Dicevano che non esisteva male peggiore del vivere sentendosi morti dentro, non aveva mai saputo se fosse vero. Non aveva mai nemmeno provato ad immaginare come una persona potesse essere viva ma morta allo stesso tempo.
Eppure ora si ritrovava a fissare il vuoto, troppo immerso nel bianco per allontanare i suoi pensieri. Non stava realmente pensando a qualcosa di preciso, erano attimi della sua vita che gli passavano davanti come se fosse un film muto. Vedeva i sorrisi, le risate e i piccoli gesti di ogni giorno che faceva e che aveva fatto.
Eppure era tutto inutile.
Si sentiva vuoto, triste, in colpa.
Aveva così tanti sentimenti contrastanti e affollati dentro la testa, che non ne usciva fuori.
«Tesoro» una voce delicata lo chiamò, alzò leggermente la testa per vedere sua madre, con i capelli sciolti e in disordine, gli occhi rossi e un sorriso stanco e tirato sulle labbra. Era illuminata dalle luci a neon, ma la vedeva in bianco e nero.
«Hilary ha chiesto se possiamo andarcene» disse, sedendosi accanto al figlio.
«oh» mormorò.
La donna si alzò e strinse la borsa, aspettando che il figlio lo seguisse, ma lui rimase lì, con i gomiti sulle ginocchia, le mani intrecciate e lo sguardo rivolto alla porta azzurra davanti a sé. Gli occhi gli facevano male e si sorprese, credeva di averle esaurite, le lacrime.
«non voglio andarmene» si costrinse a rispondere. La voce roca e il suo volto nella mente.
Era colpa sua.
Era solo ed esclusivamente colpa sua.
Lo sapeva. Lo sapeva che Hilary ora lo odiava, e pensava che infondo anche sua madre lo odiasse. Come biasimarle, ora si odiava anche lui.
La porta azzurra si aprì e Cameron alzò lo sguardo per incontrare gli occhi marroni di Hilary. Si guardarono per qualche minuto prima che Cameron abbassasse lo sguardo.
«vattene» disse Hilary, fredda come il ghiaccio.
Il cuore di Cameron si strinse e non riuscì a staccare lo sguardo dalle piastrelle del corridoio, troppo bianche anche quelle. Tutto troppo bianco.
«mi hai sentito? Non ti voglio vedere qui» singhiozzò la donna, appoggiandosi alla parete. Cameron si alzò per aiutarla ma Hilary alzò una mano «non toccarmi, non avvicinarti»
Non voleva
Sapeva che era la cosa migliore, ma non voleva, dietro quella porta c'era il suo corpo, dietro quella porta c'era lei.
«voglio solo ... vederla»
«non te lo meriti» sputò con disprezzo «è colpa tua, e dei tuoi stupidi amici-»
«non sono miei amici!» replicò, le mani si strinsero in due pugni
«è colpa tua! È colpa tua se ora è lì!» urlò, attirando l'attenzione del personale dell'ospedale, che si avvicinò per allontanarla e calmarla. Cameron la fissò fino a che non svoltò l'angolo con un dottore. Poi il suo sguardo ricadde sulla porta.
Si morse il labbro ed entrò, ignorando sua madre, che gli ripeteva di andarsene.
Entrò e crollò.
Era già entrato in una camera di ospedale, e la prima cosa che aveva visto la prima volta era un lettino con un corpo pallido, ma sveglio.
Tutto quello che ora stava vedendo era un lenzuolo bianco sotto un corpo. Si coprì le labbra con una mano.
È colpa tua se ora è lì!
Le parole di Hilary risuonarono sorde nella stanza, rimbalzando nelle pareti e tornando al suo udito. Si avvicinò e sul comodino accanto al letto c'era una cartella. Le apparecchiature erano spente e non c'era nessun rumore.
Prese la cartella con mani tremanti e l'aprì, costringendosi a leggere più volte quello che c'era scritto. Ma non ci riuscì.
L'unica cosa che comprese, fu l'ultima frase.
Ora e data del decesso: 14 novembre 2015 alle 11:04
Le lacrime iniziarono a scorrere e in quel momento capì come ci si sentiva ad essere vivi ma morti allo stesso tempo. Una sensazione di vuoto gli attanagliò lo stomaco e il cuore. Non sentiva più niente. Guardò il lettino, sfocato dalle lacrime e abbassò il lenzuolo.
Il volto di Grace era pallido e non aveva gli occhiali – che erano stati poggiati accanto alla cartella – gli occhi chiusi e le labbra dischiuse. Sembrava che dormisse quasi. Accarezzò la guancia sinistra, fredda.
Guardò il collo, avevano tolto le tre collane che indossava sempre. I capelli erano sciolti e le incorniciavano il viso perfettamente.
«ti amo» singhiozzò, stringendole la mano «e lo farò sempre» continuò guardando i lineamenti immobili di Grace.
«te lo giuro» mormorò, appoggiando la fronte alla sua spalla.
Il suo corpo aveva ancora una leggera traccia del suo odore.
VE PREGO, LEGGETE
Okay, allora, avevo intenzione di fare due capitoli stralunghi, poi ci ho ripensato. Ho scritto questo capitolo tre volte, prima che mi piacesse abbastanza.
E si, questo è l'ultimo capitolo di Change.
Volevo ringraziarvi per tutto quello che avete fatto per me, questa fanfiction era partita come un gioco, un passatempo. Ora mi dispiace quasi farla finita, perché mi ci ero affezionata tanto.
Un grazie speciale va a Maja, che mi ha supportata in qualsiasi momento e perché c'è sempre stata per me.
Ovviamente un grazie va a tutte le mie alette di pollo.♥
Avevo già in mente un sequel per questa storia, perché molti si chiederanno che fine farà Cameron, Aaron, Maja e il resto dei personaggi, no? Anche se non ve lo chiedete, sappiate che ci sarà un sequel e vi invito a non mettere nel dimenticatoio questa fanfiction, poiché pubblicherò un avviso quando pubblicherò il primo capitolo del sequel
Ancora grazie
vi amo
Mar.♥
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Change || Cameron Dallas. [change's series #1]
Fanfic[ #962 IN FANFICTION #842 IN FANFICTION #710 IN FANFICTION #101 IN FANFICTION ] Cameron Dallas era un ragazzo come tanti, nella scuola che frequentava. Andava bene a scuola e aveva un bella famiglia a casa. Non aveva tanti amici però, poteva conta...