47 - Ci sono ancora tante cose che non sai di me

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Quella settimana non andò per i versi migliori. Nel senso, non successe niente di brutto per fortuna, ma io e Warren riuscimmo ad avere pochissimi momenti in cui poter stare assieme. Infatti quasi tutti i professori avevano iniziato il primo giro di interrogazioni e fissato svariate verifiche, quindi dovevamo entrambi concentrarci sullo studio se non volevamo finire nella cacca.

Il mercoledì, però, successe una cosa che mi fece tanto ricordare la prima volta che io e Warren ci eravamo parlati.

Ero in aula che era appena finita la lezione di Inglese (Perkins era tornato, con nostra grande nostalgia delle felici ore di supplenza in cui l'anarchia regnava sovrana) e io avevo appena terminato di scrivere un'altra pagina del mio manoscritto; dopo tanto tempo, mi era finalmente tornata l'ispirazione per continuarlo. E va bene, è vero, avrei dovuto concentrarmi sulla spiegazione del prof ma oh, quando l'ispirazione arrivava non potevo ignorarla, dovevo subito scrivere giù le mie idee altrimenti scleravo.

Raccolsi tutte le mie scartoffie dal banco e stavo già uscendo dalla porta, quando Warren si materializzò dal nulla davanti a me e perciò gli andai a sbattere contro. Stavolta però cascammo entrambi a terra.

Ci guardammo e dopo una breve pausa di incredulità scoppiammo a ridere. Guardai in giù e c'erano tutti i miei fogli sparpagliati intorno. Sembrava che fosse nevicata carta sul pavimento.

Mi alzai, cercando di risistemarmi. Iniziammo a raccoglierli e Warren il mago, mentre me li restituiva, mi disse ridacchiando: «Mi sa che questa cosa è un segno del destino, ormai».

Li presi, divertita. «Lascia stare, i miei fogli sono una causa persa. Piuttosto mi sa che ho capito chi sei... un parente di Houdini!»

Rise. «Ahahah bella questa! E chi lo sa... Ti riferisci alle mie apparizioni improvvise?»

Annuii. Lui continuò: «E certo che non mi sembra di essere tanto invisibile... anzi penso di essere abbastanza appariscente...». Gli diedi un colpetto sul petto, ridendo. Non era proprio da lui gasarsi, era troppo divertente quando lo faceva.

Uscii in corridoio, con lui al mio seguito, e misi i miei block notes nell'armadietto. «Come mai sei venuto a trovarmi?» gli chiesi.

«Sono venuto a prenderti per accompagnarti alla lezione di Tedesco» mi spiegò, offrendomi il braccio.

Lo presi a braccetto, proprio come se lui fosse il mio accompagnatore, e ci dirigemmo nell'aula per la prossima lezione, io con un sorrisone stampato in faccia.

Erano passati più di dieci minuti e ancora non si vedeva l'ombra né della professoressa né del lettore. Era successo un sacco di volte che la nostra prof di Tedesco arrivasse in ritardo in classe, ma dopo che furono passati una ventina di minuti ormai in aula regnava il caos. Si era trasformata in una specie di accampamento. C'era gente seduta per terra sotto le finestre, gente che scarabocchiava alla lavagna, gente che chiacchierava ad alta voce rendendo tutti bellamente partecipi alle loro conversazioni, gente che si sporgeva dalle finestre a urlare idiozie... insomma tutto sommato c'era un casino totale.

Per quanto mi riguardava, io ero una di quelli seduti per terra, ma in fondo all'aula. Warren era seduto accanto a me, con la schiena appoggiata al muro e le gambe distese per lungo, rilassatissimo. Stava leggendo un libricino.

«Che cos'è?» chiesi curiosa, sbirciando le pagine e appoggiando il mio mento sulla sua spalla.

Avvicinò il libro ai miei occhi e mi mostrò la copertina. «Una raccolta di poesie. Sono molto belle».

Mi meravigliai molto: non me lo sarei mai aspettato da lui! «Wow! Questa è nuova.» Mi guardò per vedere la mia reazione. «E ne scrivi, anche?»

Frozen in Flames | COMPLETADove le storie prendono vita. Scoprilo ora