_Chapther four_Inferno.

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[Nella foto Safar]

"Sono morta? È forse questa la libertà? È così buio. Non avendo più un corpo, la mia anima andrà in uno dei Gironi oppure diventerò un mostro? Esistono reincarnazione e redenzione? Non vedo niente. Il buio mi circonda. Sono morta senza aver vissuto. Avrò ancora la capacità di amare? Starà bene Safar? Il mio Safar. Non lo vedrò più. Sarebbe stato sufficiente umiliarmi per rivederlo e a me sarebbe bastato qualche secondo di più con lui. Qualche secondo in più. Sciocca. Sono solo una sciocca. Avrei potuto abbassare lo sguardo e chiudere la bocca, invece sono stata impulsiva. Ho risposto a modo. Cosa ho guadagnato? Cosa me ne faccio della dignità ora che non ho più un corpo? Safar, ti dimenticherai di me? Dopo che ho perso tutto, mi rendo conto di non avere niente. Dopo che ho giocato tutto, mi rendo conto che avevo tanto da perdere. Sto andando in paradiso? Safar, ovunque tu sia, puoi sentire quello che provo per te? Puoi sentirlo? Il mio corpo non esiste più, ma il mio cuore batte ancora per te. Ho esalato il mio ultimo respiro pensando a te. È stato doloroso, ma con il tuo sorriso vivido nella mia mente è stato sopportabile.
Se puoi sentirmi, voglio che tu sappia quanto segue. Non sono mai riuscita a dirtelo, non sono mai riuscita a fartelo capire. Ascolta bene Safar. Non dimenticartene. Non dimenticarmi.
Per me sei stato...
Sei stato un amico. L'unico in realtà, con cui ho versato innumerevoli lacrime di dolore, ma con la gioia di non essere sola.
Sei stato un padre, per il quale ho vissuto una morte alleviata da caldo e dolce affetto famigliare.
Sei stato un fratello, che mi ha insegnato il significato di condivisione e che fratelli non si nasce, ma si scopre di essere.
Sei stato un amante. L'amante. Laddove mi era negato di amare, ho trovato l'amore e ne sono stata drogata, assuefatta. Laddove regnava il buio ho scoperto la luce. Quella eri tu. Ora ho capito. Stavo cercando il sole, stavo cercando il paradiso, il mio lieto fine; però ho compreso che non avevo bisogno di cercare una casa. Ovunque io fossi, ovunque io sia e ovunque sarò, tu fosti, sei e sempre sarai la mia unica casa. Casa non è quella costruzione di cui mi parlavi, bensì un posto dove possiamo essere completamente noi stessi. Per me è la miniera, non perché vi nacqui ma perché v’ero insieme te. Perché solo con te sono me stessa. Hai già preso una parte di me ed ora ti regalo l'altra. Custodiscila. Custodiscila assieme a questo mio segreto. Non dirlo a nessuno, non sussurrarlo nemmeno. Non voglio che vada via. Ti ricordi quando eravamo bambini? Quante cose abbiamo sognato? Te le ricordi? Mi avevi detto che volevo troppo e avevi ragione. Non avevo bisogno della luce per brillare, eppure la bramavo.
Non avevo bisogno di vivere sulla Terra, anche se lo desideravo.
Non avevo bisogno di peccaminosi piaceri per la gola, ma fremevo al pensiero di nutrirmi delle migliori prelibatezze.
Non avevo bisogno di vestiti fini e lussuosi, però mi piaceva figurarmeli indosso.
Avevo bisogno solo di te, eppure volevo altro. Se fossi ancora lì con te, ti direi tutto. Amore mio. Ti amo. Vorrei averti prestato ascolto e non aver provocato il demone.
Continuo a non vedere niente. Dopotutto, sono morta nell'Inferno. Forse sarò costretta a vagare nel buio dei miei pensieri per l'eternità. Continuo a sostenere di essere morta, però io non ho assaporato la vita. Cosa c'è dopo la morte? Insulso. Patetico. Si è sempre bramato sapere cosa ci sia dopo la vita. Abbiamo sbagliato domanda, invece avremmo dovuto chiederci: cosa c'è dopo la morte? Forse questo: nulla. Eppure, cosa c'è nel nulla? Tutto. Forse ora faccio parte del nulla. Il mio tutto eri tu. Non voglio essere morta senza averti detto quello che provo. Non voglio. Continuo a non volere. Ti prego. Ascoltami. Ti prego. Sentimi. Ti prego. Sappilo. Ti prego. Guarda il sole per tutt'e due. Vivi la morte anche per me. Unico amore mio. Mi avevi detto che il mio nome significava “sole” e il tuo “vuoto”. Avevi ragione, ma hai tralasciato un particolare determinante: proprio te, Safar. Se ti ho illumino, altrimenti c'è il vuoto.
Qualcosa di bagnato mi attraversa l'anima. Sono forse lacrime queste che sento? Addio, amore mio. Non ti dico arrivederci, perché non voglio rivederti. Non fraintendere: l'unico modo per incontrarci, infatti, implicherebbe che tu mi raggiunga. Ed io voglio che tu tocchi l'erba e annusi i fiori. Voglio che ti riscaldi al sole; fino ad abbronzarti, si dice così? Farai battere tanti cuori. Amerai qualcun'altra. Non mi offenderò. Ti capirò, come tu hai sempre capito me. Lo accetterò. Lo spero, almeno. Non voglio fare supposizioni. Pensami per qualche secondo prima di dormire e prima di svegliarti. Pensami prima di baciare la tua futura metà. Pensami quando guarderai tua figlia dai tuoi stessi occhi verdi. Sono cresciuta nel bruciore dell'Inferno, sopporterò le ustioni della gelosia. Qualcosa mi chiama. Devo andare, ma in qualche modo resterò sempre là con te."
Questo pensò Liniæ, rinchiusa nel limbo dei propri pensieri.

