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La riconobbi già da distante, sebbene al momento non indossassi né occhiali né lenti a contatto. La sua chioma blu elettrico era difficile da non individuare, dopotutto. Aveva i capelli lunghi e lisci, con una frangia dritta sulla fronte. Spesso, come oggi, li portava raccolti in due codini morbidi, bassi, lasciati cadere davanti vicino al collo.

Eccola lì, la mia migliore amica Scarlett. La mia migliore amica onnisciente che sapeva leggere nel pensiero.

«Uei vecchiaaa!» mi salutò, sventolando la mano.

Appena le fui vicina mi misi a ridere. I suoi occhi color oro erano contornati da un ombretto blu rimasuglio della sera prima, che quasi sicuramente si era dimenticata di togliere e ormai le aveva impregnato la pelle. «Sei sopravvissuta anche tu al manicomio di ieri sera, vedo!»

«Ahah guarda non me ne parlare. Prima di andare a letto penso di aver bevuto cinque camomille per cercare di calmarmi! Comunque hai poco da dire di me, guarda la tua di faccia piuttosto, l'alba dei morti viventi!»

Scoppiai a ridere. Non le si poteva nascondere proprio niente, anche stavolta aveva letto il mio pensiero e colto la mia osservazione divertita.

«Pronta per ricominciare?» le dissi, fingendomi eccitata e pimpante.

«Ué, altroché!» Alzò una V di vittoria, ironica. «Sono così pronta che mi metterei a studiare già in corriera! Sai no, per prendermi avanti!». Ridemmo.

In quel preciso istante arrivò l'autobus, puntuale come sempre. Il nostro autista di fiducia, Ron Wilson, aprì le porte e ci salutò calorosamente. «Buongiorno, signorine! Ben ritrovate! Siete pronte?»

Rispose Scarlett per entrambe. «Altroché, Ron! Lo stavo proprio dicendo a Rosalie qui: io sono nata pronta per andare a scuola!» rispose sarcastica mentre salivamo i gradini del pullman.

«Questo è lo spirito giusto!» disse Ron ridacchiando, quindi chiuse le porte alle nostre spalle e partì.

Ska ed io avanzammo nel corridoio cercando un posto libero. Notai che c'era un sacco di gente nuova. «Devono essere le matricole» suggerì la mia amica. Finalmente riuscimmo a sederci, giusto in tempo per il decollo: dopo essere entrato in una strada senza uscita che sbucava su un ponte in costruzione, il bus anziché rallentare accelerò. Giusto al momento della caduta nel nulla, Ron con gran prontezza di riflessi fece uscire i razzi e le ali e l'autobus si trasformò in una specie di jet. La nostra scuola, infatti, era sospesa in alto nel cielo e la si poteva raggiungere solo per via aerea, tutto ciò per proteggerla da attacchi di supercattivi o di malintenzionati. Era tenuta lassù grazie ai più moderni propulsori antigravitazionali e cambiava continuamente locazione, la quale era conosciuta solo dal personale autorizzato. Il decollo era la parte più divertente: sembrava di essere sulle montagne russe. Delle cinture automatiche uscivano e si allacciavano per tenerci ben saldi al sedile, e spesso Ron si divertiva a fare acrobazie spericolate. I nuovi studenti stavano urlando come pazzi, sembrava che dovessero morire da un momento all'altro. «Tzh, matricole» bofonchiammo all'unisono io e Scarlett, e ridacchiammo.

Guardai fuori dal finestrino per godermi il panorama, ma il pensiero del sogno di quella mattina non se n'era ancora andato. Dio mio, era così realistico. Sospirai. Cercai di distogliere i miei pensieri da quelle immagini nella mia testa e provai a rilassarmi osservando le forme candide delle nuvole. Quella mattina il cielo era così azzurro da sembrare dipinto digitalmente.

Di sicuro i miei pensieri depressi non erano sfuggiti alla mia amica, che infatti mi si avvicinò. «Ehi Rose. Vedrai che quest'anno andrà meglio. Non scappa mica...» mi rassicurò.

Avevo indovinato, lo sapeva. Si riferiva a Warren. Warren Peace. Il ragazzo per cui avevo una cotta stratosferica da... diciamo da appena ero entrata alla Sky High. Il ragazzo del mio sogno. Era così bello... e, pensate un po', aveva proprio il potere del fuoco.

«Perfetto per te» sussurrò Scarlett con un sorriso.

Era ciò che avevo sempre pensato anch'io: saremmo stati benissimo insieme. Lo dicevano tutti i miei amici. E poi, pensai, mi scioglie ogni volta. Ridacchiai al doppio senso. Fuoco e Ghiaccio... gli opposti si attraggono, dicevano. C'era solo un piccolo problema: per quanto esuberante ed estroversa fossi, ogni santa volta che c'era lui nei paraggi mi trasformavo in un panda obeso che non sapeva da che parte girarsi né dove cavolo si trovasse e non faceva altro che rotolare in giro e mangiare bambù. Beh insomma non proprio ma diventavo un disastro. In ricreazione lo osservavo sempre da un luogo sicuro dove non poteva vedermi, in modo da potermi godere quella visione in tutta tranquillità. Ma c'era anche un altro problema. Anche se aveva un gruppetto di amici con cui si ritrovava nelle pause lì a scuola, lui di fondo era un ragazzo riservato, e non erano mancati episodi di violenza che lo riguardavano, nei confronti di cretini che per "sfidare il leggendario Warren Peace" erano andati ad importunarlo, ritrovandosi solo con tanti rimpianti e un naso rotto. Se ne stava molto tempo per conto suo, la maggior parte delle volte leggendo un libro. Di lui si sapeva poco, ed io ero determinata a scoprire di più. Perché io a lui ci tenevo. Molta gente lo evitava, avendo lui come padre un supercattivo e il potere di incenerire chiunque quando lo desiderava. Anch'io all'inizio avevo avuto un po' di timore nei suoi confronti (sommiamo il timore per il suo retaggio più il panico dato dalla mia gigantesca infatuazione) ma avevo fatto presto a cambiare idea. Qualche mese prima si era verificato un fortuito episodio dettato dall'esperta mano del destino ed eravamo riusciti a parlarci per la prima volta. E la mia cotta per lui aveva fatto presto a salire alle stelle.

E se pensavo che l'avrei rivisto di lì a poco, le farfalle nel mio stomaco iniziavano a vorticare alla velocità di un tornado...

«Rose, sveglia!». Scarlett mi ridestò bruscamente dalle mie fantasie.

«Ah. Scusa Ska, ma sai no... i sogni sono difficili da dimenticare...»

«Dai su, che tragica di prima mattina! Cos'hai sognato stavolta?» mi chiese lei. Sapeva benissimo cosa avevo sognato, poteva leggerlo nella mia mente. Le sue erano domande di cortesia perché sapeva che io amavo raccontare, e parlando forse riuscivo a togliermi un peso dall'animo.

«Ah, lasciamo perdere. No ok ti racconto» mi affrettai ad aggiungere, vedendo l'occhiataccia che mi aveva lanciato. «Hai presente l'ultimo giorno di scuola, quando io e lui ci siamo scontrati in corridoio e ci siamo parlati per la prima volta?»

«Come dimenticarlo...» Era una punta di sarcasmo, quella lì nel suo commento?

«Ecco, ehm... allora... parte da là». Inevitabilmente ripercorsi con la mente l'ultimo giorno del mio terzo anno di liceo.

Frozen in Flames | COMPLETADove le storie prendono vita. Scoprilo ora