sacre dimenticate. La stanza si componeva di un ampio corpo longitudinale diviso in tre navate tramite due file di classiche colonne ioniche lisce e architravate. Sopra di esse, la navata centrale era forata da una finestra che portava ad una stanza più piccola, presso la quale erano collocate statue dedicate al Re del Male affiancate da lesene corinzie in asse con le colonne sottostanti.
Sin dal primo sguardo, quell'opera d'arte riportava l'osservatore al classicismo. La vera e propria attrazione, però, era colui che occupava la stanza. Sull'unico tavolo, realizzato con piccole pietre di forme svariate e dalle tonalità ocra, era seduto con i piedi a penzoloni, sopra un pavimento a mosaico, una figura dalle ali possenti, sulle cui punte tremolavano deboli lumi.

L'attrazione degli Inferi Winner#Wattys2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora