1 - Ritorno

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...non devi preoccuparti, Rosalie. Io starò sempre con te.

Aaah, sì. Ahah che bello. Davvero starai sempre con me? Tutti i miei sogni diventerebbero realtà...

Dovevo rispondergli. Dirgli qualcosa. Aprii la bocca per parlare, ma non si sa per quale stranissimo motivo dalle mie labbra proveniva soltanto una strana musica anziché le parole che stavo cercando di pronunciare. Cercai di sforzarmi con tutta me stessa per trasformare le note musicali in sillabe, ma quella faticaccia fu inutile. Mi stavo scervellando, ma non riuscii a trovare alcun motivo logico per la sua presenza. Ti prego, ascoltami! Devo dirti una cosa importante! Non ce la facevo, lui non mi capiva. La musica continuava imperterrita. Era estremamente fastidiosa e non riuscivo in nessun modo a farla smettere.

Improvvisamente realizzai. Quello era un sogno, e quella strana musica che vi si era prepotentemente infiltrata proveniva dal mio cellulare: era la sveglia del mattino. Allungai pigramente una mano sul comodino e con un occhio chiuso e l'altro aperto spensi quell'aggeggio infernale.

Accidenti. Aveva rovinato tutto. Era un sogno così meraviglioso, era da non so quanto che non ne facevo di così realistici e così belli... Con molte poche speranze, allungai il braccio sull'altro lato del letto, dove fino a poco fa credevo ci fosse lui, solo per trovare il lenzuolo vuoto e freddo. Che tristezza.

Sospirando, raccolsi tutta la buona volontà che una studentessa di ormai quarta superiore poteva avere alle sette di mattina di lunedì, e mi alzai. Avrei preferito che quel giorno fosse andato in modo diverso, che fosse ancora domenica. Almeno avrei potuto finire il sogno. Warren...

Mi stiracchiai. Gli acciacchi della sera prima si fecero sentire. Era stato organizzato un party di addio all'estate e così avevo festeggiato con i miei amici l'inizio del nuovo anno scolastico. La festa mi era piaciuta molto, ma sarebbe stata ancora più fantastica se solo ci fosse stato anche lui... Sigh. Cercai di distogliere quel pensiero dalla mia mente e focalizzai la mia attenzione sui vestiti da indossare per il primo giorno di scuola.

Beh, primo di quest'anno, il quarto e penultimo anno come studentessa alla Sky High, la scuola per supereroi più famosa della East Coast, a pari livello con la Scuola per Giovani Dotati del Professor Charles Xavier. Alla Sky High ci andavano tutti i figli di supereroi famosi o ragazzi con superpoteri provenienti da famiglie normali. Io personalmente rientravo nella prima categoria: mio padre era Thunder Ray, famoso eroe col potere di creare tuoni e fulmini, e mia madre era Glaciess, la Ragazza di Ghiaccio, come la chiamavano i suoi amici quando ancora studiava alla Sky High. I miei poteri erano simili a quelli di mia madre, ma non uguali: lei diventava di un ghiaccio duro come il diamante, praticamente indistruttibile, io invece potevo crearlo. Avevo il potere del ghiaccio. Una futura super-eroina che trasformava i supercattivi in Polaretti? Mah, non si sapeva mai.

Ridacchiai pensando a che scultura glaciale avrei fatto oggi congelando Lash, mio grande amico e spasimante numero uno, tanto per iniziare l'anno con una mia mossa caratteristica e per far notare la mia presenza. Ormai era tradizione, per inaugurare ogni anno scolastico, giusto per farsi due risate.

