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Alla mattina mi alzai alle nove, riposata e anche molto contenta, pensando che quel giorno c'era ponte e quindi si stava a casa da scuola.

Feci colazione coi miei, che quel giorno non avevano missioni, tutti e tre rilassatissimi. Verso le dieci mi preparai per andare da Joe: mi vestii con una maglietta da combattimento, che era così scrausa che si sarebbe sciolta se l'avessi bagnata, e delle braghe in condizioni non molto migliori. Non mi sentivo neanche in dovere di protestare contro Joe, che aveva assunto me e i miei amici come troupe di schiavi per i preparativi per la sua festa. Tanto qualsiasi cosa avessi fatto con loro, ci saremmo divertiti comunque, dalla spesa al bungee jumping.

Scarlett passò a prendermi dieci minuti dopo. (Vi ricordo che in America si fa la patente a 16 anni. Anche io l'avevo, ma guidavo di rado. E poi non aveva senso prendere una macchina in più).

Dopo circa quindici minuti eravamo arrivate. Ska percorse con l'auto il lunghissimo viale che conduceva dal cancello alla villa di Joe. La posteggiò nel parcheggio, scendemmo e andammo a suonare il campanello.

Venne il suo maggiordomo ad aprirci. «Buongiorno mademoiselle» disse a me, facendomi entrare. Ska mi seguì, e il saluto che ricevette fu «Mademoiselle Nightingale, mi giova molto vederla nella dimora del signorino».

Soffocai una risata. Signorino. Pfff.

Il maggiordomo chiuse la porta e si mise in disparte, tutto composto.

Arrivò Joe, che ci venne incontro con uno swiffer in mano, e Warren con addosso un grembiule da cucina e con una scopa in una mano e un mestolo nell'altra.

Rimasi interdetta per qualche secondo. «Ma... mi sono persa qualcosa? Warren, tu cucini?»

«So fare la Sacher» mi informò, alzando le spalle. «E la grigliata. Altrimenti no, non cucino.»

«SACHEEEEEERRR!!!» partì alla carica Scarlett, che come sentiva profumo da torte o biscotti aveva una reazione peggiore della mia davanti al cioccolato.

Scoppiammo a ridere. Però Joe dovevo proprio prenderlo un po' in giro.

Feci la riverenza e parlai con tono solenne. «Signorino Bradford, sono molto onorata di venire accolta nel vostro umile palazzo.»

Lui rise.

Andò alla porta, dove ancora il maggiordomo era impettito, e gli disse: «Grazie, Reginald. Per oggi può bastare, hai il giorno libero. E anche domani.»

Reginald fece un inchino. «La ringrazio di cuore, signorino.» Prese dall'appendiabiti la bombetta, la giacca e l'ombrello, tutti e tre neri. «Arrivederla. Le auguro una buona giornata, e le faccio ancora tanti auguri per i suoi diciotto anni.» Fece un altro inchino a noi e uscì dalla porta.

Lo indicai col pollice, non potendo non notare gli oggetti che aveva preso con sé: «Ma è inglese?»

Joe ridacchiò. «Si nota tanto?»

«Beh, sì!» risi io. «Ogni volta Ambrogio qua mi fa morire». Non mi ricordavo mai il suo nome, ma quando andavo a casa di Joe lo prendevo sempre in giro per i modi estremamente composti del suo maggiordomo.

Joe allargò le braccia esasperato perché era l'ennesima volta che sbagliavo il nome, ma non disse niente, ormai ci aveva rinunciato. Anzi, ridemmo tutti quanti.

Mi avvicinai a Joe, volevo cominciare con i lavori per non prendermi in ritardo. «Vabbè dai, dammi qua». Sfilai lo swiffer dalle sue mani e mi avviai verso il salotto. Mi bloccai davanti al comò. «Scusa ma tu non avevi le signore delle pulizie?»

Frozen in Flames | COMPLETADove le storie prendono vita. Scoprilo ora