La donna continuava a bagnarle la fronte sudata. La ragazza non si muoveva. Le ferite erano state medicate con diversi impacchi di malva e altre erbe curative, grazie alle quali le emorragie si erano arrestate. Giaceva su un letto di fortuna creato con vecchi tendaggi posti sopra una base pietrosa. Dormiva da tanto, secondo la guaritrice era in coma.
Avrebbe dovuto aspettare.

La stanza in cui le due si trovavano apparteneva alla servitù ed aveva un solo spiraglio che consentiva il passaggio delle particelle Kowery, la luce rossa. Quello era l’unico metodo efficace per generare chiarore. Le pareti erano interamente blu scuro, tendenti al nero, e la luce vermiglia le rendeva più inquietanti di quanto fossero. Dodici letti di paglia, più quello improvvisato per Liniæ, erano disposti in differenti punti della stanza. Uno scaffale conteneva quattro vesti per ognuno di loro e un piccolo bagno si nascondeva dietro la donna che osservava Liniæ e ne sperava il risveglio. Il pavimento era in rame puro.

Quando fu stanca di aspettare, la cameriera arraffò una divisa da lavoro e si diresse al gabinetto con l’intento di cambiarsi. Aveva deciso di fingersi malata per accudire la giovane martoriata, ma ora avrebbe dovuto prestarci attenzione e, prima del ritorno del resto della servitù, trovare un modo per nasconderla.

"Do...ve sono?" chiese Liniæ, appena risvegliatasi da un sogno dimenticato.
Non ricordava niente. Percepiva qualcosa di soffice sotto di sé, che le donava una piacevole sensazione mai provata prima. Non conosceva la morbidezza di un letto, abituata com'era ad appisolarsi dove capitava nella miniera, né aveva mai assaporato altro che non fosse la poltiglia dispensata da guardiani più ricurvi degli altri. La pelle di quelli era di un colore che Safar definiva giallo, ma che per lei era solo un marrone più chiaro rispetto a quello cui era solita. Nella stanza in cui si trovava ora, c’era del grigio, che agli occhi di lei sembrava una sfumatura di nero causata dalla polvere, e gli sgargianti colori dei “souvenir” che i domestici a volte rubavano dalle camere dei cortigiani, colori sconosciuti alla giovane.
Era forse quello, il Paradiso?

"Oh, cara! Vi siete svegliata! Che Satana sia lodato! Che Satana sia lodato!" gongolò entusiasta la donna appena si accorse che la sconosciuta si era rianimata.
"Salve," salutò con difficoltà Liniæ la donna bassa e paffuta. Il dolore alla mascella era prepotente. I capelli di lei erano di un biondo cenere che la giovane trovò bellissimo. E gli occhi! Oh, gli occhi! Erano verdi! Safar!

"Forse costei è una parente di Safar, forse lo conosce o, per dirla meglio, forse è qui per salvarci," pensò la ragazza, riaccendendo il lume di quella speranza che era stata spenta a fatica.

"Come vi chiamate?" le chiese soave la signora.

Liniæ ebbe bisogno di tempo per assimilare la domanda e ne impiegò ancora di più per comprenderla davvero. Il suo cervello era in balia della più totale confusione, arrovellato da innumerevoli quesiti senza risposta. L'unico pensiero che riuscì ad esternare fu il proprio nome. Si mise a sedere al centro del giaciglio e fece scivolar le gambe di fuori. Non riuscì, però ad alzarsi.

All’improvviso, si sentì disorientata, spaesata e una nuova depressione si fece strada nel suo animo. Voleva solo dormire.

L'attrazione degli Inferi Winner#Wattys2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora