22

179 10 0
                                    

*ROSALIE'S POINT OF VIEW*

Non avevo parole. Era stato semplicemente... magnifico. Vederlo impegnarsi così, vederlo combattere, era semplicemente magnifico.

Durante quella prova non avevo mai prestato attenzione alle mosse di Will. I miei occhi erano stati incollati a Warren. Sapevo che ce l'aveva ancora con me, anche se non ne ero sicura al cento per cento; infatti l'avevo visto che qualche volta guardava nella mia direzione. C'erano gli spalti a scalinata in palestra, e l'area di "combattimento" era circondata da pannelli trasparenti, per evitare che gli altri studenti non in campo si facessero male. Io ero lì, in fondo alle gradinate, insieme a Gwen, Scarlett e Penny. Joe invece era rimasto in cima con Chris, Ashley e altri suoi amici.

Ultimamente Gwen si era interessata a Stronghold, soprattutto dal giorno precedente, in cui lui aveva scoperto di avere la super-forza. Io non capivo questo suo interesse: lo reputavo uno sfigato. E mi era stato antipatico dal primo momento che lo avevo visto.

Gwen, però, mi aveva detto che non le interessava realmente, faceva tutto parte di un piano. Il suo, piano. Non sapevo quali fossero le sue intenzioni, ma avevo solo alzato le spalle senza fare commenti. Non volevo impicciarmi perché non era una cosa che mi riguardava.

Ma ora avevo una missione più urgente, se si poteva definirla così. Dovevo assolutamente parlare con Warren.

Questo pensiero non mi aveva fatta dormire quella notte, come ben si poteva immaginare. Scarlett mi era stata di supporto, ma purtroppo non poteva fare più di tanto per me. Ormai avevo preso la mia decisione.

Quando era finita la prova, tutti gli studenti che erano presenti in palestra avevano applaudito e gridato per congratularsi con gli eroi. Tutti si erano accalcati attorno a Will praticamente ignorando Warren, che si era alzato e se ne era andato verso gli spogliatoi.

Mi diressi da lui. Sapevo che erano gli spogliatoi maschili, cosa che mi imbarazzava un po', ma volevo farlo. Dovevo farlo.

Entrai nella stanza con passo incerto, mentre una vocina codarda nella mia mente mi diceva che forse avrei dovuto tornare indietro. Stavo per girarmi quando Warren alzò lo sguardo su di me.

Cavolo! È come nel primo giorno di scuola. Beh, ormai non ho scampo; devo assolutamente parlargli. Sono qui. Fine. Rimasi a fissarlo senza aprire bocca.

«C'è qualche problema?» mi chiese, alzando un sopracciglio. Oh sì, ce n'erano, eccome...

Non risposi. Lo stavo ancora osservando: sembrava calmo. Almeno mi faciliterà la missione, pensai sarcastica. Mi sentivo come 007. Che stupida che ero.

Ma il problema più grande era un altro: non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso. Aveva solo i pantaloni della tuta. Oddio, sto sognando. No, sono morta e sono in paradiso. Accidenti che fisicaccio!! Vabbè che è figo, ma non pensavo fino a questo punto!!! Ah, adesso svengo.

La causa di tutti i miei casini mentali era l'assenza di una t-shirt o canottiera su di lui, mettendo in bella mostra i suoi pettorali scolpiti sul suo fisico perfetto. Non avrei mai pensato che fosse possibile che esistesse un ragazzo tanto bello su tutta la terra. Forse stavo esagerando, ma per me era così.

«Beh, ecco, vedi, sì, insomma...» stavo cercando di rispondere alla sua domanda. La risposta più adatta sarebbe stata: sai, siccome sei un gran pezzo di figo... pensavo che magari potremmo metterci insieme, no?

Dopo una profonda inalazione di ossigeno nei miei polmoni riuscii a formulare una frase completa e a dire qualcosa di sensato.