Guardai l'orologio e presi un colpo: dovevo sbrigarmi o avrei perso l'autobus, e senza quello non avrei avuto nessunissimo modo per raggiungere la scuola. Per fortuna avevo preparato già il giorno prima i vestiti da indossare per il grande ritorno: una t-shirt bianca con scritto "BAD" in nero tipo a grosse pennellate, dei jeans graffiati, converse nere, bianche e azzurre e infine (dettaglio immancabile) i guanti a rete senza dita, uno nero e uno azzurro, che si abbinavano benissimo alle mie unghie con lo smalto turchese. Aprii la porta della mia camera e andai in bagno a fare la pipì e a sciacquarmi il viso per la solita rinfrescata mattutina. Mi diressi al lavandino e, dopo essermi lavata la faccia, osservai il mio riflesso allo specchio. Forse ieri sera avrei dovuto togliere meglio il trucco, pensai. Afferrai lo struccante e per mia grande fortuna non mi rimasero le occhiaie tipo zombie. Presi matita, ombretto e mascara e ci diedi una ripassata. Anche una linea di eyeliner non era male. Decisi che andava bene. Pettinai i miei capelli biondo platino lunghi fino alla vita, mettendo in mostra le meches azzurre sulla destra, e tornai in camera a prendere il mio Eastpak azzurro pastello. Ok, ero pronta.

Appena misi piede in corridoio, subito mi vennero incontro i miei due gattini, Glitch e Pixel. Avevano entrambi un anno e mezzo. Glitch era tigrato ma prevalentemente nero e il suo pelo era lunghetto, morbidissimo. Il preferito di tutti da prendere in braccio e strapazzare di coccole. L'avevo chiamato così perché aveva un problema agli occhi, e un glitch è un errore grafico, quindi... Pixel invece era tutto nero, un demone dell'ombra che mi attendeva sulla soglia e mi seguiva ovunque andassi, probabilmente sperando che prima o poi gli firmassi un contratto per cedergli la mia anima. Lui invece portava quel nome perché appena portato a casa era minuscolo e tutto spelacchiato (come Glitch, tra l'altro) e anche abbastanza bruttino. Sembrava un sorcio, più che un gatto. Ora era flessuoso ed elegante come una pantera, ma rimaneva pur sempre il mio pixel bruciacchiato. ♥

Diedi ad entrambi una carezza e una grattatina dietro alle orecchie, ma non avevo molto tempo. Di sicuro avevano già fatto colazione: a loro provvedeva mio papà appena si alzava, ancora prima di provvedere a sé stesso. A volte mi veniva il dubbio che fossero i gatti i nostri padroni, e non viceversa... Scesi in salotto, che era attaccato alla cucina, salutai i miei, afferrai al volo un biscotto dal tavolo e presi i miei occhiali da sole sul tavolino vicino all'ingresso, sistemandoli sopra la testa per dare un tocco finale al mio look.

«Ha chiamato Alex» mi annunciò mia madre, alle prese con un pancake ai fornelli. Alex era il mio fratellino ("ino" mica tanto, aveva quasi 16 anni ed era più alto di me). «Mi ha detto di augurarti buon inizio».

«'azie!» dissi, a bocca piena. Inghiottii il boccone e poi chiesi: «Ti ha detto quando torna dall'Europa? Se non sbaglio aveva rimandato la partenza».

«Non hanno ancora deciso, ma sembra che gli zii vengano qui a Natale e quindi lui verrebbe con loro. Almeno così ha detto».

«Mh» bofonchiai, sbafando un altro biscotto. «Niente missioni, oggi?» chiesi a mio padre, che si stava comodamente leggendo il giornale seduto a tavola di fronte a un caffè fumante.

«Al momento no. Abbiamo la mattina libera. Al pomeriggio però siamo in riunione» rispose. Il sorriso che mi rivolse rifletteva il suo stato di relax attuale.

Ero contenta per loro. Essere ambasciatori europei al Consiglio dei Super non è cosa da poco, ed erano più spesso in missione che a casa. Almeno quando potevano se la prendevano con comodo.

Salutai i miei genitori e uscii in giardino. Subito fui accolta da Black, il Terranova di mio fratello. Quel cane era enorme. I miei lo portavano quasi sempre in missione con loro: era stato addestrato sia come guardia del corpo che come rilevatore di aggeggi pericolosi. Feci una fatica bestia per evitare che mi leccasse tutta la faccia, ma lo grattai dietro le orecchie e lui scodinzolò felice. «C'è da portare a spasso Black!» urlai a mio papà in cucina.

«Sì tesoro, non ti preoccupare faccio io! Buona giornata!».

«Ciao, buona giornata anche a voi!».

Accarezzai un'ultima volta il cagnone e mi avviai alla fermata dell'autobus.

Frozen in Flames | COMPLETADove le storie prendono vita. Scoprilo ora