«Senti, lo so che non dovrei essere qui e che probabilmente tu non mi vuoi più vedere...» Parlai a testa bassa, attenta a non farmi distrarre dalla visione di lui -il modello da copertina di un magazine patinato- che mi si parava davanti. «Ma volevo chiederti scusa. Non volevo impicciarmi nei tuoi affari. Credevo solo, pensavo che...» A questo punto lo fissai dritto negli occhi. «Potevamo diventare amici. Sì, lo so che lo siamo già, ma ci conosciamo così poco...! Io ci tengo a te, e non volevo ferirti con le parole». Tornai a guardare il pavimento, parlando più a me stessa che a lui. «Tante volte parlo a sproposito. Io parlo, parlo, e magari a volte dico cose che nemmeno penso... Sono un disastro». Stavo per girarmi e andare via, quando lui mi si avvicinò, mi prese una mano e la strinse dolcemente nella sua, calda, costringendomi ad alzare lo sguardo. I miei occhi azzurri ora lucidi si riflettevano nei suoi, scuri e sinceri, che mi facevano sempre sentire bene quando li vedevo.

«Non ti devi scusare di nulla, Rosalie. Anzi, sono io che devo farlo con te e mi dispiace di essermi comportato così, l'altro giorno. Non volevo. Davvero, mi dispiace». Le sue parole erano dolci e scelte con cura, e il suo sguardo intrappolava il mio, per farmi focalizzare tutta l'attenzione su ciò che mi stava dicendo. «Devo ancora imparare a controllare i miei sbalzi d'umore -che ultimamente sono così frequenti, se devo dirla tutta- e immaginavo che dopo ciò che è successo ieri in mensa tu non mi volessi più parlare, che avessi paura di me e volessi tenerti a distanza. Ma a quanto pare mi sbagliavo, e non sai quanto ne sia felice».

Il sorriso che mi rivolse, caldo e sincero, mi fece sciogliere all'istante. Non credevo che lui ci tenesse così tanto a me. «Io...non so cosa dire. Mi hai lasciata completamente senza parole».

Allora rise, non per prendermi in giro, ma dava proprio l'impressione di essersi liberato di un grande peso. Sentii l'impulso di abbracciarlo. Vederlo così, vederlo ridere, felice, mi faceva sentire benissimo con me stessa, come succedeva ogni volta che stavo con lui: mi sentivo completa, come se tutto il mio mondo fosse a posto. Come se fossimo fatti per stare insieme.

Avevo una mezza idea di avvicinarmi a lui per stringerlo a me, tanto ero su di giri, quando Warren disse leggermente in imbarazzo: «Ah, scusa, adesso però ho proprio bisogno di una doccia. Diciamo che non ho esattamente un ottimo profumo».

«Certo» dissi, combattuta fra il perplesso e il deluso. Però mi tornò in mente un episodio della gara che mi aveva lasciata confusa e leggermente preoccupata. «Scusa se te lo chiedo» cominciai, incerta «ma cos'è successo quando Speed ti ha intrappolato nel vortice? Non sono riuscita a capire che ti ha fatto».

Alzò lo sguardo e rimase perplesso. «Sinceramente non lo so neanch'io. Mi è venuto un gran mal di testa e facevo fatica a respirare. Adesso però mi sento un po' meglio».

Mah, secondo me non sembrava molto convinto. «Mmm, dirò due paroline a Speed» dichiarai.

«Tranquilla, non ce n'è bisogno, davvero mi sento meglio» mi rassicurò con un sorriso. Annuii.

Ebbi un'illuminazione, reduce di una lezione di scienze di qualche anno fa. «Non è che forse il vortice ti togliesse l'aria? Se anche faticavi a respirare, credo sia l'opzione più accreditabile. E poi, il fuoco per ardere ha bisogno di ossigeno; quindi, niente ossigeno, niente fiamme. Almeno credo». Alzai le spalle.

«Sembrerebbe sensato... Devo dirti la verità: io in queste cose proprio non ci so fare. Comunque adesso, dopo la doccia, vado in infermeria. Forse è meglio che prenda un'aspirina» spiegò.

«Ok, a dopo, allora. E... grazie». Sorrisi.

Lui ricambiò. «Ci vediamo dopo pranzo» concluse, poi prese un asciugamano e andò a farsi la doccia. Io corsi dalle mie amiche, euforica. Ero preoccupata per Warren, ma non era una giustificazione plausibile per sotterrare il mio attuale stato di esaltazione.

Frozen in Flames | COMPLETADove le storie prendono vita. Scoprilo ora